Fede e bellezza/Libro sesto

Libro sesto

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Libro quinto Appendice


Andò, fatto pasqua, Giovanni a trovarlo, sì per aver seco discorso di scienza religiosa (a lui sopra tutte cara), sì per vedere nuove forme di poggi e di valli e di seni, nuovo ondeggiar di foreste, nelle quali sentiva, com’Elia già, sommesso e soave passare lo Spirito. Vide del mesto Morbihan la semplice gente e severa errare taciti e disadorni sui campi impoveriti d’ombre sin da quando ogni macchia nascose un fucile sterminatore de’ Rossi; vide la terra allegrarsi nel Finisterre di correnti e di verdura e di variati declivii: pregò nella chiesa di Pontcroix fabbricata elegante dalla magnifica pietà degli antichi, che in belli monumenti ponevano l’oro disperso adesso in vizi inetti, e lasciavano alla posterità scolpiti in perenne linguaggio, alteri ed umili, i loro ammaestramenti paterni e i rimproveri: poi tra le liete ombre di Pontcroix e gli squallidi stagni d’Audierne, trovò la casetta ospitale del prete, e i commossi colloqui, e le veglie quasi con rimorso prolungate, della sua giovinezza. Si librarono insieme sulle balze precipiti del capo del Ratz il quale assordano con infaticabile muggito l’onde divoratrici di corpi umani: videro bruna tra la spuma l’isoletta di Sain, dove le giovani donne sono apprese a cantar dolcemente in versi bretoni le lodi di Dio: furono insieme a un perdono a una chiesetta eminente su un poggiuolo ignudo in prospetto del mare, dove la gente da tante bande raccolta, varii di colori e d’atti e di fogge, inginocchiati a calca nel sacrato, cavalcanti pe’ sentieretti e nel pianoro, sedenti sotto le tende, festeggiano con abbandonata allegria; e belle donne dal sorriso italiano; e giovanetti, all’arie del viso e alla mossa e a’ lunghi capelli, e al guardo mitemente severo, degno modello dell’arte.

A Pontcroix cercò di Matilde, della buona Matilde, della quale l’affetto egli adesso sospettava, avvertitone da Maria. Er’ita a stare a Quimper. E’ propose, tornando, cercare di lei, e rivedere i dolci luoghi passeggiati in compagnia di Maria, perdersi ne’ sentieri ch’erran fondi e pur gai tra siepi distinte di fiori; guardare dall’alto lo smalto fiorito che veste i campi fitto, e fiori appiè de’ cespugli, fiori appiè delle croci, fior sulla via.

Accomiatatosi dunque dal prete, venne a Quimper. Alla tavola dell’albergo trovò con due Nantesi un Italiano che, ormai cittadino di Francia, all’antica patria insultava e in fatti e in parola, credendo così ingrazionirsi i Francesi, lo sciagurato: e mentr’essi vogliono i figliuoli loro ammaestrati nell’italiano, egli a’ suoi non volgeva un suono dell’idioma che sua madre parlò: pieghevole ingegno, ma senza inspirazione d’affetti; e in questo solo non mediocre, che sapeva in faccia a’ semplici evitare della mediocrità le apparenze. Cadde parlar dell’Italia: e qui un de’ Nantesi, le solite cose che i Francesi (gente ripetitrice, e in questo solo costante), ricantano con vanità soverchiamente molesta. Giovanni che, avvezzoci omai, vi badava come al suono d’uno scacciapensieri, e o rispondeva nulla, o con sorriso, o dicendoli ignoranti di tutto che francese non sia; Giovanni che e per coscienza, e per riverenza al buon senso, e perché il coraggio poneva in cose alquanto più difficili, aveva sempre disprezzato ogni provocazione coll’affrontarla quasi, e senza restare di dir fino all’ultimo le sue ragioni; quel giorno, fosse stizza dell’Italiano rinnegato, o che l’avversario gli paresse meno sciocca creatura delle solite, inalberò.

"Giudicare "disse "né intendere le nazioni straniere, i Francesi non seppero mai. Ma quand’anco i rimproveri che all’Italia si fanno, fossero veri, ripeterli non ispetta a una nazione che le fu or serva e discepola, or alleata e sorella, che con le bugiarde promesse tanta parte ebbe nella sua decadenza. E ad ogni modo, rinfacciar la sventura, per meritata che sia, non è né urbanità, signore, né dignità, né coraggio."

"Ripiglieremo "rispose il Francese "il discorso a miglior luogo."

"Dove e quando vi piaccia."

La sera medesima il Francese gli scrisse: "Domando se le ultime parole da voi dette quest’oggi venivano a me: se sì, ne chieggo ragione. E per non parere ch’io voglia approfittarmi de’ miei vantaggi, a voi la scelta dell’armi".

Rispose: "A chi le mie parole andassero, voi sapete. Scelgo la pistola: e accetto a due patti: che voi, signore, tiriate primo; e che la cosa si differisca quanto bisogni a ordinare i miei fogli, e assicurare a mia moglie la vita. Dodici ore dopo giunto a Nantes, sarò pronto. Partiamcene insieme. Di questo, come d’atto cortese, vi sarò grandemente tenuto".

Come Giovanni credesse poter conciliare tal passo con le credenze sue, dirò poi. Partirono il dì ventotto d’aprile, e sull’alba del trenta furono a Nantes. Maria che del suo giungere non aveva novella, era a letto mezzo malata. Lo accolse con gioia mista di gemito e di sorriso, come persona che si consola e patisce, e non vuol parere di patire. Egli in vederla così, si sentì stringere il cuore; e non sapeva da che parte farsi per prepararla. La gli domandava perché non iscrivergli: e poi di Matilde (la quale e’ non aveva, per non amareggiarla, voluto vedere), e della salute sua: e lo guardava fiso. Egli per sottrarsi al tormento di dolorose menzogne, si disse stanco; e la pregava si ricoricasse: ed ella obbedì.

Giovanni si mise nella vicina stanza a scrivere le ultime lettere e il suo testamento. Ma Maria, nel sentirlo armeggiare co’ fogli, entrò ansiosa e tutta vestita, senza dire parola. Credett’egli tempo di cominciare, e le disse: per un caso sopraggiunto debbo scrivere a lungo e senz’indugio. Scusate, Maria: tra poco ve lo dirò.

"Oh dite subito, ve ne scongiuro: qual caso?"

"Fra poco. Lasciatemi solo un momento; e raccomandatevi a Dio."

Si rimise a scrivere, ma interrotto dal pensiero di lei che seduta col braccio posato sul letto e la mano sulla fronte, aspettava trepidando. Egli s’alzava di tanto in tanto a guardare dalla porta socchiusa il suo atteggiamento, e una pietà ineffabile gli vinceva l’anima. Maria lo scorse una volta, e rizzandosi verso lui: Giovanni, non avrete voi compassione di me?

