Fior di passione (Serao)/Duetto di salone

Duetto di salone

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Aspettando Al veglione

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Duetto di salone

Le due amiche si erano, all’uso napoletano, cordialmente baciate sulle guancie. Giovannina, la maritata, taceva, affannando un poco, come se le scale l’avessero incomodata; Maria, la fanciulla, le teneva una mano fra le proprie, sorridendo e mormorando:

— Come hai fatto bene a venire, come hai fatto bene...

— Sì, carina, carina — disse Giovanna, sollevando con un dito il mento di Maria, per guardarla bene negli occhi — sono venuta appena di ritorno dalla villeggiatura. Sono rimasta laggiù, nel mio quasi castello, troppo tempo... troppo tempo... mi son lasciata prendere dalla malinconia... [p. 202 modifica]

— ....Malinconia? Non mi pare, Giovannina. Tu hai il viso della serenità: il sangue colorisce il tuo volto, lo sguardo brilla; non hai neppure quella brutta traccia di voglia, che è quell’ombra nera sotto gli occhi.

— Infatti, io sono serena — rispose Giovanna con un lieve stiracchiamento del labbro che poteva parere sorriso — ma non è di me che si tratta, è di te, mia ridente e placida. Sono venuta qui per sapere tutto quello che hai fatto da luglio che noi non ci vediamo, come ti sei divertita, come ti sei annoiata, quello che hai detto, quello che hai pensato, — una storia lunga, lunga, lunga, come quelle che chieggono i bambini. Ascolto, mia bella Schehezerade.

— Cara, da luglio ad agosto sono stata a Castellammare, da agosto a settembre a Sorrento.

— E dal primo ottobre sinora?

— A Napoli.

— A Napoli? [p. 203 modifica]

— Napoli.

Le tre parole squillarono nette e decise, tanto nell’interrogazione, quanto nelle due affermazioni. Un minuto di silenzio.

— E poi? — chiese ancora Giovannina, distendendosi con un moto voluttuoso nelle sue pelliccie.

— E poi, che cosa?

— Che hai fatto, cuor mio, in tutti questi siti?

— Ah!.. ecco. A Castellammare ho preso il bagno, ho nuotato, ho ballato moltissimo; a Sorrento ho passeggiato, a piedi, a cavallo, in carrozza; ho letto molto, ho fatto molta musica, ho contemplato molti tramonti e molte notti stellate; ho ballato ancora...

— E qui?

— Qui? Le solite cose.

— Nulla di nuovo, carissima creatura?

— Nulla di nuovo, Giovannina mia.

Giovannina compresse un vivo moto di dispetto: la fanciulla non voleva confessare il suo segreto. [p. 204 modifica]

— Dimmi tu che cosa hai fatto, Giovannina — domandò la fanciulla con molta bonomia.

— Sai, nulla di eccezionale, neppure quest’anno. Pei bagni, a Livorno.

— È bello Livorno?

— Stupendo, Maria.

— ...e allora?

— Allora, allora ti dirò che è troppo stupendo, e che ti fa trovare insopportabili tutti gli altri siti. Là il mare poeticamente burrascoso, tanto più bello nelle ore di tranquillità: quante volte sono stata a contemplarlo!...

— Con tuo marito?

— Luigi? neppure per sogno; egli odia il mare. Poi, i mariti hanno sempre il grave difetto di odiare quello che le mogli amano. Ahimè, Maria, quante volte abbiamo litigato con Luigi, per la musica di Beethoven, per il colore del nostro salotto, per quella cara marchesa Fulvia che egli non può soffrire! Liti [p. 205 modifica] lunghe, aspre; egli è flemmatico, io sono nervosa...

— Tu non sei felice?

— Felice, felice!... non dimandare certe cose. Ci maritano molto bene noialtre ragazze...

— Tu amavi Luigi?

— Lo amavo, lo amavo... mi piaceva, invece. Egli portava la marsina in un modo irreprensibile, ballava il valzer, come nessuno lo balla, dirigeva il cotillon come pochi lo dirigono. Ed il modo come mi faceva la corte! Follie addirittura: viaggi a rotta di collo, scene di gelosia feroci, pianti, singhiozzi, un delirio. Sai, questo fa impressione alle ragazze...

— E dopo?

— Dopo ci siamo sposati: ecco tutto.

— Vale a dire?

— Vale a dire che non m’importa più come porta la marsina, poichè lo vedo spesso in giacchetta; con me non ci balla più. Mi ha [p. 206 modifica] sposato, non piange più, non freme più, non impazzisce più, crede alla mia virtù, crede al mio amore, crede alla propria onnipotenza...

— Ebbene, questo non basta? Non è questo l’amore?

