Giacinta/Parte seconda/XII
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XII.
La signora Ernesta Villa era andata dalla Marulli a un’ora insolita, verso le undici di mattina:
— Devo parlarti a quattr’occhi.
La signora Teresa credette si trattasse d’uno dei soliti favori ch’ella faceva qualche volta, su pegni, alle amiche più fidate — prima in nome del commendatore, ed ora, dopo che il commendatore, per evitare un processo, era scappato in America, in nome di una persona che voleva rimanere sconosciuta. Vedendola perder in chiacchiere inutili, ella s’era messa a ridere:
— È una cosa così grave che non ti riesce di spiegarti?
— Oh, gravissima!
— Insomma?... Più di un migliaio di lire?
La signora Villa rise, alla sua volta; ma si ricompose subito:
— No; si tratta di ben altro!... D’una cosa delicata, d’un dovere d’amicizia. Ci ho pensato un’intiera settimana, senza sapermi risolvere. Non mi riesce neppur ora di trovare la via!
La Marulli stava muta:
— Quelle moine di gattina la mettevano in sospetto. Dov'andavano a parare?
E la signora Villa riprendeva:
— Una cosa, certamente, da non credersi; un’infamità, non c’è dubbio! Lo abbiamo detto la sera scorsa colla Giulia Maiocchi, in teatro. Ma che importa? L’amicizia ha i suoi doveri; non voglio mancarvi. Però non è facile.
— La signora Maiocchi, — annunciò la cameriera.
— Oh, giusto lei!
La Maiocchi entrava frettolosamente, facendo frusciare pel salottino l’abito di seta e le sottane inamidate:
— Mi fermo due soli minuti; non voglio nemmeno sedermi... Dimmi, Teresa: quel fisciù lo comprasti dal Gola? Il Negri ne ha dei magnifici, arrivati di fresco da Parigi, ma così salati!... E la contessa?
— Grazie, sta bene, — rispose la Marulli.
— O siedi, un momentino!...
E la signora Villa la forzava, afferrandola pel braccio:
— ...Capiti a proposito
— Parlavate di me?
— Sono d’intesa — pensò la Marulli, vedendole così facilmente dimenticare la sua fretta.
— Dicevo, come tu sai... — incominciò la signora Villa.
— Ah!... — fece la Maiocchi, con aria compunta — Un’infamia!
— Un’infamia! Bel modo, eh? Di ricambiare le cortesie ricevute! Ma io l’ho sempre detto: quel Gerace non mi va!
— Si tratta di Gerace? — domandò la signora Teresa, un po’ intrigata.
— E... della contessa.
La Villa avevale rapidamente soffiato quel titolo nell’orecchio; e tentennando il capo, con le labbra strette, la fissava in viso.
— Una vanteria di lui, — soggiunse la Maiocchi. — Gentaccia quei napolitani! Gentaccia senza scrupoli, sballoni di prima forza. Non gli ho potuti mai soffrire.
La Marulli taceva continuando a sorridere e a guardare ora l’una ora l’altra.
— Non ci credi? — disse la signora Villa.
— Oh, non si parla d’altro, mia cara!
La Maiocchi alzava le pupille al soffitto, era invasata d’orrore.
— Sì, sì, credo tutto; crederei anche peggio, — rispondeva la signora Marulli tranquillamente. — Vi ringrazio, vi sono gratissima; una così affettuosa premura di amiche mi resterà eternamente scolpita nel cuore... Ma che volete che faccia? Non si tappa la bocca ai maldicenti.
— Capisco — diceva la Maiocchi. — Però scusa, la contessa...
— No, il seccatore è lui — la interruppe la signora Villa. — Le sta sempre tra’ piedi! Vuoi che lo mandi via? Siamo giuste!
— Capisco, — riprese la Maiocchi. — Però la reputazione d’una signora non va sacrificata a uno sciocco... Non si parla d’altro, ti ripeto!
La signora Marulli si mordeva le labbra. Tanta carità del prossimo la indispettiva. Quel titolo di contessa, sbattutole in viso così affettatamente, era, si capiva, una vendetta di pettegole...
— Proprio? Non si parla d’altro? Ma come impedirlo? Suggeritemi. Secondo me, bisogna lasciar gracchiare chi vuole. È il mio sistema, e me ne sono trovata sempre bene. Col prendersela, che s’ottiene? I calunniatori rincarano la dose, per fare più effetto... Un bel resultato! Obbligatissima!... Non voglio scomodarmi.
— Forse hai ragione! — disse la signora Villa, piccata.
— Da’ retta a un’amica, — soggiunse la Maiocchi. — Bada un po’ a quel pulcinella!
— Sai che mi stupisce? Io credevo invece che volessi fartene un genero.
— Di quello lì? Oh! Piuttosto lascierei intisichire mia figlia.
Le due amiche uscirono di casa Marulli mogie mogie, invelenite.
— Stupide! — conchiuse la signora Villa. — Dovevamo figurarcelo: la mamma regge il sacco alla figliuola. Se la veggano loro!...
La signora Marulli era rimasta scossa:
— Possibile? Sua figlia stava dunque per ammattire? Compromettersi, e per chi? Per un impiegatucolo, che viveva ristrettamente con quei pochini dello stipendio! Per un coso che pretendeva farsi credere di nobile famiglia decaduta e non si sapeva neppure chi fosse!... Era proprio ammattita!... Possibile? Possibile?... Non ci mancava altro che questa!... E lei che già sognava la vita tranquilla di chi è arrivato alla meta e vuol godersi il riposo!
Si era fermata a un tavolinetto tutto ingombro di gingilli, e ne prendeva ora uno ora un altro in mano, e li riponeva, li cambiava di posto, con gli occhi aggrottati, mordendosi al suo solito le labbra, intanto che riandava certi particolari, confrontandoli, compiendoli con parole e frasi dimezzate, afferrate a volo, che non avevano avuto fino allora nessun senso per lei...
— Ah!... È vero!
E la figurina di porcellana, ch’ella teneva fra due dita, volò a spezzarsi il collo contro il muro.
— Era vero!... E quando? Quando lei, dopo la fuga del Savani, metteva una pietra sul suo passato! Quando già stava per cominciare una vita nuova di considerazione, di rispetto, d’influenza!... Il mondo dimentica così facilmente, scorgendoci in alto!... Ma voglio vederla!... L’han da fare con me!
E la sera stessa rimasta da sola a sola colla Giacinta:
— Quel Gerace ti è sempre alle costole — disse.
— È un buon giovane...
— Buonissimo! Ma pare che la gente non la intenda così...
Giacinta alzò la testa:
— Come la intende?
— Con una persona che non si sa precisamente chi sia, bisogna condursi con maggiori cautele, essere meno... gentile, tenerla un po’ in distanza...
— Lo tratto come gli altri.
— Pare di no. Già te lo affibbiano... per amante.
— Che sciocchezza!
La signora Teresa abbassò gli occhi e non aggiunse più nulla.