"Maria, vi siete voi raccomandata a Dio?"

"Oh sì."

"Ripregatelo: e vengo."

Si rimise a scrivere: ella s’inginocchiò; ma per un momento; ed entrò da lui, colorata di rossore angoscioso. La prese sulle sue ginocchia, senz’osar di guardarla; e abbracciandola, disse:

"Maria, vi ricordate voi d’una promessa che mi faceste da’ primi giorni ch’io vissi consolato di voi?"

"Per pietà, dite subito."

"Che se all’amore d’Italia, al bene de’ fratelli io dovessi sacrificare la vita..."

(Qui Maria si rizzò, impallidita in un subito...) "...vi chieggo perdono, Maria, del dolor che vi reco. Potessi tutto io solo sentirlo!"

"Un duello? Dite... Non è possibile: non sarà mai. Come! la vita, la vostra vita? Non è possibile. Io lo vedrò codest’uomo, gli parlerò io: gli dirò che e’ non ha diritto di rapire la mia, la mia vita. Che gli ho fatt’io? Chi sarà tanto vile da volere straziare una infelice donna?"

"Maria!" (e la guardò tra severo e supplichevole, la prese per mano, e la fece sedere accanto a sé).

Ella abbonita ma più disperatamente ambasciata che mai: oh Dio mio, e voi potrete soffrirlo! M’avete conceduto questo respiro di bene per tormentarmi poi più atrocemente? Come? così tutt’a un tratto? Me lo figuro tranquillo, sano; gioisco nell’imagine di rivederlo, ed egli vien per morire! Ma non pensasti tu a me? Non sai... (e gli si gettò al collo coprendolo de’ suoi capelli sparsi) non sai quant’io t’ami? Non sai che tu sei necessario alla salute dell’anima mia? Che se ti perdo, io muoio perduta?

Egli tentava sciogliersi da quegli amplessi tremendi: e la pietà e la vergogna soffocavano il suo dolore.

"Maria, non è tempo di piangere. Abbiate compassione di voi e di me. L’ore fuggono. Raccomandatevi a Dio."

"Quando?" (e gli occhi rasciutti le sfavillarono nello spavento).

"Tanto da ordinare i miei fogli, da preparare l’anima mia, la vostra. Vi domando perdono. Iddio sa se lo fo per servire all’orgoglio mio, ai pregiudizi degli uomini. Voi sapete s’io vada per uccidere."

"Ah troppo lo so."

"Lasciate ch’io dia quest’esempio, che può salvar molti, può almeno onorare l’Italia. Quest’Italia insultata, io la vendicherò non coll’uccidere..."

"Oh basta. Ma dite, com’è seguito? con chi?"

Gliene disse: Maria rimaneva abbattuta guardandolo con occhi erranti senza quasi vederlo né udirlo: ed egli seguiva:

"Il tempo stringe. Pregate, Maria: lasciatemi solo un momento."

"Oh no."

E si sedeva, e con le mani commesse insieme, crollando il capo come chi connette appena, diceva: "che farò io poverina?" — Il dolore grande non grida, e chiude l’anima ristretta: se non che a quando a quando l’intelletto riaffacciandosi, fa la smania disperata. Lei che negli anni teneri poco aveva provato degli affetti semplici che allevano l’anima tra la puerizia e l’adolescenza; l’amore innocente l’aveva adesso ricondotta agl’ingenui moti, alle impazienze, alle debolezze dell’età prima prima. E adesso la si doleva con l’impotente disperazione di bambina accorata; dolore che par meno terribile perch’ha parole men forti, ed è più di tutti memorando, perch’urta in anima disarmata.

Giovanni ripeteva: non sarà nulla, sebbene altro pensasse; e smaniava del non poter scrivere con mente tranquilla; e temeva che la disordinata dicitura di quell’ultime parole gli fosse imputata a turbamento pauroso: nel quale timore entrava un po’ l’orgoglio, ma più la brama di consumare esemplarmente il suo sacrifizio. E mentr’egli pensava le parole più schiette per dire l’intenzione sua e le più efficaci per raccomandare a’ suoi fidati Maria, i singulti di lei lo sturbavano in modo crudele e quasi importuno. Miseri noi che non sappiamo soffrire neppure gl’indizi del grand’amore!

Scrisse a Rosa, a Matilde; al prete di Bretagna non osò, non perché diffidasse, ma per non moltiplicare battaglie a quell’anima affranta. Quando fu per estendere il suo testamento, pregò lei ch’andasse a pregare nella vicina chiesa di san Giuseppe; e negand’ella: "in chi sperate voi dunque?"Andò quasi vergognosa e si mise a pregare con gli occhi al cielo, la mente alla terra. Ah chi aspetta i gran dolori per volgersi a Dio, sceglie pure un cattivo momento. Solo l’abito del pregare può in quegli spasimi premere la foga del pensiero fuggente là dove l’angoscia lo tira. Ma più ella pregava, più l’anima con volo agitato e quasi colomba ferita, si reggeva in alto; più la s’affisava, (pensando a Dio) nell’oggetto del suo terrore, e meno disperatamente inorridiva. Sovrumana virtù della fede! Nelle parole usuali, per tanti anni ripetute senza trovarvi alcun senso profondo, in quell’atto ella scopriva un valore, un effetto nuovi: dal dolore interpretate, le rischiaravano il dolore, e parevano medicina che l’amor di Dio avesse da molto tempo riposta all’estremo suo male. Poi la mente stanca e atterrita fuggiva, poi ritornava con impeto confidente; e il pentimento del così divagarsi era anch’esso preghiera.

Giovanni scrisse intanto le cose che seguono: "Quel ch’altri fa per rancore, mi si perdoni s’io fo per amore; quel ch’altri per servire al pregiudizio, s’io per vincerlo. Potessi spegnerlo col mio sangue! Ma quando a un solo uomo fatto vergognoso dall’esempio mio, rimordesse l’uccidere un fratello, avrei bene spesa la vita. O Italiani, mostrate in degni atti il coraggio; sappiate vivere a tempo, a tempo morire. Con questa intenzione io vo spontaneo al duello come a pensato sacrifizio. Potess’io offrire a Dio per voi tutti un sangue e uno spirito puri! Ma degli esempi co’ quali ho attenuata o distrutta l’autorità delle mie parole, vi chieggo perdono; perdono dell’avere ne’ miei scritti mancato dell’amor fraterno, il quale i difetti altrui dovrebbero far più sollecito e più riverente. Le intenzioni non erano triste: l’affermo in queste che son forse a me l’ultim’ore.