— ....no, viene un giorno che questo non basta. Di fronte alla placida indifferenza dello sposo, dinanzi alla sua regale aria di conquista, la donna prova un senso di irritazione...

— Il matrimonio è la pace, Giovannina.

— No. L’irritazione cresce quando quest’uomo trascura poco a poco tutti i mezzi per sedurre sua moglie, tutti i mezzi per piacerle, tutti i mezzi per essere verso lei il più bello, il più nobile, il più intelligente, il più innamorato fra gli uomini...

— La moglie non è l’amante, Giovannina.

— Che ne sai tu, fanciulla tranquilla ed inconscia? Io so che Luigi mi amava prima del matrimonio e spasimava per ottenere [p. 207 modifica] l’amor mio; ora non m’ama più, poichè è sicuro di essere amato.

— Tu non sei indulgente con lui, Giovannina. L’amore è fatto di indulgenza.

— No, è fatto di giustizia. Sono io meno bella, forse? Sono io meno elegante, meno graziosa, meno amabile? No: è lui che è mutato. Dal maggio io ho notato una decrescenza nel suo affetto. Ora è indifferente.

— Tu puoi ingannarti, Giovannina. Sei tu sicura della serenità del tuo giudizio?

— Sicura? Vedi, io adoro il mare. Non potendo stare a Napoli, nell’estate, decido di andare a Livorno — lui ci viene a malincuore, seccato, trovando l’acqua salsa inutile e Pancaldi noioso. L’Ardenza non lo commuove punto... si può immaginare di peggio?

— Ma perchè non venivate via?

— Per dargliela vinta?

— Il sacrifìcio è lieve quando si ama.

— Dunque tutti i sacrificii debbo farli io? Noi donne non saremo sempre che l'esempio [p. 208 modifica] dell’abnegazione? Noi ad amare, noi a sopportare i fastidii, noi a scusare le ridicolaggini del marito, noi a lusingarci che ci ami ancora, noi ad offrirgli dei prestiti per la sua indifferenza! È troppo, è troppo, la misura soverchia!

Giovannina si era riscaldata poco a poco, come se nessuno l’ascoltasse, come se facesse un discorso con sè stessa. Invece la fanciulla l’ascoltava attentamente, guardandola coi suoi grandi occhi luminosi di bontà.

— È grave, è gravissimo — riprese Giovannina — questo maritarsi con una persona con cui non si è avuta nessuna intimità. Dumas lo deve aver detto molte volte; egli lo pensava, io lo sento. Dio mio! Pranzare, passeggiare, cenare, abitare, vivere tutta la vita, con un uomo con cui si è solamente walzato! È comico ed è funebre. E un brutto giorno, sapete di che ci accorgiamo noi? Sapete la paurosa scoperta che facciamo? Noi scopriamo di non amare più! [p. 209 modifica]

— Oh! fece solamente la fanciulla, e si nascose il volto fra le mani.

— Non amiamo più. Nulla vi ha più in noi, nulla risuona più nel nostro cuore. In noi si è fatto il silenzio e la solitudine: invano cerchiamo scuotere questa inerzia, invano ci ribelliamo contro questa indifferenza. L’amore è morto: e se quella sua forma fu una falsità, quella falsità è scomparsa. Allora tutti i difetti di quell’uomo, del nostro marito, ci appaiono nudi, brutti, odiosi; tutto in lui ci respinge, tutto in noi lo respinge. Allora malinconiche, desolate, giovani, con una piena di sentimento che si perde miseramente cerchiamo l’amore altrove...

— Altrove??

— ....In un altro cuore che c’intenda. L’altro è sempre pronto, bello, poetico, cavalleresco, fatale, al cui paragone nessun marito regge. L’altro ha l’aureola della poesia intatta, sa amare, sa perdere la testa, non sa, non capisce che la passione. La donna ama [p. 210 modifica] quest'altro per logica necessità, perchè non ama più, perchè deve amare di nuovo, perchè l’altro è l’eletto del suo cuore! Ma immagina tu, fanciulla, con che disperata passione la donna si attacchi a quest’altro, immagina con che forza di animo si avvinghi a quest’altro che per lei rappresenta l’amore e la colpa, il dolore e la felicità! Immagina se questa donna che ha gittato in un giorno tutta la sua vita, voglia lasciar mai quest’uomo ad un’altra...

E la parola si affogò nella strozza, per collera, per amore, per gelosia. Poi ella si rizzò in tutta la sua altezza:

— Sposi tu Roberto Montefiore, Maria? — chiese brevemente.

— Lo sposo, Giovanna — disse quella in piedi, seria, tranquilla.

— E perchè?

— Perchè l’amo.

I due sguardi, egualmente innamorati, egualmente disperati, s’incontrarono come due lame nemiche.