Gazzetta Musicale di Milano, 1843/N. 31

N. 31 - 30 luglio 1843

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Suppl. al N. 30 Suppl. al N. 31

[p. 131 modifica]GAZZETTA MUSICALE ANNO II. domenica N. 31. 30 Luglio -1843. Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinali a comporre un volume in i.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà A»DI MILANO I.a musique, par des inflexions vives, accentuées, et, • pour ainsi dire,-parlantes, exprime toutes les pas• sions, peint tous les tableaux, rend tous les objets,» soumet la nature entière à ses savantes imitations, • et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sen• timents propres à l’émouvoir.» J. J. Housseau. Il prezzo dcH’associazionc alla Gazzella c all’Antologia classica musicale c dicfTcll. Ausi. I,. 12 per semestre, ed elTelt. Ausi. I„ 14 affrancata di porto lino ai continidella Monarchia Austriaca; il doppio per l’associazione annuale. — La spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente c franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Hicordi, nel modo indicato nel Manifesto. — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio della Gazzetta in casa Hicordi, contrada degli Omcnoni N.° 1720; all’estero presso i principali negozianti di musica c presso gli Uffici postali. — Le lettere, i gruppi, ec. vorranno essere mandati franchi di porto. S OM M A ni o. I. Memoria intorno alla vita ed agli scritti di Franchino Gaffurio. - II. Sugli Stuoj k sulle Opkrb di Benedetto Marcello patrizio veneto. - III. Musica Sacra. Messa funebre del chiarissimo maestro Peroni. - IV. Grande Accademia al Ridotto dell’I. R. Teatro della Scala.-V. La signora Zoja al teatro Re, ec. - VI. Notizie Musicali Diverse. - VII. Nuove Pubblicazioni Musicali. MEMORIA Intorno alla vita eil agli scritti di FRANCHINO GAITliRIO L’esimio maestro Simone Mayr leggeva, il giorno 3 agosto del -1820 in una pubblica seduta dell’Ateneo di Bergamo, questa Memoria nella quale la ricchezza dell’erudizione e l’acutezza delie indagini vanno del pari colla copia delle savie riflessioni crìtiche ed estetiche. Poiché all’illustre autore della Medea, piacque darne cortesemente facoltà alla redazione di questa Gazzetta, noi siamo ben lieti di potere offrirla a’ nostri lettori, non senza avvertire che ammetteremo i passi più specialmente dettati per corrispondere alla solennità delP occasione in cui venne per la prima ed unica volta letta, al cospetto di un nobile consesso di dotti. Nell’epoca fortunata per la gloria perenne d’Italia, e per la coltura del mondo tutto, in cui sorse un numero quasiccliè infinito di uomini sommi in ogni genere di scienze ed arti, in cui disotterraronsi i più magnifici monumenti dell’anlichità, si scopersero i più preziosi codici latini e greci, e se ne raccolsero e trascrissero con infinite cure e dispendj, si scoprì il nuovo mondo, s’inventò la stampa, che nuova faccia diede all’antico - nell’epoca avventurosa, in cui, fermentando l’occulto seme dei genj, prediletti dalla natura, appena sviluppatosi ebbe vita ed alimento copiosissimo, crebbe rapidamente, e distendendo! i rami sopra tutta la terra beata che «Ap-; pennin parte e il mar circonda e l’Alpi «la riempì di eletti frutti, la musica, fida compagna de’ piaceri ingegnosi, di lautezze, di feste e di magnificenze, non potea andar negletta nel momento che le amabili sue sorelle vestivansi di tanta pompa, mercè dei Rafaelli, dei Michelangeli, dei Tassi, e degli innumerabili genj del doviziosissimo suolo d’Italia. Ed in fatti, mentre alle mense e nelle adunanze de’ principi, de’cortigiani e delle dame, cantavano, quasi nuovi trovatori, le loro rime Marsilio Ficino, Mario Filelfo, Panfìlio Sassi e l’immortale ed universale Leonardo