Libro quinto - Capitolo 9
Le parole del misero appena erano finite, che Biancifiore levata da sedere del luogo dove stava, per più appressare le parole sue al rotto pedale, così cominciò a dire: - O Idalogo, che colpa hanno le buone, e di diritta fede servatrici, se a te una malvagia, per tua simplicità, nocque non osservando la promessa? -. A cui Idalogo: - Se io solo da’ vostri inganni mi sentissi schernito, tanta vergogna m’occuperebbe la coscienza, che mai a’ prieghi di alcuno, quanto che e’ fossero da essaudire, non direi i miei danni, come a voi ho fatto; ma però che tutto il mondo infino dal suo principio fu e è delle vostre prodizioni ripieno, sentendomi nel numero de’ più caduto, lascio più largo il freno al mio vero parlare. Ma se gl’iddii dalle malvage ti seperino, non mi celare chi tu se’, che sì pronta alla difesa delle buone surgesti, come se di quelle fossi -. - Io sursi - disse Biancifiore - a quello che ciascuna prima operare e poi difendere dovria, sentendomi di quel peccato pura del quale in generale tutte ne biasimi: e acciò ch’io non aggiunga noia alle tue pene, sodisfarotti del mio nome. E sappi ch’io sono quella Biancifiore la quale la fortuna con tribulazioni infinite ha dal suo nascimento seguita, ma ora meco pacificata, quelle a sé ritrae, e, concedutomi il mio disio, in pace vivo -. - Or se’ tu - disse Idalogo - quella Biancifiore per la quale il mondo conosce quanto si possa amare, o essere con leale fede amato? Se’ tu colei la quale, secondo che tutto il mondo parla, è tanto stata amata da Florio figliuolo dell’alto re di Spagna, e che, per intera fede servargli, se’ nimica della fortuna stata, dove amica l’avresti potuta avere rompendo la pura fede? Se quella se’, con ragione delle mie parole ti duoli -. - Io sono quella - rispose Biancifiore. - Adunque - disse Idalogo - singulare laude meriti: tu sola se’ buona, tu sola d’onore degna, niun’altra credo che tua pari ne viva. E certo se io nella memoria avuta t’avessi, quando in generalità male di voi parlai, te avrei dello infinito numero delle ingannatrici tratta; ma in verità e’ mi pare ciò che di te ho udito maggiore maraviglia che il sentirmi in questa forma ove mi vedi. Ma se la fortuna lungamente pacifica teco viva, dimmi, che è di quel Florio, che tu tanto ami e che te più che sé ama, sì come la fama rapportatrice ne conta? -. Rispose Biancifiore: - Il mio Florio ha infino a ora teco parlato, e è qui meco: e come mi potrei io sanza lui dire felice e con la fortuna pacificata? -. - O felicissima la vita tua! - disse il tronco, - molto m’è a grado, e assai me ne contento, che voi, che già tanto foste infortunati, ora contenti stiate, pensando ch’io possa prendere speranza di pervenire a simile partito de’ miei affanni -.