Libro quarto - Capitolo 65
- Molto mi fate maravigliare - disse Parmenione, - dicendo che presente per futuro bene lasciare non si dee: a che fine, dunque, con forte animo ci conviene seguire e sostenere i mondani affanni, dove fuggire li potremo, se non per gli etterni regni promessi a noi dalla speranza futuri? Mirabile cosa è che tanta gente, quanta nel mondo dimora, tutti affannando a fine di riposo sentire alcuna volta vanno, come in tale errore fossero tanto dimorano, potendosi riposare avanti, se l’affanno, dopo il riposo fosse migliore che davanti. Giusta cosa mi pare dopo l’affanno riposo cercare; ma sanza affanno voler posare, secondo il mio giudicio, non dee né può essere diletto. Chi dunque consiglierà alcuno che prima sia da dormire un anno con una bella donna, la quale sia solo riposo e gioia di colui che con lei si dee giacere, mostrandogli appresso dovergli seguire tanta noiosa e spiacevole vita, quanto con una laida vecchia dovere altretanto in tutti atti usare che con la giovane è dimorato? Niuna cosa è tanto noiosa al dilettoso vivere quanto il ricordarsi che al termine dalla morte segnato ci conviene venire. Questa, tornandoci nella memoria sì come nemica e contraria del nostro essere, ogni bene ci turba: né mentre questo si ricorda, si può sentire gioia nelle mondane cose. Così similmente niuno diletto con la giovane si potrà avere che turbato e guasto non sia, ricordandosi che altretanto fare si convenga con una vilissima vecchia, la quale sempre davanti agli occhi della mente gli dimorerà. Il tempo, che vola con infallibili penne, gli parrà che trasvoli, scemando a ciascun giorno delle dovute ore grandissima quantità; e così la letizia, essendo dove futura tristizia infallibile s’aspetta, non si sente: però io terrei che il contrario fosse migliore consiglio, ché ogni affanno, di cui grazioso riposo s’aspetta, è più dilettevole che il diletto per cui noia è sperata. Le fredde acque pareano calde, e il tenebroso e pauroso tempo della notte parea chiaro e sicuro giorno, e l’affanno riposo a Leandro andando ad Ero con la forza delle sue braccia notando per le salate onde tra Sesto e Abido, per lo diletto che da lei aspettante attendea d’avere. Cessi, adunque, che l’uomo voglia prima il riposo che la fatica, o prima il guiderdone che fare il servigio, o il diletto che la tribulazione, con ciò sia cosa che, come già è detto, se a quel modo si prendesse, la futura noia impediria tanto la presente gioia, che non gioia, ma presso che noia dire si potrebbe. Che diletto poteano dare i dilicati cibi e gli strumenti sonati da maestre mani e l’altre mirabili feste fatte davanti al fratello di Dionisio, poi ch’egli sopra il capo si vide con sottile filo pendere uno aguto coltello? Fuggansi adunque prima le dolenti cagioni, poi si seguano con piacevolezza e sanza sospetto i graziosi diletti -.