Libro quinto - Capitolo 7
Poi che Filocolo sentì la dolente voce aver posto silenzio e già Biancifiore con sua compagnia essere sopravenuta, egli rincominciò così: - Se quella terra, che noi calchiamo, lungamente alle tue radici presti grazioso umore, per lo quale esse diligentemente nutrite le tue frondi nutrichino e a’ tuoi rami aggiungano copiosa quantità de’ tuoi pomi, e se il tuo pedale sia lungamente dalla tagliente scure difeso, non ti sia duro ancora parlarne e farci noto donde fosti, e il tuo nome, e come qui venisti, e per che modo nelle reti d’amore incappasti, e qual fu la cagione perché di lui dolendoti, poi in questo albero, più che in alcuno altro, ti trasformasti, e per cui, acciò che se il tuo corpo e la cara anima nascosi nella dura scorza non possono la tua fama far palese, noi sappiendo la verità da te, di te possiamo quella debitamente raccontare agl’ignoranti, i quali forse, udendo le nostre parole, mossi con noi a debita pietà, per te pietosi prieghi porgeranno agli iddii, e così la tua pena si mitighi, e la tua fama s’allunghi e si dilati -. Così come quando Zeffiro soavemente spira, si sogliono le tenere sommità degli alberi muovere per li campi, l’una fronda nell’altra ferendo, e di tutte dolce tintinno rendendo, in tale maniera tutto l’albero tremando si mosse a queste parole, e poi con voce alquanto più che la precedente pietosa rincominciò: - Io non spero che mai pietà possa per sua forza mollificare ciò che crudeltà ingiustamente ha indurato; ma perciò che quello ch’io per troppa fede sostengo, non sia creduto che per mio peccato m’avvenga, e per la dolcezza de’ vostri prieghi, che maggior guiderdone meritano che quello che domandano, parlerò e ciò che disiderate di sapere vi chiarirò. Ma perciò che sanza molte parole ciò che domandato avete, dire non vi posso, vi priego, se gl’iddii da simile avvenimento vi guardino, non vi sia duro alquanto il mio lungo dire ascoltare: