Fotografie matrimoniali/VI
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Confidenze.
VI.
- Alla Signora Giuseppina Rossi
- Calolzio per… Prov. di Bergamo.
- Alla Signora Giuseppina Rossi
- Mia carissima amica,
Ti ho aspettato tanto la scorsa settimana. Mi ero messa in mente che tu non potessi vivere tranquilla senza aver veduta l’inaugurazione del monumento, i principi, le feste, la luminaria, ecc. Io ho veduto tutto.
Il fotografo Ganzini, che da un balcone della Bella Venezia prese la fotografia di quasi tutta la piazza, l’ha ora esposta in Galleria Vittorio Emanuele. Ci sono anch’io, figurati, tutta umile in tanta gloria e nascosta fortunatamente dietro uno di quei pezzi grossi.
La principessa è giovane, è fresca, è belloccia, stava bene, ad onta che le sue toilettes, fatte a Monaco, non avessero proprio quello che si dice il non so che del gusto, e che sulla sua placida fisionomia si cercasse invano un lampo di vita. Torno a ripeterti che è carina, ma, non so perchè mi faceva venire in mente quella frase del Marco Visconti: È pur bella Lucca, ma non è Milano! Pensavo alla nostra Regina.
Non ho voglia di parlarti di mode questa volta, nè di teatri; quantunque ci debba essere al Dal Verme quella deliziosa Elena Varesi… te ne ricordi? ho in mente ancora il suo timbro d’oro:
Oh Dio, che bei tempi! Io allora sospiravo insieme a Rosina per il bello e poetico Almaviva e avrei dato non so che cosa per essere rapita.
Credi che se la mamma avesse detto di no a Gigi Ghieri, egli mi avrebbe rapita?…
No, sai!
Ora io vorrei sapere se tutti questi amori poetici che si trovano nelle commedie, nei romanzi, nelle ballate, sieno come i frutti del giardino delle Esperidi — che nessuno ha mai mangiato — o se invece esistono.
Gigi si sveglia alla mattina e per prima cosa beve un gran bicchiere d’acqua di quassio che gli lascia la bocca amara, i labbri amari, i baffi amari — è tutto un’amarezza; pazienza! Poi si veste in fretta e mi raccomanda di tenergli pronta la colazione. A colazione mi arriva a casa pieno di scartafacci, ne ha in tutte le tasche, e li legge e li rilegge, lascia raffreddare la costoletta; dopo si lagna che non è fatta bene.
Suona mezzogiorno; egli scappa come un cavallo inseguito, rimboccandosi i calzoni se piove — una cosa che io non posso soffrire.
A desinare mi domanda come ho passata la giornata. Se gli dico che mi annoio, egli se ne mostra stupito altamente e mi ammonisce di non avere risorse in me stessa, di non amare lo studio, il lavoro, l’ordine della casa.
Quanto pagherei perchè egli mangiasse nel mio piatto e bevesse nel mio bicchiere!… oppure come mi piacerebbe lasciar stare qualche volta il pranzo e starcene tutti e due a guardarci negli occhi! ma queste idee a Gigi non vengono neppure.
Io vorrei, in queste belle sere di maggio, che egli mi accompagnasse nei Giardini, all’ombra dei boschetti, dove si vede la luna in mezzo alle foglie frastagliate della robinia; egli dice che i Giardini di sera sono umidi.
Tutti i mariti la pensano così? Ecco quello che io mi domando incessantemente. Guardo con vera curiosità i mariti delle mie amiche; fino ad ora non mi sono formato un criterio esatto: ma mi pare, dubito… sì, deve essere proprio una fatalità. Quando un uomo prende moglie, è come la farfalla che fa il bozzolo: il bozzolo resta ed ha qualche pregio — dicono — ma la farfalla non c’è più!
Vedi che io non sono mutata. Ti scrivo ancora le mie confidenze, come una volta. Mi sento sempre fanciulla. Credevo che il matrimonio dovesse essere la fine de’ miei sogni, l’epilogo de’ miei desideri e delle mie aspirazioni e non è vero.
C’è ancora dell’ignoto dove io vado brancicando: c’è ancora del buio intorno a me.
Oh! ma non facciamo una lettera troppo lunga.
Tu ora sarai occupata nella grande faccenda dei bachi e non avrai tempo di leggere le mie ciarle.
Addio. La mamma ti saluta, Gigi anche.
Sofia.