Libro primo - Capitolo 14
Mentre che il re con lagrime e con sospiri faceva la detta orazione, volgendo alquanto i lagrimosi occhi verso quella parte dalla quale il furioso toro era fuggito, vide il toro in uno vicino bosco per difetto di sangue caduto, e sopr’esso essere, come folgore volando, disceso da cielo il divino uccello, e sopr’esso toro per grande spazio essersi pasciuto, e appresso quindi levarsi e volare verso quelle parti onde doveano quello giorno prendere il loro cammino i suoi popoli. La qual cosa veduta, in se medesimo preso il volo di quello uccello per buono agurio, assai più d’allegrezza e di speranza si riempié, che non fece Paulo alla voce di Tarsia quando disse: - Persio è morto -, o Lucio Silla quando vide dallato del suo altare cadere il morto serpente ne’ campi di Nola. E mutato il lagrimoso aspetto in lieto, con alta voce cominciò a dire al suo popolo: - Rallegratevi e prendete debito conforto, signori, però che Giove pietosamente ha mutato consiglio e, fatto verso noi pietoso, gli è de’ nostri danni incresciuto, però ch’io ho veduto che il sacrificio da noi rifiutato e che delle nostre mani fuggì, egli l’ha benignamente accettato: e ciò ci manifesta il suo santo uccello, al quale io vidi il toro, già con poca forza rimaso, abbattere nel vicino bosco, e sopr’esso per lungo spazio si pascé, levandosi poi, ha il suo volo ripreso, verso i nostri avversarii, quasi mostrandoci che via noi dobbiamo fare. Onde pare che Giove benignamente ricevuto l’abbia, poi che alle nostre schiere ha mandato sì fatto duca. Or dunque cacciate da voi ogni dolore, e pieni d’allegrezza accendete i fuochi sopra i santi altari, e date agl’iddii divoti prieghi per la nostra vittoria, e poi sanza niuno indugio i nostri passi verso quella parte, onde volò il santo uccello, dirizziamo, però che già si manifesta agli occhi la disiderata vendetta dovere pervenire fatta a prosperevole fine -.