"Affido la mia memoria agli amici miei: dagli scritti che lascio, traggano i meno incompiuti, e veggano, scorrendo il resto, se possono attestare che il poco ch’io feci, era minor del concetto; che, bastando la vita, avrei forse impressa in parole quell’imagine di bellezza che mi sta confortatrice e tormentatrice nell’anima.

"Lascio il mio cuore all’Italia, che sempre l’ebbe. Mia moglie raccomando a’ parenti miei. Ma se l’eredità de’ beni miei le è negata, le lascio, benedicendo, la mia povertà senza macchia, e l’affetto candido d’amici che la ricchezza non dà, la sventura non toglie".

Scritto, uscì a confessarsi. — Errava egli nel credere lecito il sacrifizio di sé, e il consentire a questo omicidio con la speranza di risparmiarne altri assai?

Maria tornò: non trovandolo, pensò foss’ito al duello senza dirle addio; e la forza di che s’era armata nella battaglievole preghiera, le cadde a un tratto. Girò gli occhi intorno, chiamandolo a voce squarciata; stese le mani alle lettere sigillate: ma (tant’era l’abito del vincersi) non le aperse. Aveva promesso nascondere a tutti la cosa: onde in quella foga di pianto non poteva né manco singhiozzare a suo agio, non forse que’ gridi paressero agli estrani artifizio di viltà per sottrarre il marito al pericolo. L’angoscia ritorta in sé, la lacerava come ferro uncinato che non si possa trar fuori. Già dava in delirio. La misera errava a passo lento lungo le pareti della stanza, movendo le labbra senza parola, brancicando e soppesando e lasciando cadere checché le venisse tra mano, massime se cosa puntuta o tagliente; ma senza pensar di morire, senza guardare. Si fermava alla finestra di dietro a dove riesce l’uscio, in atto d’aspettare. Du’ ore ancora così; e la impazzava.

Non sentì il noto suono del suo salire; se lo vide come un’apparizione, dinanzi. Allora credé finito in bene ogni cosa, e diede un grido gettandogli le braccia al collo: ma nel vederlo accorato della sua gioia, s’accorse del vero, e si scostò desolata, pur ringraziando Iddio del vederlo, e guardandolo fiso. Egli si mise a legare insieme i suoi fogli, e l’avvertiva dell’uso da farne, pregava l’aiutasse; ma ella, rispondeva: sì, e stava immota. Poi, scossa s’affaccendava, e si faceva ripetere le cose udite, e le ripeteva a bassa voce da sé come per rammentarsele.

Mancava un’ora al fissato: Giovanni se la fece sedere accanto, pregò stesse attenta per carità; ed ella ritrovò tutto il lume della mente in udirlo: ma non rispondeva.

"Maria, non so né anch’io quel che chiedere; quel che sia il meglio vostro, il mio, l’altrui. Chi sa per quali vie ci voglia Iddio condurre a sé, il buon Iddio. Raccomando a lui la vostra vita, o Maria. Lo ringrazio che in voi m’ha dati, insieme uniti, a me indegno, l’amore e il rispetto, il piacere, la pace e la virtù. Vi ringrazio del bene che m’avreste fatto col vostro infaticabile amore per tutto il restante della mia vita. Chieggo perdono se ho mal corrisposto, se non ho inteso o fatto vista di non intendere le delicatezze del vostro affetto, se ho taciute le gioie profonde dell’anima mia. Perdonatemi. Perdonate a tutti: desiderate a tutti quel bene ch’a me. Dite che perdonate, Maria."

"Oh sì: a tutti perdono."

"V’affido questi fogli: scorreteli; e quelli che possono nuocere all’altrui pace o alla fama, bruciate: non ve li lasciate uscir di mano a verun prezzo. Di questo non dubito: che vi conosco."

Qui Maria, che non poteva far parola, come persona vinta, gli fece cenno restasse. Egli tacque un poco, e poi seguitò:

"I fogli che son qui legati, mandate o portate a G... C..., scelga que’ che son da stampare, e corregga, e ne tragga da’ librai quel che può, e ve lo dia. Quest’è forse tutta la mia eredità, o sfortunata. Là entro è quel po’ di danaro che vi farà qualche mese. Altro non posso lasciarvi che la benedizione mia. Iddio vi dia forza di guadagnare e di sopportare la vita: ma se a qualcuno dovreste ricorrere, non a’ ricchi, Maria. De’ ricchi il più fa il bene a estri; non conosce quella pietà continova che dà l’esperienza del dolore. Da Rosa non vi darà l’animo di tornare a Parigi, città infausta a voi. Vedete di stare con Matilde: parlerete di me qualche volta. Dovunque viviate, o sfortunata, pensate che portaste il mio nome. La mia memoria vi raccomando; l’onor mio..."

Qui diede in singhiozzi non di dolore ma di tenerezza: ed ella sollecita e supplichevole accennò non alzasse la voce, e l’abbracciò, dimentica in quel punto del proprio tormento, e pensosa dell’onore di lui. Conobbe egli allora più che mai qual donna gli avesse Iddio data a moglie. Seguitò:

"Se occasione vi capita..."

Ella intese, e con disperato atto crollò il capo, e stese alla bocca di lui la mano e disse: il conforto mio è che poco da penare mi resta". Gli mostrò una pezzuola intrisa di sputi sanguigni, che la celò sempre a lui come donna rea cela il fallo, per non l’accorare, o ch’e’ non l’obbligasse a smettere le sue faccende, o non ispendesse per lei. Egli allora:

"Perdono, Maria, se ho strapazzata la vita vostra, se non mi son saputo avvedere del vostro patire. Dite che mi perdonate, Maria."

Ella ansimando gli prese la mano, e se la mise sul cuore premendola senza guardarlo.

"Se m’avete perdonato, promettetemi che, quant’è da voi, viverete. Non fate ch’io vada con questo rimorso. Io sarò sempre con voi: l’anima mia starà nei vostri pensieri."

Sonarono le ore: egli si rizzò spaventato credendo le cinque; ma sentite al rintocco le quattro, si ricompose, e si preparava ad uscire. Ella imaginava di vederselo dinanzi sanguinante, caldo ancora della vita fuggita, ma pallido e disteso; e le pareva sogno. La alzò quasi di peso, la baciò; Maria a labbra aperte non rendeva il bacio; non poteva. La condusse accanto al letto: la pose in ginocchio, e all’imagine della Vergine: "a voi"esclamò "la raccomando": ed usciva. Ella diè un fioco grido per richiamarlo, si tolse di collo un rosarino che aveva, memoria di sua madre, glielo mise addosso; e rincorata da quell’idea, lo baciò. E nascondendo il viso nelle mani, chinò la persona sul letto tra il vaneggiamento, l’agonia e la preghiera.

