Gazzetta Musicale di Milano, 1842/N. 5/Della Stromentazione
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TEORICHE MUSICALI.
Della Stromentazione
ARTICOLO I.
Noi italiani abbiamo la grande e invidiabile fortuna di possedere
il genere di musica più accetto alla moltitudine: o, vogliam dire,
il genere di musica più popolare, più omogeneo, più atto a parlare di primo
tratto ai sensi ed al cuore senza bisogno che
la mente con maggiore o minore elaborazione
soccorra a conoscerne le bellezze e quindi a
gustarle. Felici di questa nostra grande ricchezza,
un po’ per intima convinzione, un
po’ per vanità nazionale, un po’ perchè
tratti in inganno dalle declamazioni sconsigliate
di alcuni inesperti, ci siamo lasciati
a poco a poco vincere dalla persuasione
che ogni musica la quale non offra i caratteri
speciali di quella tutta propria
della scuola nostra sia da aversi in nessun
conto, od anche per la più spiccia debba
considerarsi come cattiva, perchè non conforme
a certe norme del bello musicale tra
noi predicate come uniche e impreteribili.
Non ci proponiamo per ora di estenderci in isviluppato ragionamento all’uopo di far chiaro quanto sieno errate codeste opinioni esclusive e fino a che punto pregiudizievoli al migliore incremento dell’arte. Abbiamo solo voluto esporre un fatto che non oseranno smentire coloro cui è noto il poco favore col quale in Italia si accoglie la musica di indole straniera, e quanto radi siano i casi nei quali i capolavori delle scuole, sia francese, sia tedesca, ottengano di essere apprezzate con imparzialità e savio criterio. Alla più parte de’ nostri amatori, di coloro cioè che compongono la schiera eletta e dittatrice de’ nostri pubblici teatrali ed accademici, basta che una musica (sia pure o vocale o stromentale) non ispieghi di primo tratto tutto il tesoro della melodia e non isvolga cantilene a forme chiare e, diremmo quasi, palpabili, a ritmi percepibili anche all’orecchio il meno musicale, perchè subito si gridi all’astruseria tramontana, al barocchismo, alle ribobolaggini scientifiche! Essi hanno mille ed una ragione finchè nel declamare a favore della musica di stile pretto italiano, la antepongono senza ombra di esitazione a quella musica eterogenea al buon gusto che noi non chiameremo nè francese nè tedesca, ma bastarda, la quale dettata senza ombra di ispirazione sia melodica sia armonica, si sostiene a furia di stentate transizioni, di complicazioni numeriche, di aspre stiracchiature di frasi; ma ei si ingannano poi a gran partito e fanno prova di vera ignoranza o irreflessione, alloracchè avvolgono nel medesimo anatema e confondono ad un fascio altre musiche nelle quali, se la cantilena non è così spiegata, se il periodo melodico non si offre a contorni così netti come si vuole dal gusto sistematico de’ fautori esclusivi del da loro così detto genere italiano (vedremo a suo tempo che non è) neppure vuolsi dire che siavi scarsità di buone e peregrine modulazioni, nè che queste avviluppi l’intreccio delle armonie più lambiccate od ottenebri la plumbea caligine del contrappunto. Vi hanno delle musiche classiche della scuola tedesca e francese che noi italiani abbiamo troppo bizzarramente o bandite o ripudiate, perchè alla sbadata le giudicammo tessute con abuso di scienza numerica e quindi per i nostri orecchi troppo astruse, le quali esaminate sulla partizione offrono all’incontro le più semplici e schiette combinazioni armoniche, le più naturali alternative di mezzi stromentali, la più spontanea successione di modulazioni; e viceversa, tali altre musiche non tedesche che noi reputiamo buone perchè rimpinzate a casaccio di solleticanti periodetti melodici, a chi le osservi da vicino o le ascolti con udito intelligente, appaiono dettate dalla più ridicola pretesa alla superiorità scentifica e con un abuso di armonie che si credono peregrine ma in fatti non sono che malamente complicate.