da Vinci - mentre le rappresentazioni spirituali della compagnia dei Gonfalonieri nel Colìseo di Roma; le mascherate ordinate dal Peruzzi alla splendida corte de’Medici-, la sontuosa ed ingegnosa festa inventata da Bergonzo Botta, e preparala in Tortona per le nozze del Duca di Milano con Isabella d’Aragona, davano l’idea del più bello spettacolo, cioè dell Opera in musica, del quale dappoi si fecero sommi maestri esclusivamente gli italiani, un altro genio profondo meditava ed estendeva i precetti d un’arte, la quale, abbenchè sembri al lutto dedita al diletto, nulladimeno al pari dell’architettura, pittura, poesia ed eloquenza è fondata sopra regole certe e dell’austera matematica, dell’analisi più esalta e dell’estetica più sottile e si conforma agli aurei precetti generali di Aristotile, Orazio, Sulzer, Boileau e Gravina. Or quest’uomo insigne, nomato da alcuni Franchino - da altri Franchino Gaffuro, Gafurio o Gaforio, il quale tanto per l’estensione, quanto per la stabilità della sua dottrina, seppe meritarsi l’ammirazione di tutti i secoli e di tutte le nazioni colte, che abbracciò ne’ suoi scritti ogni ramo della scienza musicale, e i di cui trattati sono fra i primi, che per via della stampa vennero tramandati alla posterità, quest’uomo insigne, diciamo, fu bergamasco. Nè osta a questa nostra franca asserzione che Melogolo (autore d’un compendio della vita di Gafurio, inserito al fine dell’opera, de Harmonia Musicorum instrumentorum) lo dica lodigiano - chè il Sassi (nella sua Hystoria Typographica di Milano) (il quale però lo asserisce Origine Bergomensis) gli dia per patria Lodi - e che Giovanni Battista Molossi (nella sua Memoria degli uomini illustri della città di Lodi, tom. Il, pag. 1776) si faccia premura di accrescere gloria alla sua patria, annoverandolo fra distinti personaggi della Laude Pompejana. Poiché se le ragioni addotte dal nostro eruditissimo Serassi nella vita di Torquato - e nel - Parere intorno alla, patria di Bernardo e Vimmortai suo figlio - e replicate dal celeberrimo Tiraboschi, nella sua Storia della Letteratura Italiana, non che da molti altri scrittori illustri, hanno qualche peso, onde assegnare al Torquato per paj[ tria la città di Bergamo, perchè antica ed I usata stanza della sua famiglia, e non più Sorrento ove nacque per caso, ristesse,! istessissime muovono ivi a rivendicare a Bergamo un illustre suo figlio, di cui meritamente può e deve andar fastosa. Nacque egli, è vero, a Lodi li 14 gen| najo ddl’anno 1451. Ma ciò avvenne per j mero accidente, poiché suo padre, essendo dedito al mestiere delle armi (quipedibus I equoque strenue stipendia Jecerat, così Melegolo) non avea domicilio stabile. Chiamavasi questi Bettino ed era nativo di Alni en eoo (ex oppido Leminis Bergomensis) in allora castello, ed ora ragguardevole borgata, poche miglia distante da questa città, mentre in varie occasioni viene fatta menzione dei Gafuri fra i quali annoverare ne lice Andrea Gafuri già pàrroco in Ardesio al tempo della miracolosa apparizione della Beata Vergine, e n’esistono tuttora de’discendenti nella vicina Valtesse. Che se poi, contro il senso de’legisti, e contro l’opinione di Ulpiano stesso, il quale nega alla madre la facoltà di comunicar ai figliuoli la patria, il nostro Gafurio abbia egli stesso voluto dirsi ne’ suoi scritti Laudensis perchè sua madre Caterina era della distinta stirpe dei Fissi— raglii di Lodi (V. A/gelati toni. I, parte I. Bibli. Script. Medi ulani); sembrami che ciò sia mero effetto di gratitudine, poiché egli era stato ivi educato presso la madre, ed in seno de’cospicui parenti materni, frattanto che il padre era costretto di passare da un luogo all’altro, seguendo le insegne di varj condottieri d’armi, sotto dei