Libro quarto - Capitolo 45
- Io non pensava - disse allora Caleon - con le mie parole dar materia di mancamento alla nostra festa, né la potenza del nostro signore Amore, né le menti d’alcuno perturbare; anzi imaginai che, diffinendolo voi, secondo la intenzione mia e di molti altri, dovesse quelli che gli sono suggetti con forte animo a ciò confermarli, e quelli che non gli sono con disideroso appetito chiamarlivi. Ma veggio che la vostra intenzione alla mia è tutta contraria, però che voi tre maniere d’amore nelle vostre parole essere mostrate. Delle quali tre, la prima e l’ultima come voi dite consento che sia, ma la seconda, la quale rispondendo alla mia dimanda dite che è tanto da fuggire, tengo che da seguire sia da chi glorioso fine disidera, sì come aumentatrice di virtù, com’io credo appresso mostrare. Questo amore di cui noi ragioniamo, sì come a tutti può essere manifesto, però che il proviamo, adopera questo ne’ cuori umani, poi ch’egli ha l’anima alla piaciuta cosa disposta: egli d’ogni superbia spoglia il cuore e d’ogni ferocità, faccendolo umile in ciascun atto, sì come manifestamente ci appare in Marte, il quale troviamo che, amando Venere, di fiero e aspro duca di battaglie, tornò umile e piacevole amante. Egli fa i cupidi e gli avari, liberali e cortesi: Medea, carissima guardatrice delle sue arti, poi che le costui fiamme sentì, liberamente sé e ’l suo onore e le sue arti concedette a Giansone. Chi fa più solliciti gli uomini all’alte cose, di lui? Quanto egli li faccia, rimirisi a Paris e a Menelao. Chi spegne più gl’iracundi fuochi, che fa costui? Quante volte fu l’ira d’Achille quetata da’ dolci prieghi di Pulisena cel mostra. Questi, più ch’altri, fa gli uomini audaci e forti, né so qual maggiore essemplo ci si potesse dare che quello di Perseo, il quale per Andromaca fece mirabile pruova di virtuosa fortezza. Questi adorna di belli costumi, d’ornato parlare, di magnificenza, di graziosa piacevolezza tutti coloro che di lui si vestono. Questi di leggiadria e di gentilezza a tutti i suoi suggetti fa dono. Oh quanti sono i beni che da costui procedono! Chi mosse Vergilio, chi Ovidio, chi gli altri poeti a lasciare di loro etterna fama ne’ santi versi, i quali mai a’ nostri orecchi pervenuti non sarieno se costui non fosse, se non costui? Che direm noi più della costui virtù, se non ch’egli ebbe forza di mettere tanta dolcezza nella cetera d’Orfeo, che, poi ch’egli a quel suono ebbe chiamate tutte le circunstanti selve, e fatti riposare i correnti fiumi, e venire in sua presenza i fieri leoni insieme co’ timidi cervi con mansueta pace, e tutti gli altri animali similemente, egli fece quetare le infernali furie e diede riposo e dolcezza alle tribulate anime: e dopo tutto questo, fu di tanta virtù il suono, ch’egli meritò di riavere la perduta mogliere. Dunque costui non è cacciatore d’onore, come voi dite, né donatore di sconvenevoli affanni, né citatore di vizii, né largitore di vane sollecitudini, né indegno occupatore dell’altrui libertà: però con ogni ingegno, con ogni sollecitudine dovrebbe ciascuno, che di lui non è conto e servidore, procacciare e affannare d’avere la grazia di tanto signore e essergli suggetto, poi che per lui si diviene virtuoso. Quello che piacque agl’iddii e alli più robusti uomini, similemente a noi dee piacere: seguasi, amisi, servasi, e viva sempre nelle nostre menti cotal signore! -