Assolutamente pensiamo non apporci in fallo col dire che è grandissimo l’errore dominante nella maggior parte di coloro che tra noi si alzano giudici del merito della musica così detta italiana e dell’altra denominata oltremontana, e danno senza appello la palma alla prima e sentenziano di barbara la seconda, fondati unicamente sulla cattiva ragione che la italiana si regge da sè senza bisogno de’ puntelli del contrappunto (come dicono), mentre l’altra non si fa, nè può farsi bella che delle più astruse sfoggiate dovizie di questa scienza. A tempo opportuno produrremo in questa Gazzetta le prove di quanto ora solo affermiamo, e con esempii tratti dalle opere più applaudite di Gluck, di Mayer, di Weber, di Mozart, di Beethoven, mostreremo che nelle più sublimi ispirazioni di questi sommi musicanti veramente filosofi, si fa prova di maggiore semplicità e chiarezza nelle combinazioni armoniche, di forme stromentali più naturali e pure, che non in alcune partizioni famosissime della scuola così detta melodica per l'eccellenza.
Tra i compositori musicali contemporanei che al di là de’ monti alzarono bella fama di sè ed hanno voce in Italia di appartenere alla scuola che per un errore inconcepibile vuolsi far credere fondata unicamente sul predominio della astruseria scentifica, annoverasi il sig. Ettore Berlioz, immaginoso innovatore, il quale è segnato a dito come reo in sommo grado del tanto lamentato barbarismo. Per effetto di alcuni articoli critici più scherzosi che dotti, più umoristici che imparziali, pubblicati in qualche giornale parigino estraneo alle elucubrazioni della critica musicale, indi dai nostri fogli letterarii riprodotti come mera curiosità, è invalsa tra noi l’opinione che l’autore del Benvenuto Cellini e delle Sinfonie fantastiche sia una specie di Vitige del buon gusto ed abbia evocati con sacrilega improntitudine i più brutti demonii del vandalismo dell’arte. Possiamo assicurare che, come la maggior parte de’ giudizii profferiti intorno a quell’illustre maestro furono dettati colla passione di un riprovevole spirito di partito, così le opinioni che pullularono da que’ giudizii sul conto delle sue teoriche e delle sue applicazioni pratiche furono errate e false. Assolutamente non è vero che il signor Ettore Berlioz sia reo, al cospetto delle buone dottrine musicali, di tutti i barbarismi de’ quali lo si volle imputare; assolutamente non è vero ch’egli riponga ogni effetto delle sue composizioni nell’abuso degli artifizii stromentali e delle stravaganze armoniche. Il signor Ettore Berlioz è innovatore e innovatore audacissimo, lo ripetiamo, e a suo tempo faremo di osservare in che cosa egli veramente lo sia e fino a che punto ineriti o lode o biasimo per le sue innovazioni; neghiamo però apertamente che queste cadano tutte con inesorabile ferocia su quanto costituisce il vero fondamento della scienza. Più di qualunque nostra argomentazione valga a conferma di quanto ora asseriamo il produrre tradotti alcuni suoi bellissimi articoli teoretico-critici intorno alla stromentazione, nei quali ei stesso colle sue medesime parole farà manifesto fino a qual punto e con che sapiente criterio di elezione sappia rispettare i migliori canoni dell’arte, nè solo rispettarli, ma ed anco interpretarli con fine vedute e libertà di giudizio.
Un compositore il quale rinunziando spontaneo anche per soli brevi intervalli a spaziare coi voli della fantasia nel vasto campo della creazione, si piega modesto a dedicare i suoi preziosi momenti alla disquisizione teorica e alla redazione delle regole tecniche dell'arte, è tale esempio di amore e di rispetto all’arte stessa che noi vorremmo vedere ben di frequente e al più presto imitato dai nostri valenti maestri. La Gazzetta musicale accoglierà sempre con vera compiacenza ogni qualunque scrittura nella quale i frutti di una pratica più o meno luminosa sieno offerti alla volontà di apprendere e al bisogno di discussione che debbe animare chi veramente ama il progresso musicale e lo desidera giovato, non da vuote ciance o da dozzinali adulazioni, ma dal senno e dalla prudente perizia de’ più valorosi.
(Gli articoli del signor Berlioz si daranno nei prossimi fogli).