quali militava; né il figlio stette mai seco lui,■ se non allorquando si trovò a Mantova al servizio cfel chiarissimo marchese Lodovico Gonzaga, ed era di già sacerdote. In riguardo della scelta dello stato ecclesiastico, benché fosse figlio unico, è da riflettersi, che in que’tempi, dal momento che si sviluppavano de’talenti in alcun giovane di buona nascita, il quale ripugnava od atto non era alla milizia, gli si faceva vestir l’abito religioso e veniva incamminato nella via clericale, perchè la più dignitosa e proficua. Destinato quindi anche il nostro Franchino, fin da tenera età, al ministero dell’altare, e frammischiato al coro de’ sacri leviti, imparando a modulare con voce soave gl’inni Davidici, lo stesso augusto rito, e le cerimonie maestose diedero maggior impulso al genio per la musica irresistibilmente inspiratogli dalla natura medesima. «Natura ad id impel- t lente» scriv’egli stesso nell’epistola de- S dicatoria premessa alla sua opera intito- | lata: Practica Musices, etc. fi [p. 132 modifica]Quindi non è meraviglia che, essendogli | stato procurato per maestro in tal arte un i religioso Carmelitano, il quale godette in quel tempo fama di espertissimo compositore di musica, chiamato G ode» bacii, e che Gafurio nomina Bonadies ( traduzione che prova essere stato Godendach di nazione tedesca ) (1) all’indefessa sua applicazione ed alla frequenza degli esercizj corrispondessero largamente i sommi e rapidissimi suoi progressi. Nè venne già meno il fervore degli studj suoi prediletti nel tempo della sua dimora in Mantova, ove si trattenne pel corso di due anni presso il padre, anzi scrivendo con somma diligenza molte cose di musica pratica e teorica, e con pari sottigliezza emendandole, giunse a tale apice di dottrina, che, recatosi dappoi a Verona, potè ivi insegnare la scienza musicale con universale applauso. Due opere scrisse egli in quest’ultima città, l’una col titolo: Musicae Institutionis colloquia, e l’altra intitolata: Flora., seguendo altresì lo spirito del secolo nell’amhizione lodevolissima di raccogliere le cose più preziose sì dell’antica che della musica modèrna, e d’ingrandirne colla proficua lettura le sue già vaste cognizioni. Quegli scritti però, come infiniti altri, che posteriormente compose nel tempo della sua dimora in Milano, (infinita voluniinq., dice Melegoli), sonosi perduti, o forse non vennero giammai promulgati colla stampa. Frattanto essendo stato liberato Prospero Adorno, capo d’una delle fazioni che divisero Genova, dalla prigione di Cremona, ed essendo riuscito a proclamare nel 4478 l’indipendenza della sua patria, la quale grata a tanto servizio lo elesse a Dog< questi, desioso di spargere ivi ogni genere di liberale disciplina, chiamò a sè il nostro Franchino estimandolo per fama il pii atto à propagarvi la scienza musicale. Ma dopo breve dimora di appena un anno, essendo l’Adorno nuovamente stato espulso da Genova da’ suoi avversari, i Campofregosi, Bona Maria e Gio. Galeazzo duca di Milano, diede un ben raro esempio di gratitudine e verace amistà, dividendo seco lui l’esilio, e passò quindi in sua compagnia a Napoli. Erano in quel tempo ivi radunati varj eccellenti professori e scrittori di musica, fra i quali si distinsero particolarmente Giovanni Tintore, Guglielmo Garnerio, Bernardo Hyart e Filippo di Caserta. Ben presto fece il nostro Gafurio seco lui conoscenza, e mentre ad esempio de’valorosi socj della celeberrima Accademia Pontaniana disputarono aneli’essi nel portico de’Beccadelli delle cose musiche, egli pure ad istigazione del regio segretario Filippo Bononiò di Lodi tenne ivi pubblica difesa di varie tesi musicali, argomentandovi con aCume sottilissimo, e divulgò in quell’occasione, cioè nell’anno 1480, il