Guida al Lago d'Iseo ed alle Valli Camonica e di Scalve/Da Rogno a Breno

../Da Boario alle Valli d’Angolo e di Scalve

../Da Breno ad Edolo IncludiIntestazione 30 agosto 2011 100% Da definire

Da Boario alle Valli d’Angolo e di Scalve Da Breno ad Edolo
[p. 85 modifica]

Da Rogno a Breno.


Salendo a ritroso dell’Oglio alla di lui destra, ovvero dal lato occidentale da Lovere a Cividate, oltre l’ingresso della Valle d’Angolo a Boerio, lasciansi a mano manca ed ai confini di Valle Scalve due notevoli centri montani: Borno e Losio, che nel medio evo pel loro isolamento formavano quasi due repubblichette da sè, e che meritano d’essere visitati. Borno è nella valletta tributante il Trobiolo, Lozio in capo a quella donde scende il Lanico. Buone vie mulattiere vi salgono, partendo, quella per Borno da Erbanno ad un chilometro da Boerio, quella per Lozio da Malegno in fianco a Cividate.


Erbanno è nome antico umbro. Orvieto pria s’appellava Erbanno, E il sito più aprico e meglio vinifero della valle, e dove tra il verde brillante dei pampini sorgono le chiome miti e pallide degli ulivi. Nella chiesa della Madonna ha preziose reliquie a fresco di Calisto da Lodi. Del feudo che vi aveano i Federici serba segni in resti di torri, in salde magioni, delle quali notevole è quella Balardini della fine del secolo XVI. Ove spiccasi dalla via nazionale il braccio che mena ad Erbanno, sta la chiesetta di S. Martino con campaniletto del secolo XV, con a [p. 86 modifica]freschi logori di quel tempo, e sepolcri de’ Federici. — Abitanti 919.


Borno si dice Buren, e rammenta l’antico tedesca burn ferro, il Buren, feudo del padre di Federico Barbarossa, ed i borni o rupi di Dante. Si trova nominato primamente in diploma dell’anno 816 Burnus, ma vi si rinvennero due lapidi romane a Mercurio, onde s’argomenta fosse stazione commerciale per Valle di Scalve. Nessun comune di Lombardia ha sì vasto e regolare manto di selve, nessuno dal 1870 le coltiva meglio. Ora partendole in ottanta lotti da tagliarne uno ogni anno, potrebbe cavarne un prodotto annuale di quaranta mila lire. E tutto un dolce grembo verde di belle praterie svolgentesi verso Azzone di Valle Scalve, e coltivando luliana ed uva rossa gaina a pergolati bassi in sito aprico, può ottenere anche vino. Le belle selve di Borno pigliano l’estensione di 820 ettari, i pascoli sono ettari 647, pei quali sino dal 1018 Borno contese forte cogli Scalvini sulla proprietà del monte Negrino. Nell’oratorio di S. Antonio di Borno erano a freschi del Romanino; ora deturpati da rinuovamenti sconci. Altro a fresco del 1500 ha nella volta della chiesetta Madonna Dazza. Sono frazioni di Borno: l’Annunciata, dove in costiera d’ampia e vaga veduta sta un bel chiostro di cappuccini; sulla facciata della cui chiesa [p. 87 modifica]dipinse Pietro Giovanni da Cemo nel 1479; e Pian di Borno, sito di aspetto signorile sulla via nazionale sotto dirupi pittoreschi dove matura l’uliva.

Borno ha sette seghe pei suoi legnami e 2818 abitanti, e buone osterie.

La famiglia Camozzi è delle più antiche e notevoli di Borno.


Ossimo è paese pure pastorale e boscaiuolo che si trova su altra via mulattiera che da Borno sbocca a Malegno. Qui pure si trovò una lapide romana, nella sua selva Gas (già riservata) si produce il larice più saldo d’Italia. Abitanti 1088. Sulla piazza di Ossimo superiore apresi pozzo pittoresco a moda di cisterna dal quale s’attinge mediante leva.


Lozio (Loz) è accessibile per vie mulattiere o da Borno ed Ossimo, o da Malegno, o da Losine oltre Breno. Consta di quattro gruppi formanti il comune, de’ quali il più elevato è Somma Prada, il più nobile Villa, l’infimo So silva (sotto la selva). Lozio nel 1428 fu da Venezia unito alla valle, mentre prima stava da sè. Vi si veggono le rovine del fortissimo castello e della torre che era dei nobili guelfi, ai quali la tolsero i Federici nel principio del sec. XV, e che nel 1454 resistette fieramente con Bartolomeo de’ Lozi ai Visconti per Venezia. Della fine dei Nobili [p. 88 modifica]si raccontano cose drammatiche. Quelle reliquie a Villa diconsi i Pagà. Lozio ha cava e sega di marmo occhiallino, e 1011 abitanti.


Malegno gareggia con Erbanno per la bontà del vino che produce nel suo seno aperto al sole, difeso dall’aquilone, e due secoli sono avea fama per uve moscatelle e schiave. La chiesa parrocchiale, rifatta nel 1415, lasciò l’esterno del coro di forma più antica lombarda. Sulla piazza in nicchia Malegno serba dipinto del 1470. Frazione di esso è l’Ospitale a piè del ponte vecchio dell’Oglio per Cividate, dove nel secolo XIII si aprì brefotrofio, dove è la chiesetta della Madonna con inscrizione del 1340, e con dipinti esterni all’ospizio del secolo XVI. Malegno ha sette fucine per mescoli forati, e 1065 abitanti.