Ma perché non la confortav’egli con più carezzevoli parole, con la speranza di ritornar vivo e sano? — Perché, non l’avendo questa speranza, non voleva profanar con menzogna la santità dell’ultimo abbracciamento; perché la stima e la fiducia sua nell’anima di Maria superavan l’affetto, e parevano sopprimere la pietà; perch’e’ non osava farle poi più crudele l’annunzio della sua fine, e sapeva bene come terribile sopravvenga a speranza ostinata e a infiammato affetto un immedicabil dolore; perch’egli andava disposto a consumare quel che pareva a lui sacrifizio, e sperare d’uscirne, era un toglierne il merito; e l’intenerirsi in quella imagine gli pareva mollezza: perché più d’ogni cosa l’atterrivano le spese e i perditempi e le cure che costerebbe a lei malaticcia una ferita non mortale ma grave; sebbene, anche a ciò fosse già preparato: perché l’uomo che con parole consola l’ambascia altrui, non la sente nel fondo. E s’io aggiungessi che in certe strette l’uomo ha di bisogno di sentir pronto e forte l’altrui dolore, che regga il suo? E se dicessi che questa non è crudeltà, è debolezza? — Ma troppi commenti.

Andò prima dell’ora a veder s’eran pronti i padrini, i quali il Francese volle dargli di forza; che Giovanni ne voleva far senza, per non mettere in compromesso i suoi conoscenti. Del dolore di farli complici all’atto reo dell’avversario, si consolava nel pensiero dell’esempio ch’essi ed altri n’avrebbero. Il Francese scelse l’avvocato che aveva, presente Giovanni, offeso l’Italia, e poi chiestogli scusa; e un medico ateo, che dalla bontà dell’animo molta veniva a poco a poco condotto a credere le verità già negate con ira. Al vederli, e’ li pregò a bassa voce di non si scandalezzare, aspettassero di giudicarlo alla fine. Un padrino dell’altro mancava: Giovanni annoiato, e non per fretta trepida di paura (che in ogni moto spirava l’animo suo rassegnato con sicurtà), fece un atto d’impazienza: l’atto irritò il Francese, a cui quella calma sdegnosa pareva disprezzo. Uscirono finalmente. Giovanni raccomandava per via all’avvocato sua moglie: come assisterla, e mandarla dov’ella desiderasse. Giunti al luogo, il Francese, secondo il patto (e lo credeva bizzarria o ubbia o pretesto; però l’accettò), tira primo. Coglie Giovanni nel petto. Quegli s’appoggia ad un albero, e con voce ferma: "Tiro a quel salcio". E vi colse.

Poi seguitando: il signore certamente non è soddisfatto. Ricominciamo.

"A che patti?"

"A questi."

"Codesto è un insulto."

"S’io pregassi voi di tirare agli alberi piuttosto che a me, potreste offendervene, o signore: ma io posso delle mie palle e della mia pelle far l’uso che più mi garba, finché voi non abbiate finito."

"E questa è la risoluzione vostra?"

"Provate s’io scherzi."

"Io non sono qui venuto a fare l’assassino."

"E vorreste forzarmici me?"

I padrini tacevano. Il Francese dopo breve silenzio, con quell’agilità ch’è il loro pregio insieme e il difetto: qui non c’è mezzo; o ammazzarvi o avervi amico.

"Si può e l’uno e l’altro insieme."

Tese la mano a Giovanni: il medico vide la ferita, grave, non mortale però: l’avvocato corse da Maria.

Inginocchiata e fuor di sé, non sentiva più la su’ angoscia: ma al suono de’ passi volse il capo, e prima di veder l’uomo, intese la voce: "coraggio, madama; vostro marito vive. "Si rizzò senza rispondere, e sedette tremando. Ah miseri noi, la gioia non è forte tanto quanto il dolore! Accolse la nuova come compenso debito al suo tanto soffrire; alzò gli occhi per ringraziare Dio: ma pareva dicesse: "e come potev’essere se non così? sarebbe stata ingiustizia". Quando sentì della ferita, ricominciaron gli spasimi: peggio, quando lo vide in carrozza, e salire portato. Mise uno strido, e scese a rincontro. Ma nell’abbracciarlo, sentì quel che stava per perdere, sentì la gratitudine a Dio profonda, e pianse abondantemente senza parola. Non sa soccorrerlo; lascia ch’altri facciano: lo guardava e piangeva.

La ferita prese in pochi dì buon aspetto. Ma il timore ingrandiva a Maria e prolungava il pericolo. La credeva le celassero il vero, e ch’egli soffrisse più, ma tacesse per non l’affliggere: e co’ falsi timori aggravava il male di lui daddovero.

Veniva il Francese a trovarli: e più li conosceva, più si vergognava in sé del passato. Un giorno, sebben gli pesasse tornare su questo, disse di secco in secco a Maria: converrebbe, madama, per riguardo agli spasimi delle mogli innocenti, stabilire almen questo: che l’ammogliato potesse rifiutar la disfida, come il superiore od il nobile quella di plebeo o di minore.

Maria rispose: voi dite le mogli. Ma e le sorelle? e le figliuole? e le madri?

Giovanni allora gli raccontò di certo suo mezzo rifiuto; glielo raccontò sorridendo, così:

Un impiegatuzzo di dogana, favetta al possibile, e dotto tanto che dava a Alessandro la vittoria di Maratona, cascò sull’Italia. Gli feci capire che le sue considerazioni erano alquanto ridicole. "Perché ridicole?" domandò mi spiegassi. Sorrisi, e dissi alquanto difficile spiegargli il perché della cosa. Né sulla spiegazione tornò: ma fosse tornato, non avrei fatto l’onore al doganiere dotto di sparare ad un salcio per lui.

"Noi siamo leggeri" (confessò il Francese con franchezza più nobile d’ogni orgoglio): "e vani".

"Parete" rispose Giovanni "più di quello che siate. Né ogni vanità ammazza il merito. A molti la vanità sta negli atti, e in certe parole che ripetono sbadatamente; ma il fondo dell’anima è più modesto che d’altri in vista umilissimi. Passando da Agen, la città degli ombrosi passeggi e delle piante antiche (delle quali povera Bordeaux, scuote al sole il bel capo di gioiosa baccante); entrai a farmi fare la barba dal vostro Jasmin, poeta, dopo la Sand, della Francia primo, e più di lei in questo che consente col popolo. La boria, più che guascone, dell’uomo faceva spiacevol contrasto col lume della fronte ispirata e degli occhi, con la parola imaginosa e percuotente diritta nel segno: e nondimeno, quando il vantatore impronto mi si mise a recitarmi tradotti in prosa francese de’ versi suoi, tali erano, e con tale accento li dissi ch’io sentii negli occhi le lagrime. La natura permette i vizi; ma insieme prepara i compensi. Non arrossite, o Francesi, della razza vostra; ma non disprezzate l’altrui.

