Fotografie matrimoniali/I
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Prefazione | II | ► |
Il viaggio.
I.
Alla Stazione Centrale; ore sette del mattino; nebbia. Effetto di luce scialba sulla tettoia di metallo. Un brougham che si allontana.
Gigi Ghieri. (trentasette anni, alto, ben fatto, barba intera, profilo corretto, espressione indecisa; occhiali: abito blu, uose di panno color pan bruciato, soprabito idem, cappello a cencio, guanti grigi). Hai freddo?
Sofia. (magrolina, elegante, simpatica; lungo ulster color lontra foderato di rosso, tocco di lontra, manicotto di lontra, guanti scamosciati color lontra, un piccolo velo che copre gli occhi, taglia a mezzo il nasino e lascia tutta scoperta la bocca; ventiquattro anni). Freddo? Che idea ch’io possa aver freddo oggi?
Entrano nella sala d’aspetto di prima classe, lugubre come il teatro Filodrammatico in un giorno di conferenza. Sofia continua a masticare la singolare domanda di suo marito. Freddo? nel primo giorno di nozze? È distratta piuttosto, è vaporosa; perduta la coscienza del proprio essere le pare di trovarsi nei panni di un’altra. Ieri appena, fanciulla; oggi, sposa. Ieri al di là dell’abisso, oggi al di qua. Ma e l’abisso? dov’è…
Ghieri. (consulta il cronometro) Sette e trenta. Mancano dieci minuti alla partenza.
Sofia. (pensa) E la mamma come piangeva! Povera mamma! Dire che io l’abbandono per seguire un uomo che conosco da tre mesi... (Sogguarda il marito ed è soddisfatta dell’esame). Fortuna che lo amo il mio Gigi (ponendogli due dita sulla manica del paltò) Gigetto?
Ghieri. Cara?
Sofia. (tremante) Mi amerai sempre?
Ghieri. Sempre.
Avrebbe soggiunto qualcos’altro? Chi lo sa! Una voce fessa grida a squarciagola:
— «Per la linea di Mortara, Alessandria, Genovàaa!»
Sofia si slancia fuori della sala: Ghieri la segue con maggior calma portando il piccolo ombrello ch’essa aveva dimenticato.
Salgono in coupé. Sofia è molto nervosa, molto commossa. Quando lo sportello sarà chiuso, quando la voce fessa avrà gridato partenza, quando il treno si metterà in moto, essi si troveranno soli, soli!… Un sospiro profondo solleva il petto di Sofia; con un movimento impensato tira giù sulla bocca il piccolo velo e si rannicchia tutta nell’angolo del coupé, stringendosi contro il cuore il manicotto di lontra, ponendovi sopra la faccia agitata da un fremito.
Ghieri mette la sacca sulla rete, assicura il vetro dello sportello, guarda fuori a destra e a sinistra e finalmente si adagia dirimpetto a lei nell’altro angolo.
«Per la linea di Mortara Alessandria Genova — partenza!»
Un fischio. Vum, vum, vum. L’enorme colosso si muove; i vagoni traballano; l’ultimo sospiro di Sofia assomiglia ad un piccolo grido.
Ghieri. (i gomiti appoggiati sui ginocchi e tendendo le mani a sua moglie con un buon sorriso ambrosiano) Dunque cara, ci siamo!
Sofia. (colle traveggole agli occhi) Si.
Un momento di silenzio.
Ghieri. Sei accomodata bene?
Sofia. (distratta) Benissimo.
Ghieri. Ti da noia quella luce in faccia?
Sofia. (come sopra) No, niente affatto.
Ghieri. Non c’è che dire; ora si viaggia come in casa propria.
Due momenti di silenzio.
Ghieri. (dopo matura riflessione) Possiamo ben darci un bacio, eh!
Il bacio è dato, sopra la veletta, tra l’occhio e il naso.
Silenzio eterno. Sofia è estatica.
Ghieri. (con gentile premura) Mi sembri preoccupata.
Sofia. No… non saprei.
Ghieri. Pensi a qualche cosa?
Sofia. (insinuante) A te.
Ghieri. (ride soddisfatto e le stringe la mano).
Sofia. (di scatto) Hai mai veduto quel quadro di un autore francese che porta per titolo: Soli finalmente!…?
Ghieri. Si. È una composizione manierata, la testa della donna è dura e l’uomo sembra il tavoleggiante di un restaurant.
Sofia. (piccata) Ma io non parlo di questo.
Ghieri. (ingenuo) E di che cosa dunque? Ho forse capito male. Non è quell’incisione che stette fuori per tanto tempo nel negozio sull’angolo della Passerella?
Sofia. Non so, non mi ricordo, forse mi sbaglio, (tende la mano destra) Fai piacere ad allacciarmi questo bottone?
Il bottone è allacciato. Sofia si sprofonda nel suo cantuccio. Ghieri, ritto, col naso al vento, l’aria beata e tranquilla, guarda fuori dal finestrino.
Sofia. (improvvisamente) È dell’Hayez quel quadrettino, dove una donna vestita di celeste è stretta nelle braccia d’un uomo che porta un immenso cappello?
Ghieri. Credo. (tra sè) Mia moglie ha la passione dei quadri; una nobile passione, non c’è che dire. (forte) Deve essere il famoso Bacio, un dipinto lodatissimo, eseguito con una vigoria di tocco che indica subito il maestro; poichè, vedi cara, le qualità di un artista si rivelano anche da una linea, da un punto. Gli inesperti si affaticano a cercare degli effetti studiati, grandiosi, volgari, mentre ai sommi ingegni basta un tocco impercettibile e in apparenza trascurato per creare un capolavoro.
Sofia. (sospirando) È proprio così.
Ghieri vedendo che Sofia è malinconica, si fa un dovere di tenere la conversazione animata. Parla dell’arte antica e dell’arte moderna, accenna con soddisfazione al trionfo della pittura italiana, alla mostra di Roma, divaga su Tranquillo Cremona e sulla sua scuola, finchè il treno si ferma a Valenza.
Sofia. To’, accendono le lampade.
Ghieri. Sicuro. Dopo Valenza incominciano i tunnels.
Sofia. Io credevo che sotto i tunnels ci si trovasse al buio.
Ghieri. Che pensiero retrogrado! Non ti pare molto meglio avere una buona lucerna?
Sofia. (stringendosi nelle spalle) Sarà!… ma c’è minor poesia.
Ghieri. (ridendo con indulgenza paterna) La poesia delle tenebre!… Dopo l’Excelsior, cara mia, di tenebre non ne abbiamo più. Sono state sconfitte dalla Luce.
Sofia rammenta certe ore lontane, quando adolescente appena nell’angolo quasi buio del focolare, ascoltava i racconti delle Fate e in quel buio le appariva più splendente che mai il manto d’oro della Fata benefica e l’abito tutto a stelle che la sfortunata Cenerentola aveva trovato dentro ad una castagna. E poi altre ore più recenti, altre fantasie vagheggiate nel buio della cameretta di fanciulla, sognando sveglia i rosei misteri dell’amore. Ma non osò dir nulla a suo marito; egli avrebbe tornato a ridere; egli non capiva. Peccato! Era pur un giovine intelligente, buono, gentile. Sarebbe mai vero (come ella aveva udito dire una volta dalla mamma) che gli uomini hanno una maniera d’amare tutta differente da quella delle donne? Ma pure Romeo era un uomo?…
· | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · |
— «Alessandria. Chi parte per la linea di Torino cambia convoglio».
Ghieri. Scendiamo. Abbiamo quaranta minuti di fermata e c’è tempo di prendere qualche cosa. Hai fame? O vuoi aspettare fino a Genova, dove ci fermiamo due ore?
Sofia. Fa come vuoi.
Ghieri. Bene. Intanto scendiamo; ci sgranchiremo le gambe.
Sofia si decide a prendere una limonata, poi tornando al suo cantuccio nell’angolo del coupé, pensa alla sentenza di madama Staël: «Viaggiare, per quanto se ne possa dire, è uno dei più tristi piaceri del mondo». In quale circostanza l’autrice di Corinna si era decisa a formulare questo assioma?
E il punto interrogativo prese nella immaginazione di Sofia delle proporzioni gigantesche; tutto l’avvenire le parve tempestato di punti interrogativi ironici, pungenti come uncini.
A S. Pier d’Arena il mare l’attrasse tutta col suo magico incanto. Anche Ghieri lo guardava con molto interesse. Affacciati tutti e due allo sportello, egli le teneva il braccio intorno alla vita. Una brezzolina simpatica li accarezzava sul volto; si sentirono improvvisamente felici, felici della loro gioventù, del loro matrimonio, felici sopratutto di essere arrivati.
Ghieri. (prendendo la sacca e l’ombrello di sua moglie) — Aah!
Sofia. (accomodandosi la veletta) Dopo tutto, Gigi mi vuol bene.