Libro terzo - Capitolo 28
Florio s’apparecchia con diliberato animo di nuocere a Fileno: la qual cosa la santa dea conosce degli alti regni. E mossa a compassione di Fileno, così nel segreto petto cominciò a dire: "Che colpa ha Fileno commessa per la quale egli meriti morte o oltraggio da Florio? Niuna: non merita morte alcuno, perché egli ami quello che piace agli occhi suoi. Cessi questo, che per cagione di noi il giovane cavaliere sia offeso". E detto questo la seconda volta discese del cielo e cercò le case del Sonno riposatore, nascose sotto gli oscuri nuvoli, le quali in lontanissime parti stanno rimote, in una spelonca d’un cavato monte, nella quale Febo con i suoi raggi in niuna maniera può passare. Quel luogo non conosce quand’egli sopra l’orizonte venendo ne reca chiaro giorno, né quand’egli, avendo mezzo il suo corso fatto, ci riguarda con più diritto occhio, né similemente quand’egli cerca l’occaso: quivi solamente la notte puote, e il terreno da sé vi produce nebbie piene d’oscurità o di dubbiosa luce. E davanti alle porti della casa fioriscono gli umidi papaveri copiosamente, e erbe sanza numero, i sughi delle quali aiutano la potenza del signore di quel luogo. Dintorno alle oscure case corre un picciolo fiumicello chiamato Letè, il quale esce d’una dura pietra, che col suo corso faccendo commuovere le picciole pietre, fa un dolce mormorio, il quale invita i sonni. In quel luogo non s’odono i dolci canti della dolente Filomena, i quali forse potessero mettere ne’ petti acconci al riposo alcuna sollecitudine con la sua dolcezza. Quivi non fiere, non pecore né altri animali. Quivi Eolo nulla potenza ha: ogni fronda si riposa. Mutola quiete possiede il luogo, al quale niuna porta si truova, non forse serrando e disserrando potesse fare alcuno romore. Alcuno guardiano non v’è posto, né cane alcuno v’è, il quale latrando potesse turbare i quieti riposi. Quivi non è alcun gallo il quale cantando annunzi l’aurora; né alcuna oca vi si truova che i cheti andamenti possa con alta voce far manifesti. E nel mezzo della gran casa dimora un bellissimo letto di piuma, tutto coperto di neri drappi, sopra ’l quale si riposa il grazioso re co’ dissoluti membri oppressi dalla soavità del sonno. Appresso del quale un poco, giacciono i vani sogni di tante maniere e sì diversi, quante sono l’arene del mare o le stelle di che il nido di Leda s’adorna. Nella qual casa la dea entrò, continuo le mani menandosi davanti al viso e cacciando i sonni da’ santi occhi: e il candido vestimento della vergine diede luce nella santa casa. Nella venuta della quale, appena il re levò i pesanti occhi, e più volte la grave testa inchinando col mento si percosse il petto, e, rivolto più volte sopra il ricco letto, con ramarichevoli mormorii alquanto si pur destò. E appena levatosi sopra il gomito, domandò quello che la dea cercava. A cui ella così disse: - O Sonno piacevolissimo riposo di tutte le cose, pace dell’animo fuggitore di sollecitudine, mitigatore delle fatiche e sovenitore degli affanni, igualissimo donatore de’ tuoi beni, se a te è caro che Cinzia si possa con gli altri dei, a te e a me igualmente consorti, di te laudare comanda che Fileno, innocente giovane, ne’ suoi sonni conosca l’apparecchiate insidie contro di lui, acciò che conosciutole, da quelle guardare si possa -. E questo detto, per quella via onde era venuta, appena da sé potendo sonno cacciare, se ne tornò.