Si riaveva Giovanni: Maria languiva. La tosse secca, ospite sua da anni, anelava più affannosa che mai. Gli sbadigli penosamente lenti; la rocaggine che le velava la voce più dolcemente mesta; e, ne’ brividi, il calore subito, i sonni agitati, le digestioni faticose, lo sputo tenace; tristi indizi in persona di pelle delicata e d’alta statura. Ella non ci badava, o faceva le viste: egli se ne accorava in sé, ma sperava.

Gli fu dato poterle prestare cure migliori: che conoscenti suoi gli avevano senza supplica di lui ottenuto un lavoro dalla commissione illustratrice de’ documenti storici fondata in Francia; cosa che da politica era in tutto aliena. Pur nondimeno, prima d’accettare, rammentò egli al ministro Guizot le opinioni sue differenti da certi atti dei governanti la Francia, e indicò lo scritto dov’egli le aveva esposte: delatore di sé. Il Guizot pregiò l’atto, non ch’adontarsene; e gli commise il lavoro. Poté Giovanni così provvedere con più agio alla salute della dolce sua donna. E, consigliando i medici il moto, presero a far qualche gita.

Andavano un dì di giugno a Nort su per l’Erdera: e l’impeto delle rote che il vapore affatica, piegava, come fa il vento le messi, i galleggianti fiori e l’alta erba lussureggiante: e dall’amena pianura sorgevano radi i pioppi a rammentargli l’Italia. Maria tossicava tacendo: Giovanni nel pensare alla gita d’anno sull’Odet, e di idea correndo in idea, sospirò. Ella, avvistasene, lo conquideva con l’inquieta smania che suole assalire i malati, per sapere il pensiero di quel sospiro. Rispose:

Pensavo a una povera donna con la quale m’abbattei sul vapore a Bordeaux, pallida come voi, più pochina di voi, piena di senno e di pudica mestizia le parole, gentile in ogni atto più che gentildonna, perché leggiadria le veniva non dall’abito cieco o dalla vanità vigilante, ma dal continuo inconsapevole affetto. Due bambini eran seco, imagine sua: uno da lei tenuto a mezza vita, sulla sponda del legno si spenzolava giocolando. Io non vedendo la man della madre tenerlo, temetti per lui, misi un grido: ed ella mi guardò sorridendo riconoscente. Poche parole ci dissimo rispettose: ma ella negli occhi miei leggeva la candida volontà di più dire; io ne’ suoi. Nella notte il disagio la fece sputar sangue: non la rese però più pensosa. Giunti a Tonneins suo soggiorno (allegro paesello che inerpicato sull’arduo masso pendente, sta dalla lunga ringhiera, quasi da terrazza, a guardare il bel fiume che va); ella chinando gli occhi e poi lentamente levandoli, con voce esile mi disse addio. Le risposi con l’anima; ma nell’impazienza che par talvolta rompere gli affetti miei più veraci, le volsi le spalle, mentr’ella guardandomi pareva volesse aggiungere qualcosa, e non saper che. Del brusco atto, quanto mi pentii nel vederla irsene per sempre da me!

Sarà morta, soggiunse Maria.

E perch’egli taceva, pentito dell’aver tocca questa corda, ella cambiò discorso con quell’agilità piena d’arte pietosa che nelle anime affettuose mette Iddio.

Preso da Blain, scorsero l’ampio antico bosco di Gavre, qui macchia umile, lì grande foresta; cavalcarono il viale che corre diritto tre miglia tra spalliera d’abeti, di quercie, di pini. Penetravano sotto i rami tesi a festoni e stillanti rugiada; coglievano il gaio fior dell’acacia, e Maria con un ramo fiorito percoteva il cavallo. Entravano nelle capanne de’ poveri zoccolai, che, divisi dalle mogli e dal mondo, ivi passano i dì faticosi e le umide notti. Videro le cave non lontano da Nort, e Maria volle scendere per le ripide scale confitte a perpendicolo alla parete del buco altissimo; volle addentrarsi nelle vene, l’una all’altra con disegno mirabile corrispondenti, del carbone che veste luccicando il lubrico masso; saltare sui pianerottoli tra scala e scala, e posare ivi un poco il piede sicuro, indi avventurarsi a scesa più ardua; e con la guida d’un lume che dal cappel di metallo getta il languido raggio sulle angustie dell’umido fondo, guardar di laggiù la luce del giorno da breve pertugio, simile a pallida luna in notte tetra. In quell’aria a lei sana avrebbero fermata dimora: ma le comodità necessarie ad inferma nel paese mancavano.

Poi scendendo la Loira, videro il fiume dal mare respinto distendersi in mesta ampiezza, sì che l’occhio appena abbraccia le due rive; e le campane della chiesetta povera di san Nazzaro mandar sull’onde il saluto che fa ripensare della patria e di Dio: passeggiarono di là dal Croisic lungo la sponda inabitata dove il grande oceano infrange tonando le onde viaggiatrici per ispazio d’abissi e di cieli smisurato; le infrange nelle arene lucenti per pietruzze eleganti, per conchiglie dipinte di gai colori; le infrange ne’ massi, nido di candidi uccelli che sulle spume volteggiano aliando sicuri, ne’ massi imminenti, incavati, che quasi cetre giganti rispondono all’ingruente tempesta. Videro nel borgo di Batz, tribù piccoletta, distinta per puro linguaggio e forti membra e vestir mondo e suo, una cappella scoperchiata, di cristiano disegno, ricco di casti ornamenti, gaia in sua composta bellezza, quasi perla minuta dell’arte gettata sul lembo dell’immensa natura, lieto inno che la fede umile dell’uomo contempera al concento tremendo delle tue opere, o Dio. Con loro era un architetto ch’aveva i lineamenti e la fede bellicosa de’ cavalieri normanni suoi padri, innamorato dell’arte, conscio della dignità santa di lei, uomo memorabile a Giovanni perché nuovi seni gli rivelò della interminata bellezza.

Tornarono a Nantes: ella un po’ riavuta, pur lassa. Ora per non amareggiar lui, faceva inganno a sé del suo stato; or s’abbatteva vinta. Un giorno passando davanti alla spera, si guardò più fiso che non solesse, e: "sono assecchita "domandò: "non è vero?" Egli che mai le parlava né della bellezza né d’altro de’ pregi che gliela rendevano terribilmente cara, in quel momento, abbracciandola: "oh no "sclamò "tu sei bella." E della lode e del tu, come d’atto irriverente e volgare, si vergognò seco stesso.

