Libro secondo - Capitolo 26
E Florio simigliantemente a niuna cosa, stando a Montoro, avea tanto lo ’ntendimento fisso quanto alla sua Biancifiore, né era da lei una volta ricordato che egli non ricordasse lei infinite. E così come Montoro era da Biancifiore vagheggiato e rimirato spesso, così egli riguardava sovente Marmorina. Né niuno suo ragionamento era già mai se non d’amore o della bellezza della sua Biancifiore, la quale sopra tutte le cose disiava di vedere. Egli da quel dì che Amore occultamente gli accese del suo fuoco infino a quell’ora non la baciò mai, né fece alcun altro amoroso atto, che cento volte il dì fra sé nol ripetesse, dicendo: "Deh, ora mi fosse licito pur di vederla solamente!"; e fra sé sovente piangea il tempo il quale indarno gli parea avere perduto stando con Biancifiore sanza baciarla e abbracciarla, dicendo che se mai più con lei per tal modo si ritrovasse, come già era trovato, mai più per ozio o per vergogna non perderebbe che egli non spendesse il tempo in amorosi baci. Egli si portava saviamente molto, prendendo col duca e con Ascalion e con altri molti varii diletti, quali nel iemale tempo prendere si possono, sperando sempre che il re di giorno in giorno gli dovesse mandar Biancifiore. E con questi diletti mescolati di speranza, sempre aspettando, assai leggiermente si passò tutto quel verno sanza troppa noia, però che alquanto l’amoroso caldo per lo spiacevole tempo era nel cuore rattiepidato e ristretto. Ma poi che Febo si venne appressando al Monton frisseo, e la terra incominciò a spogliarsi le triste vestige del verno, e a rivestirsi di verdi e fresche erbette e di varie maniere di fiori, incominciarono a ritornare l’usate forze nell’amorose fiamme, e cominciarono a cuocere più che usate non erano per adietro nella mente allo innamorato Florio. Egli per lo nuovo tempo trovandosi lontano a Biancifiore, incominciò a provare nuovo dolore da lui ancora non sentito in alcun tempo, che egli dicea così: "Ora pur festeggia tutta Marmorina, e la mia Biancifiore, stando all’alte finestre della nostra casa, vede i freschi giovani sopra i correnti cavalli, adorni di bellissimi vestimenti, passarsi davanti, e ciascuno per la bellezza di lei si volge a riguardarla. Or chi sa se alcuno tra’ molti ne le piacerà, per lo quale non potendo ella veder me, e avendomi dimenticato, s’innamori di colui? Oimè, che questo m’è forte a pensare che possa essere; ma tuttavia la poca stabilità la qual nelle donne si trova, e massimamente nelle giovani, me ne fa molto dubitare; e se questo pure avvenisse che fosse niuna cosa altro che la morte mi sarebbe beata. O sommi iddii, se mai per me o per li miei antichi si fece o si dee far cosa che alla vostra deità aggradi, cessate che questo non sia". E questo pensiero più che altro gli stava nella mente. Egli non vedea alcuna giovane che ’l riguardasse, che egli immantanente non dicesse: "Oimè, così fa la mia Biancifiore; i non conosciuti giovani ella li mira tutti, così come costoro fanno me, cui esse forse mai più non videro. E qual cagione recò Elena ad innamorarsi dello straniere Paris se non la follia del suo marito, che, andandosene all’isola di Creti, lasciò lei assediata da’ piacevoli occhi dello innamorato giovane? Né mai Clitemestra si sarebbe innamorata di Egisto, se Agamenon fosse con lei continuamente stato: il quale poi lei insieme con la vita per tale innamoramento perdé. Ma di questo non m’ha colpa se non la empia nequizia del mio padre, il quale gl’iddii consumino, così come egli fa me consumare. Egli m’impromise più volte di mandarlami sanza fallo qua brievemente, e mai mandata non me l’ha. Oimè, che ora conosco il manifesto suo inganno e truovo che vere sono le parole che Biancifiore mi disse, dicendo che mai non ce la manderebbe e che egli qua non mi mandava se non perch’ella m’uscisse di mente. Oh, come male è il suo avviso venuto al pensato fine, con ciò sia cosa che io mai del suo amore non arsi com’io ardo ora". E istando Florio in questi pensieri, in tanto gl’incominciò a crescere il disio di volere vedere Biancifiore che egli non trovava luogo, né ad altro pensar poteva né giorno né notte. Egli avea per questo ogni studio abandonato, né di mangiare né di bere parea che gli calesse: e tanto dubitava di tornare a Marmorina sanza licenza del re, acciò che egli a far peggio non si movesse, che egli volea avanti sostenere quella vita così noiosa; e era già tale nel viso ritornato, che di sé facea ogni uomo maravigliare. E non avendo ardire di tornare in Marmorina, andava il giorno sanza alcun riposo cercando gli alti luoghi, de’ quali egli potesse meglio vedere la sua paternale casa, ove egli sapeva che Biancifiore dimorava. E similmente la notte non dormiva, ma furtivamente e solo se n’andava infino alle porti del palagio del suo padre, non dubitando d’alcun fiero animale, o d’ombra stigia, o d’insidie di ladroni, né d’altra cosa: e quivi giunto, si ponea a sedere e con sospiri e con pianto più volte le baciava, dicendo: "O ingrate porti, perché mi tenete voi che io non posso appressarmi al mio disio, il quale dentro da voi serrato tenete?". E certo egli più volte fu tentato o di picchiare acciò che aperto gli fosse, o di romperle per passar dentro, ma per paura della fierità del padre, il cui intendimento già apertamente conoscere gli parea, se ne rimanea, tornandosi a Montoro per l’usata via. E sì lo stringea amore, che vita ordinata non potea tenere, ma sì disordinatamente la tenea, che più volte il duca e Ascalion avedendosene il ne ripresero; ma poco giovava. E pur da amore costretto, più volte mandò a dire al re che omai il caldo era grande, e allo studio più intendere non potea, e però egli se ne volea con suo congedo tornare a Marmorina.