Quello eccelso e inestimabile prencipe sommo Giove, il quale, degno de’ celestiali regni posseditore, tiene la imperiale corona e lo scettro, per la sua ineffabile providenza avendo a sé fatti cari fratelli e compagni a possedere il suo regno molti, conosceo lo iniquo volere di Pluto, il quale più grazioso e maggiore degli altri avea creato, che già pensava di volere il dominio maggiore che a lui non si conveniva; per la qual cosa Giove da sé il divise, e in sua parte a lui e a’ suoi seguaci diede i tenebrosi regni di Dite, circundata dalli stigi paduli, e loro etterno essilio segnò dal suo lieto regno; e provide di nuova generazione volere riempiere l’abandonate sedie, e con le propie mani formò Prometeo, al quale fece dono di cara e nobile compagnia. Questo veggendo Pluto, dolente che strana prole fosse apparecchiata per andare ad abitare il suo natale sito, del quale elli per suo difetto era stato cacciato, imaginò di far sì che le nuove creature da quella abitazione facesse essiliare; e con sottile inganno la sua imaginazione mise in effetto, e del santo giardino voltò le prime creature, le quali per suo consiglio il precetto del loro creatore miserabilemente prevaricarono, e seguentemente loro con tutti li loro discendenti rivolse alle sue case, e rallegrandosi d’avere per sottigliezza annullato il proponimento di Giove. Lungamente sofferse Colui che tutto vede questa ingiuria, ma poi che tempo gli parve di dovere mostrare la sua pietà inver di coloro che stoltamente s’aveano lasciato ingannare e che stavano ne’ tenebrosi luoghi rinchiusi, allora miracolosamente il suo unico Figliuolo mandò in terra da’ celestiali regni, e disse: - Va, e col nostro sangue libera coloro, a cui Dite è stata così lunga carcere, e appresso te lascia in terra sì fatte armi, che gli altri futuri, a’ quali ella ancora non s’è mostrata, prendendole, si possano valorosamente difendere dalle false insidie e occulte di Pluto: e ricominci Vulcano per lo tuo comandamento nuove folgori, le quali, tu gittando, dimostrino quanta sia la nostra potenza, come già feciono -. Scese al comandamento del suo Padre l’unico Figliuolo dalla somma altezza in terra, a sostenere per noi la iniqua percossa d’Antropos, apportatore delle nuove armi, in disusato modo, non operando in lui la natura il suo uficio come negli altri uomini. La terra, come sentì il nuovo carico della deità del figliuolo di Giove, diede per diverse parti della sua circunferenza allegri e manifesti segni di futura vittoria agli abitanti; e egli, già in età ferma pervenuto, cominciò a riempiere la terra delle aportate armi e a fare avedere coloro, che con perfetta fede i suoi detti ascoltavano, del ricevuto inganno, porto dall’antico oste; i quali, come il perduto conoscimento riaveano, così delle nuove armi per loro difesa si guarnivano, e contra gli ignoranti la verità moveano varie battaglie e molte; e verso loro alcuno che volesse non si trovava potere resistere, però che sanza cura d’affanno e di corporale morte gli trovavano. E già delle vittorie de’ nuovi cavalieri entrati contra Pluto in campo, tutto l’oriente ne risonava; ma ancora le loro magnifiche opere l’occidente non sentiva, quando il Figliuol di Dio, avendo spogliata di molti prigionieri l’antica Dite, e essendo al suo padre ritornato, e mandato a’ prencipi de’ suoi cavalieri lo ’mpromesso dono del santo ardore, volendo che l’ultimo ponente sentisse le sante operazioni, elesse uno de’ suddetti prencipi, quello che più forte gli parve a potere resistere alle infinite insidie che ricevere dovea, e sopra l’onde di Speria trasportare il fece a un notante marmo. Il quale, pervenuto nella strana regione, con la forza della somma deità, cominciate contro quelli, i quali resistenti trovò, aspre battaglie, acquistò molte vittorie, e molti delle celestiali armi novelle vi rivestì. Ma poi, dopo molto combattere, trovata più resistente schiera sanza volgere viso o sanza alcuna paura l’ultimo colpo d’Antropos umile e divoto sostenne, e al cielo, per lungo affanno meritato, rendé la santa e gloriosa anima. I cui seguaci, dopo la sua passione, prese le martirizzate reliquie, in notabile luogo reverentemente le sepelliro non sanza molte lagrime. E ad etterna memoria di così fatto prencipe, poco lontano all’ultime onde d’occidente, sopra il suo venerabile corpo edificarono un grandissimo tempio, il quale del suo nome intitolarono, ardendo in esso continuamente divotissimi fuochi, rendendo in essi al sommo Giove graziosi incensi. E esso, giusto essauditore, non fu tanto nella sua vita valoroso resistente a’ difenditori della falsa oppinione, quanto dopo il suo ultimo dì fu molto più grazioso conservatore de’ suoi fedeli, però che Giove in servigio di lui, nel suo tempio essaudendo le debite orazioni, mirabili cose facea, onde la fama dell’occidentale Iddio risonava per l’universo. Certo ella passò in brieve tempo le calde onde dello orientale Ganges, e nelle boglienti arene di Libia fu manifesta, e dagli abitanti nelle ghiacciate nevi d’Aquilone fu saputa, però che egli non porgea risponsi, come far soleano i bugiardi iddii, ma con vere operazioni ne’ bisogni soccorrea e soccorre i divoti domandatori: e per questo più la santa fama per il mondo risuona.