Passeggiando un giorno l’ampie strade serene, quasi unica bellezza di Nantes, venuti all’informe porta del non disameno cimitero, Maria volle entrarvi. Cadeva un’acquerugiola con affrettato moto come di trepida gioia, e i fiori arridenti alle tombe s’inchinavano tremuli sotto la brezza piovigginante. — "Belle le rose tra i cipressi; belle le corone appiè delle croci" disse Maria. Leggevano le iscrizioni o semplici e pie, o vantatrici e senza cuore, o gravi d’affannoso amore umano senza pensiero a Dio: vedevano i lagrimoni grossi dipinti in bianco sul legno; d’alcuni monumenti le lagrime e le lettere già mangiate dal tempo breve; d’altri i fior secchi, d’altri atterrate o stroncate le croci: vedevano le annaffiatrici che per un soldo al dì fanno vivere quelle gracili memorie, e campan de’ fiori, del dolore altrui, della morte. Maria sedette su un’umile pietra in fondo là dove il suolo è più sgombro, e guardando al sole che riappariva in subita serenità: "questo luogo mi piace." Giovanni non osava rispondere; ella, quasi madre sollecita di far cuore a bambino che si perita, lo prese per mano e s’alzò. E pareva più tenera, più gioviale, più giovane di cuore che mai.

Ma in Nantes (città che non sa né di Francia né di Bretagna, dove e gl’ingegni e gli affetti materialoni), Giovanni pensava che, caso la s’allettasse, v’era da sperare non molta assistenza: e fu lieto sentendo lei stessa desiderare Quimper.

Quivi giunti, tornarono a uscio a uscio con Matilde, la quale li ricevé cordiale al solito, afflitta d’un suo bambino perduto di corto, e col fare incerto di persona che, non riamata ma avuta in affezione, abbia amato, e ami tuttavia, m’altrimenti. Giovanni er’anch’egli impicciato un po’ seco: se non che Maria col su’ affetto diffondentesi tutt’intorno, e con la pietà de’ patimenti suoi, li affiatava. E i patimenti crescevano: brividi, dolori alle giunture, alle costole, alle spalle, arsione e sputi cenericci, e l’ansima che non ristà se non coi rossori del viso, e tosse a letto più forte che mai, e non si poter posare che su un lato, e sudori da mattina, e sovente smania impazienti. Un giorno ch’ella credeva d’aver offesa Matilde, chiamò lui; e con le lagrime agli occhi disse che la non voleva più essere di peso a lui povero, e a lei sì buona; la mettessero all’ospedale.

"All’ospedale?" (esclamò, con ribrezzo accorato e cruccioso, Giovanni) voi! Piuttosto vendere il mio vestito e accattare. Sentite, Matilde?"

Matilde, chiamata, invece di rispondere a tono: Siete du’ matti. Ma che? credete che sia male serio? Non avete ma’ visto malati. E usciva per non si mostrare commossa.

Maria, ora le veniva la parlantina, e non s’avvedeva che il suo petto patisse; ora si chiudeva in silenzio disperato: e egli allora a stillarsi il cervello per trovar materia di discorso gaio. Un giorno di questi siffatti, tirati fuori certi versi composti poco prima che conoscesse lei, e glieli lesse.

 
Di casta donna un core
chieggo consorte al mio.
Ogni terren desio
cresce angoscioso e muore;
quel che consacra Iddio,
è più ch’umano ardor.
  
Disse il Signor: lasciate
de’ genitor le soglie,
la bene amata moglie
segui indiviso; e fate
in due terrene spoglie,
solo un pensiero, un cor.
  
Dio può de’ cor più rei
purificar l’affetto.
Di lume uguale e schietto
spandete, o pensier miei,
sul marital mio letto
un vergine candor.
  
Ella, taciuto, intenda
e affini il mio sentire,
brilli del mio gioire,
e come specchio il renda.
Del ben che dee venire,
Signor, ringrazio a te.
  
Gioia delle amorose
tue mani, o buon Signore,
donna innocente è il fiore
delle terrene cose.
Ma di mondano onore
carca la mia non è:
  
non è di vil ricchezza
l’unica mia fastosa,
né di voluttuosa
terribile bellezza:
è schietta, affettuosa,
mite, raccolta in sé.
  
Tale io la chieggo. O caste
spose de’ miei già morti,
che mansuete e forti
con lor la vita opraste,
voi le medesme sorti
dal ciel pregate a me.
  
Dell’anime che padre
mi chiameranno, o voi
spirti custodi a noi
guardate! o terra madre,
largisci i doni tuoi
a lei che il ciel mi diè!
  
Sia, come Rut l’umìle,
di poveretti nata,
e ignota, e a te, beata,
sia quanto può simìle,
o sposa inviolata
del fabbro nazaren.
  
Lieve sul suo concorde
lo spirito mio si stia,
com’esce l’armonia
dalle commosse corde,
e si diffonde via
per l’aere seren.
  
Ma chi son io ch’anelo,
indegno, a tanto dono?
Un de’ redenti io sono.
Come di luce il cielo,
Cristo, del tuo perdono
immenso, il mondo è pien.
  
Sgorga una fonte, a un rio
che in cupa selva nacque
s’incontra: uniscon l’acque
con queto mormorio;
li vede e sen compiacque
il florido terren.
  
Dove cresciuta sei,
e a che pensando or vai,
donna ch’ancor non sai
che ne’ contenti miei
tra poco e ne’ miei guai
palpiterà il tuo sen?


"Ancora per poco" diss’ella "palpiterà." Ma vedendo lui corrucciarsi addoloratamente di questa parola, soggiunse: "Non dirò più: perdono".

E’ teneva gli occhi bassi, trafitto di terribile compassione, e Maria seguitava:

"Non è egli vero che voi mi perdonate, Giovanni? Abbiam promesso di confessarci i falli più intimi, e consolarcene confessando, e perdonarceli. Oggi ho bisogno di dirvi i miei: falli non contro l’amore, no, ma d’amore. Dunque dirò che più volte (non molte però) vi frantesi; e volendovi simile in tutto a me, e non vi provando qual vi volevo, n’ebbi dispetto. Ora v’opposi i difetti degli uomini del mondo, ora vi volli più ch’uomo. Ho dubitato del cuor vostro talvolta: perché impaziente, v’ho giudicato incostante. Ho preteso conoscervi fino in fondo: e perché non mi riusciva, me la presi con voi, non con me. E nondimeno allora vi volevo bene con più trepida cura che mai. E temevo di perdervi; e ad ogni vostr’atto badavo, se amorevole a me, badavo a ogni mio se a voi non discaro. Studiavo l’amore troppo più che a donna amorosa, a moglie rassegnata non si convenga. E del sentirvi pur sempre buono, e mio, mi tentava il cuore tacito una gioia superba. Poi tante pecche di pensiero che fuggono all’attenzione fin di chi le commette: le quali l’amore genera; ed esse, fatte abito, uccidon l’amore: — ma in me non l’uccisero. Se trovassi parole che le dicessero senza né ingrossarle né attenuarle (perch’una circostanza par che le aggravi, ma un’altra minutissima le fa leggiere), ve le direi tutte, sicura che non mi sprezzereste però. Noi siam tanto deboli, noi altre donne!

