Libro secondo - Capitolo 51
Quella mattina il sole coperto da oscure nuvole non mostrò il suo viso, e l’aria da noiosa nebbia impedita parea che piangesse, quasi pietosa degli affanni di Biancifiore. Ma poi che i chiamati giudici furono davanti al re e ebbero il comandamento ricevuto, stettero quasi stupefatti davanti al re. E conoscendo quasi il volere degl’iddii, e la ingiusta sentenza che dare doveano temendo, e mossi a pietà, s’ingegnarono d’aiutare Biancifiore, e dissero: - Altissimo signore, niuna persona può da noi essere giudicata, se quella, cui giudicare dobbiamo, prima a’ nostri orecchi non confessa con la propia bocca il fallo per lo quale al nostro giudicio è tratta. Noi non abbiamo udito ancora da Biancifiore alcuna cosa, o s’è vero o non vero quello di che voi volete che a morte la sentenziamo. E voi volendo fare quest’opera secondo il giudiciale ordine, come dite, e non di fatto, conviene che ce la facciate udire sé aver commesso questo fallo, però che noi dubitiamo che, sanza fare il debito modo, la sentenza non torni sopra i nostri capi -. Assai si turbò il re di queste parole, e temendo forte che Biancifiore ascoltata non fosse, e per quello che il suo inganno si manifestasse, o che per indugiare non pervenisse a orecchie a Florio, rispose: - Questo fallo fatto da costei non ha bisogno di confessagione alcuna, però che è sì manifesto, che, se negare lo volesse, non potrebbe, e però sopra l’anima mia e de’ miei figliuoli la giudicate incontanente -. Comandarono adunque i giudici che Biancifiore fosse incontanente tratta di prigione e menata davanti da loro, vedendo essi la volontà del re essere disposta pur a volere che sanza alcuno indugio giudicata fosse.