Libro quarto - Capitolo 29
- Oh, quanto è il mio parere dal vostro diverso! - rispose appresso la proponente donna -. A me parea che qualunque l’uno degli altri fosse più tosto da prendere che il savio: e la ragione mi par questa. Amore, sì come noi veggiamo, ha sì fatta natura, che, multiplicando in un cuore la sua forza, ogni altra cosa ne caccia fuori, quello per suo luogo ritenendo, movendolo poi secondo i suoi pareri: né niuno avvenimento può a quelli resistere, che pur non si convengano quelli seguitare da chi è, com’io ho detto, signoreggiato. E chi dubita che Blibide conoscea essere male ad amare il fratello? Chi disdirà che a Leandro non fosse manifesto il potere annegare in Elesponto ne’ fortunosi tempi, se vi si mettea? E niuno non negherà che Pasife non conoscesse più bello essere l’uomo che ’l toro: e pur costoro, ciascuno vinto da amoroso piacere, ogni conoscimento abandonato, seguivano quello. Dunque, se egli ha potenza di levare il conoscimento a’ conoscenti, levando al savio il senno, niuna cosa gli rimarrà; ma se al forte o al cortese il loro poco senno leverà, egli li aumenterà nelle loro virtù, e così costoro varranno più che il savio, innamorati. Appresso, ha amore questa propietà: egli è cosa che non si può lungamente celare, e nel suo palesarsi suole spesso recare gravosi pericoli: a’ quali che rimedio darà il savio che avrà già il senno perduto? Niuno ne darà! Ma il forte con la sua forza sé e altrui potrà in un pericolo atare; il cortese potrà per la sua cortesia avere l’animo di molti preso con cara benivolenza, per la quale atato e riguardato potrà essere, e egli e altri per amore di lui. Vedete omai come il vostro giudicio è da servare -.