"E noi!"

"Questo giorno ch’io v’ho, quanto potevo, aperta l’anima mia, rammentatelo quando... Direte: gli era d’autunno; dopo una pioggerella leggiera il sole dava lieto sul letto alla malata; e sulla parete il candido raggio rinfranto da un bicchier d’acqua si variava in colori modesti e gai.

Matilde sopravveniva, lieta anche se il cuore le piangesse; e, quando nulla v’era da fare, affaccendata, pur per distrarre altri e sé.

Fu profferto a Giovanni ire a Brest a raccogliere canti bretoni, canti popolari, delizia sua. E’ non la voleva lasciare: ma confortandovel’essa, non osò dir le ragioni del no. E la gli parev’anche entrata un po’ in isperanza, e il male a lui stesso non pareva sì fiero. Candidi i denti; né il corpo né il viso estenuati: ma le febbri ardenti, e, nel voltarsi, dolore. Rincorato anch’egli, per pochi giorni andò.

Le poesie promesse raccolse amorosamente. Vide di Brest l’ampia rada, quasi deserta, sentì il suon confuso delle voci, dell’opere, delle catene, montare dall’arsenale soggetto: v’entrò dentro ammirando quella magnifica e minacciosa ricchezza di strumenti di pace e di guerra; l’ancore ammontate sulla riva distendere le smisurate braccia ricurve, e le forti gomene attorte in grandi giri; accanto ai cannoni prostesi quasi mostro che dorme, ai cannoni che, più o men lontana, con dottamente computato empito manderanno la strage sulle mura merlate e sulle cittadelle nuotanti: e ammucchiarsi in piramidi le bombe che o si spegneranno stridenti nell’onde, o si conficcheranno nei fianchi d’antica fortezza americana, o porteranno volando nel vano le cervella d’un marinaro bestemmiante, o piombate in un magazzino di polvere faranno scoppiare i terrapieni, e sbalzar le tetta nel mare come foglia levata dal vento, e corpi vivi agonizzare schiacciati dalle ruine scroscianti. Vide a ogni menomo attrezzo destinata ampia sala; e lì affaticarsi la pena, la pena senz’amore ne’ punitori, senza rimorso ne’ puniti, miseri ed infami operai che sudando taciti e bisbigliando sdraiati, meditano il passato misfatto o il misfatto avvenire. Li vedeva vestiti di rosso, con mostre gialle i più rei, girar ruote, volger argani, levar pesi, strascinarli, portarli; e a ogni moto la catena sonare; e diceva tra sé: quante nobili idee e sentimenti da un affetto prepotente, da un pravo esempio rivolte in veleno! Quanti di costoro men di me rei negli occhi di Dio! Se le ispirazioni che a me, erano date all’un d’essi, chi sa quanto più di me forte al bene! O anime sconosciute e disperate dal mondo, cada su voi la benedizione d’un uom peccatore; e il pentimento che, al vedervi, l’inonda de’ falli suoi, terga i vostri.

Questi suoi pensieri spargeva di sconsolata amarezza il pensier di Maria, la quale gli era sempre negli occhi ansimante; e tutti i suoni di tutte le cose gli pareva piangessero la sua fine. Tornò sull’alba del dì de’ morti, e la trovò a letto desta (Matilde dormiva accanto), sedente, mezza vestita, retta il capo da’ guanciali ammontati; e i rossori della febbre le contristavano il viso. Pareva, a guardarla, in meglio stato che mai; ma la voce spenta: tossiva a stento. Gli stese la mano, e con fioco quasi rantolo chiese bere a lui che non osava mostrar lo spavento. Poi riavutasi:

"Ho dormito un po’" disse: "Ho sognato Margherita, non quale voi me l’avete più volte dipinta, ma bella di quasi trasparente bianchezza. E passeggiava soletta presso Desenzano, là dove l’aura lucida e odorosa del lago finisce, e la terra, quasi sposa già madre, si fa più severa. Passeggiava pregando, e la sua voce argentina si spandeva sull’acque. E sull’acque camminò leggiera entr’un raggio di luna; e cantando svanì. E pur la voce correva per l’acque argentate diffusa, come l’olezzo de’ cedri".

Di Margherita Giovanni le aveva racconto più volte: giovane donna, che, nobile e ricca, e allevata in solitudine pia, il molto ardore del cuore aveva volto alle cose di Dio: quand’a un tratto, quasi corrente che torbida scende in fiumicino nitido e queto, i pensieri umani incorsero in lei: e nell’alta e forte anima la battaglia fu forte ed alta: e, siccome nel contrasto di due potenti il debole ch’è sotto, patisce, così nel percuotere degli affetti il corpo suddito languì. Come desiderata le dovette venire la requie della morte! Giovanni l’aveva conosciuta; e sebbene incerto del resto, di questo era sicuro che Margherita di là dalla tomba pregava per lui.

Pareva Maria ad ora ad ora venir meno: poi, riconfortata, riaveva l’appetito ed il sonno: onde i medici sulla fin di novembre sperarono bene. Dalla consueta mestizia risaltavano le rare e brevi consolazioni, come nel verno sotto il pallor degli ulivi risalta della poca erbolina il verde gaio. La stava il più che potesse levata, e leggeva. Pregavano talvolta insieme a voce bassa.

Una domenica ell’era inginocchiata di contro alla finestra in un raggio di sole languido; ed egli dietrole: e, pur pregando, la riguardava. Una pezzuola rossa annodata sotto il mento, una verde che, incrocicchiata dalle spalle si stendeva sul seno, il grembiule turchino sul vestito nero; davano al pallore del viso e alla mossa della gentile persona languidamente inchinata, non so che aria di vergine voluttà, che i pensieri di lui travolgeva vaganti per indocili fantasie. Poi riscosso, levava a Dio gli sguardi pentiti, e chiedeva con ardore trepido e rassegnato quella sì cara vita. E cercava come nell’anima sua, assodata dal consorzio di lei, penetrasse la molle gioia di tali pensieri; e studiando se stesso scopriva che solita causa del condiscendere al senso era l’aver compiaciuto all’orgoglio, l’avere offesa la carità ch’è dovuta a’ fratelli. E quando sentiva i terreni desideri venire, allora cansava Maria, la qual cosa ella non sempre intendendo, gemeva; e a momenti, tuttoché sicura di lui, si mostrava scontrosa a tutti, massime alla buona Matilde. Matilde soffriva: soffriva per amor di lei, per affetto di lui; e vinti i naturali impeti suoi, s’inchinava a Maria come moglie a marito diletto e temuto. Quella ben presto si ravvedeva delle sue smanie, e con tanta vergogna da non osare tampoco chiederlene perdono; e tacendo l’abbracciava.