ventesimo nono dell’età sua, co’tipi di Francesco di Dino, una dissertazione: de effectibus et. commendatione Musices. E perciò l’eruditissimo P. Martini nella sua opera intitolala: Esemplare, ossia saggio fondamentale di Contrappunto {pag. 20, toni. II) e l’Arleaga nelle sue Rivoluzioni del teatro Musicale {toni. 7, pag. 193) riconoscono e stabiliscono con ragione dal? nostro Gafurio e da quei sullodati uomini 0 insigni il principio della scuola di Napoli} & (1) Il Forekel conserva nel secondo tomo della sua © storia musicale un saggio del modo di comporre di terra da cui sono dappoi sortiti tanti e tanti compositori ed artisti eccellenti, che resa l’hanno sopra ogni altra illustre e rinomatissima. Nel medesimo anno compose egli un altro opuscolo intorno alla teoria dell’arte intitolato: Theo rie uni opusharmoniie disciplina;, stampato dallo stesso Dino. In quanta estimazione fosse quest’opera, che riguardata venne come parto di genio sublime, e quanta fama ne derivasse all’autore, è provato ad un tempo e dall’altra edizione fatta nel medesimo anno dallo stesso stampatore, col titolo durissimi ac prestantissimi Musici Franchini Gqfurii Laudensis Theoricum opus musicae disciplinae proemium, e da molte altre susseguenti che nel corso di pochi anni ed in varj luoghi videro la luce. (iSarà continuato). SUGLI STUDJ E SULLE OPERE Di Benedetto Marcello patrizio veneto. (Continuazione. Vedi il N. 50). Non dee però tacersi che gli osservati miglioramenti nella musica profana aveano avuto buon preludio da quelli, che in precedenza avea ricevutrda musica da chiesa, nel quale arringo tutti avea superato il celeberrimo Palestrina, come già innanzi abbiamo veduto. Lo seguirono dappoi i due insigni maestri, Carissimi, Benevoli, ed alcuni altri che fiorirono in Roma. Gli studj loro cospiravano a semplificare l’arr monia da quanto di vanamente difficile, pesante, e oscuro ne veniva dall’abuso dell’arte del contrappunto. Essi posero ogni cura nel concertare le parti con cantilene melodiche, significanti, ed espressive alle parole, regolare il ritmo, decorare con venustà le forme, e produrre quel buon effetto sull’uditorio che devono prefiggersi i compositori. Aggiungasi che il Carissimi avea cominciato eziandio a migliorare il recitativo, dandogli forme più semplici, e convenienti alla poesia} esempio che non passò inosservato a’suoi contemporanei, i quali adottarono nelle opere uno stile più atto alla espressione degli affetti. Oltre ai miglioramenti recati all’arte dai sullodati maestri in Roma, sono da ricordarsi quegli altri assai notevoli, per opera dei due napoletani Alessandro Scarlatti e Leonardo Leo, i quali non solo contribuirono a vieppiù perfezionare la grata melodia nel canto, ma puranche riguardo allo stromentale in ciò che si riferisce agli accompagnamenti più giudiziosi, intrecciati e brillanti, e per tal modo determinarono con maggior precisione la linea di confine tra le arie ed il x-ecitativo, il quale di poi ricevette nuovo incremento per opera del Vinci (*), Marcello, soggiornando in quella deliziosa metropoli, sebbene si vedesse ben accetto ed altamente pregiato da ogni ordine di persone, ciononostante non potè troppo a lungo obbliare la città sua natia, dove avea lasciato persone troppo care al suo cuore, e dove pure lo chiamavano gli allettamenti dell’arte, a cui tutto avea consacrato sè stesso. E nel vero Venezia in quella stagione godea della presenza di uomini insigni nella musica. Oltre il Ga(t) Il Vinci migliorò il così detto Recitativi obbligato. L’ultimo atto ’ dell’opera Didone, da lui posta in musica, fa prova indubitata della profonda sua intelligenza nel dare le tinte variate agli alfetli coll’uso: di stromcnli. l’spariui di lui institutore, il Biffi