Libro quarto - Capitolo 25
- Molto m’è duro a pensare, graziosa donna, ciò che voi dite - disse il giovane, - con ciò sia cosa che chi il suo disio ha d’una cosa disiderata avuto, molto si debbia più nell’animo contentare, che chi disidera e non può il suo disio adempiere. Appresso, niuna cosa è più leggiere a perdere che quella la quale speranza avanti più non promette di rendere. Ivi dee essere lo smisurato dolore, ove iguale volere e ’l non potere quello recare ad effetto impedisce. Quivi hanno luogo i ramaricamenti, quivi i pensieri e l’affanno, però che se le volontà non fossero iguali, per forza mancherebbero i disii: ma quando gli animi si veggono davanti le disiderate cose, e a quelle pervenire non possono, allora s’accendono e dolgonsi più che se da loro i loro voleri stessero lontani. E chi tormenta Tantalo in inferno se non le pome e l’acque, che quanto più alla bocca gli si avvicinano tanto più fuggendosi poi multiplicano la sua fame? Veramente io credo che più dolore sente chi spera cosa possibile ad avere, né a quella per avversarii impedimenti resistenti pervenire puote, che chi piange cosa perduta e inrecuperabile -.