Crescenzio nel 1300 noverò tra le buone uve d’Italia quella detta malegno (mal legno), dalla quale pare originato il nome a questo paese vitifero, se egli non fu origine del nome di quell’uva.


Cividate col nome ricorda d’essere stato il centro politico ed amministrativo della valle a’ tempi del dominio romano, quando essa ascritta alla tribù Quirina formava repubblica federale da sè, indipendente da Bergamo e da Brescia. Embrici inscritti con alfabeto etrusco scopertivi, accennano che fu luogo notevole [p. 89 modifica]anche prima dei Romani. Il nome, Civitas è generico e coprì lo speciale che avea pria, e che da alcuni si suppose fosse quello di Vannia, che Tolomeo pose tra gli Euganei all’occidente dei Veneti. Qui era il capo o l’assemblea de’ Camuni, nome antico che si ripete tra i Baschi de’ Pirenei. La tradizione medievale attribuisce anche il nome di Blasia al sito, ma nè Vannia, nè Blasia ripetesi in qualche luogo nel territorio di Cividate1. Molte lapidi qui cavate si portarono ne’ musei di Bergamo e di Brescia, ma alcune si veggono ancora immurate, la più importante nella parrocchiale, e due nell’orto della canonica. Vi si trovarono traccie del teatro, della tribuna, della curia. A Cividate romana i Franchi opposero Breno, dalle cui rocche vollero frenare i ricalcitranti al cristianesimo feudale, ma Cividate rimase una delle cinque pievi battesimali della valle, e diventò curia del vescovo di Brescia, che pei suoi avvocati e gastaldi vi eresse fortilizii, de’ quali sonvi notevoli avanzi. Alla fine del secolo scorso e fino al 1806, fu arciprete di Cividate il dotto Guadagnini, illustratore della storia camuna, parecchi manoscritti del quale ora sono nella famiglia Labus. La parrocchiale ha un quadro di Calisto da Lodi. Ed una magnifica croce d’argento cesello e niello del 1518 di Girolamo delle Croci da Brescia. Curioso vi era il vecchio [p. 90 modifica]ponte di legno coperto al modo germanico, e bello a vedere è il chiostro di S. Pietro fondato da S. Antonio da Padova sul colle Barberino alla metà del secolo XIII, da rovine di Castello, ricostruito con buono stile nel secolo XVI su eminenza, donde si gode il prospetto più completo della valle Camonica inferiore. Quel chiostro ora è posseduto e conservato da Morandini di Bienno. Abitanti 911.

Il ponte nuovo di Cividate fu costrutto nel 1871.


Breno si pronuncia Bre, nome celtico portato anche da paesello sul Brembo presso Bergamo, e che deriva o da brek greppi, o da brik ponte, onde Brie, Briöl, da bren capo, principe. E tradizione che fra le castella che per rifugio dagli Ungheri si restaurarono nel 906, fossero in Valcamonica Rogno, Montecchio e Breno. Che si tolse centro dei dominii feudali nella Valle, ma la cui chiesa rimase dipendente da quella pievana o battesimale di Cividate. Il ponte attuale che guida a Breno chi viene dal mezzodì, anticamente avea saccello di Minerva, e si dice ancora Manerba. Sopra Breno a levante è la frazione Astre, ove furono rinvenuti sepolcri romani. Gli Statuti di Brescia pongono il castello di Breno tra i primi della Valle, insieme a quelli di Montecchio, di Gorzone, di Esine, di Prestine, di Cimbergo, di Malonno, di Corteno, di Mù, di Vezza, di Dalegno. [p. 91 modifica]Bartolomeo Colleoni lo restaurò nel 1454, patì assedio nel 1438 e nel 1512, ed il comune lo comperò da Venezia nel 1566. Le rovine di lui cinte di vigneti conquistati sulle terrazzine delle rupi sono pittoresche assai.

Breno verso le fonti del Caffaro che per Bagolino va nel lago d’Idro, ha le più vaste e belle alpi, ovvero pascoli da mandre della valle, pascoli stesi 2936 ettari, e ne cava oltre a dodicimila lire di fitto. Con cinque ore di cammino si giunge a quelle conche pascolive2.

A Breno sono da vedere parecchi oggetti d’arte preziosi. Nella chiesa di S. Antonio, del secolo XIV, magnifici a fresco del Romanino nel coro, ora ingiuriati, un quadro del Moretto, altro di Calisto da Lodi. Nella chiesa campestre di S. Valentino una tela con Vergine e Santi di Giambellino, e due tele di Calisto nella parrocchiale attuale compita nel 1673, dopo che la rovina del 1629 guastò la vecchia parrocchia di S. Maurizio e distrusse la Frazione Oneta.

Breno, già sede del corpo o dell’assemblea di Valle, ora ha sotto-prefettura ed ufficio delle ipoteche per la Valle. Di Breno si può dire ciò che Plinio [p. 92 modifica]scrisse di Bergamo: altius quam fortunatius situm. La piazza di Breno è a metri 350. A vincervi l’erta nel 1860 si aprì l’ampia Via Nuova.

Albergo principale è quello della Posta o d’Italia. Ha 3410 abitanti divisi in tre parrocchie.

Note

  1. Il suono di Blasia sentesi nel monte Bles sopra Viù.
  2. Le migliori alpi sono chiamate Cadi, Basinina, Gaer, e confinano coll’alpe Rondinino, di Cividate, e coll’eccellente Broffione di Bagolino, col quale poi s’allacciano a mezzodì i vasti pascoli di Coi (Collio).