U>, I’Al! binoni, il Caldara, il Lotti <2>. v’erano jj; pure i celebri Nicolò Porpora, Adolfo Ilas; se, allievo di Alessandro Scarlatti, ed in I capo a tutti Nicolò Jomelli. Questa epoca ’ | artistica offriva, ed offre tuttavia, oggetto |; a lunghi studj, i quali almeno affa sfugp gita fa d’uopo qui accennare. I I capolavori da chiesa, da camera, da teatro, che già brillavano sull’orizzonte musicale, pareva che avessero segnato lo splendido meriggio dell’arte nei tre rispettivi generi (3). Una vivace, ma non mai sbrigliata imaginazione spiccava nelle composizioni di quel tempo, nella rigorosa osservanza dei suaccennati generi, sì per l’aggiustatezza dei pensieri, che per la loro disposizione meglio adatta, inoltre per le combinazioni artistiche più spontanee e non sopraggravanti, per la melodica espressione significante e non esagerata, e finalmente per P unità, per l’ordine e per l’insieme, secondo quel noto canone di Orazio: Singula quaeque locuni teneant sortita decenter. Marcello dovea dunque lottare con assai valorosi atleti} i di lui talenti però, avvalorati dall’attenta osservazione sulle opere dei migliori maestri e dagli studj severi ed ameni, che si possono considerare siccome ausiliarj dell’arte, gli davano vigore per indirizzare i vanni verso qualunque più sublime regione. L’uomo difatti, che sollevarsi agogna a somma altezza, cerca penetrare ne’ principj fondamentali dell’arte propria, li analizza, li pondera, se ne rende conto severo, ne distingue il vero valore, e per siffatta guisa scorge il vero punto al quale deve dirigere i voli del proprio genio. Così per I appunto ha fatto Mai-cello rispetto all’arle ed alla scienza musicale. Ne fanno prova le opere ch’ei scrisse, reduce in patria, fra le quali meritano particolar menzione le cantate. Questo genere di composizione, ignoto agli antichi, nato dopo il secolo XII, avea toccato l’apice all’epoca di Marcello. Ei ne compose un buòn numero, scrivendone anche la poesia, e tutte vennero giudicate di bellissima fattura, trovandosi che ciascuna portava l’impronta del genio sorretto dall’arte, in uno stile, nel quale la purezza delle forme era indivisa dalla semplice schietta melodia, vaga ed espressiva, sostenuta con lutto l’artifizio dell’armonia. Tra le Cantate Marcelliane si hanno in sommo pregio la Cassandra ed il Timoteo. Per la prima scrisse la poesia l’illustre Ab. Antonio Conti, ed allo stesso appartiene la traduzione della- seconda, il ’Timoteo, Ode del famoso poeta inglése Dryden, da lui intitolata, Il Conli) Biffi fa nominalo maestro della Cappella Ducale di S. Marco in Venezia l’anno 1701 a di 5 febbrajo. (2) Lotti successe al Biffi nell’impiego di maestro della Cappella Marciana, e fu nominalo l’anno 1753 alli ’8 Marzo. Di questo insigne compositore scrisse la vita l’erudito signor consigliere Francesco Caffi, clic fu stampata a Venezia nella Tipografia Picotti l’anno 1853. (5) Siccome gli antichi aveano varj stromcnli, c varie sorta di voci, le quali variamente procedevano, secondo la varia proprietà c distribuzione de loro si! sterni, tetracordi, generi e tuoni; cosi pure attempo di Marcello veniva osservato con sommo rigore dai compositori il carattere particolare di ciascuno dei tre generi sovraindicati, che doveano trattarsi in modo j diverso l’uno dall’altro, osservando quella differenza che costituiva il carattere particolare de’ medesimi, pcrlochò non si poteva’ uscire dai limiti circoscritti, senza incorrere nel biasimo degl" intelligenti. Dalla dif-. ferenza di siffatti generi ne veniva un effetto I bile, attesa la varietà delle fórme che portava I pronta sua propria. AgcvoI cosa ò,l’osservar) nelle moderne composizioni tal legge è all’intutto % I posta in non càie. ’ SEGEE Sili SEPPEEMEAl’O