Libro quinto - Capitolo 77
Essendo la gran festa della tornata di Florio e di Biancifiore lungamente durata, e venuta a fine, e le lagrime cessate del trapassato Ascalion, a Florio si raccese il disio di rivedere il padre. Per che egli a Mennilio e al fratello e alle donne cercò licenza di poterlo andare a vedere, e similemente la madre e il suo regno: la quale benignamente gli fu conceduta, ben che più caro fosse stata a’ conceditori la loro dimoranza. Ma prima che essi si partissero, di grazia fece loro Vigilio mostrare la santa effigie di Cristo, recata di Ierusalem a Vespasiano. E dopo quella, la quale Florio con divozione riguardò, la inconsutile tunica fu loro mostrata, e quella testa appresso, che fu, per servare il giuramento d’Erode, merito della saltatrice giovane. E poi videro quella del Prencipe degli apostoli, insieme con quella del gran Vaso di elezione: né niuna altra notabile reliquia in Roma fu che essi non vedessero. Le quali vedute, Florio di grazia impetrò dal sommo pontefice che Ilario con lui dovesse andare, acciò che nelle cose da lui ignorate fosse da Ilario chiarificato, e insegnateli, e appresso perché egli quello che a lui avea predicato, predicasse al vecchio padre e a molti popoli del suo regno, e a quelli che si convertissono desse battesimo. E concedutogli da Vigilio, prese comiato e con la sua benedizione si partì; nella cui partenza, Bellisano con molti altri romani nobili uomini andarono infino fuori della città, e similemente Clelia e Tiberina con Biancifiore. Ma Florio, ringraziando Bellisano e gli altri nobili e accomiatatosi da loro, si partì, cavalcando con Mennilio e con Ilario, i quali seco menava avanti, e Biancifiore appresso con pietose lagrime promettendo di ritornare tosto, lasciò Quintilio, suo zio, e Clelia e Tiberina, seguendo Florio suo marito.