Un giorno più sfinita del solito: quant’hai fatto disse, per me! quanto, povera Matilde, sofferto! Tu soffri, lo so, nel cuor tuo. Credi tu ch’i’ non lo intenda il tuo cuore? Ma taccio per non t’amareggiare di più. Pregherò per te, sai?

"Oh sì, prega per me tutti i giorni, ché t’amo."

"Tu m’ha sempre amata, poveretta, anche tu. Che t’ho io reso altro che dispiaceri? Ho fatto infelici i più cari miei. Quant’era meglio forse e per lui e per te, s’io l’avessi ceduto all’amor tuo, se m’aveste lasciata morire!"

Matilde confusa, commossa, ferita: "ah taci per carità".

"Iddio ti consoli, il nostro buon Iddio, l’unico amore sicuro degli abbandonati dal mondo".

Matilde levando gli occhi con quasi disperata rassegnazione: "io sono tranquilla credimi. Ho un angiolo in cielo che prega per me".

"Per te, madre sua, e per me, sorella tua moribonda."

"Oh non dire."

"Io non ho nulla, poverina, da lasciarti per memoria di me."

E diede in pianto. Matilde baciò le sue lagrime costernata: in quel punto le venne all’anima l’imagine dell’uomo ad entrambe caro, e rabbrividì nel timore di profanar con pensiero men che pio quegli amplessi supremi, e si ritrasse tremando con le labbra aperte, come chi si sente vinto da un’ambascia grande. In questa Giovanni entrò: Matilde sedette. Maria si ricompose: tacquero.

Il male ripigliava con furia: le febbri talvolta la levavan di sé; e nel delirio vedeva cose pietose, e quando liete, ch’erano più di tutte pietose a sentire. La notte del dì ventun dicembre vaneggiò lungamente.

"...Mi manca il respiro. E una volta mi pareva sì poca cosa quest’erta. Non è costì la chiesetta dell’Annunziata, e Bastia colaggiù? Inginocchiamoci. Questo ramoscello d’ulivo chi ce l’arà messo all’inferriata così? Una donna di quelle che si rammentano il Paoli. Vo’ serbarne una foglia. — E gli allori della tomba d’Arquà? L’ho veduta io. Come bello il grande avvallar di que’ colli, che Dio destinava a consolazione d’un’anima pentita! Ma un fiume ci manca. La Brenta vorrei qui; e non tutte, ma qualche allegra palazzina delle allegre sue rive. La Brenta mi piace: le grandi correnti del Po mi spaventano. I’ amo il grande nel lieto, io mesta. Ferrara mi piace, città serena e solinga. — Ve’ ve’, Giovanni, un ponte dell’Adige che accavalcia il Po; e la collina gaia di fronte: e un altro ponte, e un altro ancora. Ma non è questa, Verona? Come presto siam giunti! — Son pur liete le città della povera Italia! — Non posso più. Sediamo su questa gradinata: io sono inferma; m’è lecito a me. Nel duomo d’Imola un giorno pregai ginocchioni sopra una gradinata così. I’ ero bella allora, dicevano: e adesso! Ma dentro rea, e irrequieta. Quanto soffersi! E quella notte a Mantova nel sotterraneo di sant’Andrea, quanto piansi! — Ma non è Pesaro, quella? Quelle statue che biancheggiano sotto gli alberi... Che? non son cerri codesti. — Oh l’aveste veduta, quella ragazzina di Pescia, come parlava soavemente! con dinanzi un fascio di legne di cerro, nuda i piè: pur bellina! — Ah il mio petto! Preghiamo Dio che mi dia pazienza. Non mi reggo ritta. Poserò la fronte da un lato di quest’altare. Che dice lassù? A Cristo... poi una parola scancellata. Povera me, non ci veggo più. Ma le sculture sono del Cividale: le riconosco. — Oh Giovanni, compratemi un quadrettino di Frate Angelico: piccolo, purché di lui. Vi ricordate di quell’Annunziata che vidimo a Nantes? L’angelo come pudico, com’angelica in viso Maria, bruna, gracile, veneranda! L’angelo le mani al petto, ella giunte e commesse, vestita di rosso pallido, d’azzurro pallido, e il fondo, un rosso più vivo: leggeva. E all’angelo era verde il manto e parte dell’ali, e sopra volante una colomba candida in raggio d’oro. Son pur gentili le creature dell’uomo che crede in Dio!". Qui la lingua impedita dava suoni confusi: e Maria nello sforzo si riscoteva ansimando.

Il dì ventidue peggiorò. Tornando frettoloso Giovanni da chiamare il medico, sulla piazza l’arresta una fila di bambini che, condotti da’ buoni fratelli delle scuole cristiane, uscivano da messa a due a due, colle braccia un sull’altro raccolte al petto, vispi, modesti, i be’ capelli giù per le spalle, e più gentili i più poveretti. S’impazientiva egli dell’intoppo, preparato da Dio per dargli luogo d’imbattersi col buon prete di Pontcroix, che in quel punto uscì di chiesa, e primo lo vide, e lo salutò con gioia, perché nulla sapeva del male di lei. Giovanni lo pregò di venire; e perché il prete dubitava: "venite. La consolerà rivedere chi le ha fatto del bene. E anch’a voi farà bene il vederla in tale stato. La lo conosce il suo stato. Parlatele senza tema di spaurirla: l’offendereste se no".

Maria nel vederlo alzò il braccio e la voce come persona sana, e brillò ne’ begli occhi languidi. Egli tacito e conturbato le si pose di fronte appiè del letto, gli occhi abbassati levando or a lei ora al crocifisso, e cominciò:

"Maria, un’altra volta io vi vidi languente, e vi consolai parlando del nostro buon Dio. Egli solo sa se voi siate destinata a più lungo patire: ma il patire v’ha già da gran tempo preparata alla morte. Terribile parola all’anima degli spensierati, non a coloro che l’hanno tante volte invocata nel pianto. Il più gran dolore di chi muore amato, è il dolore de’ cari che restano: ma con essi rimane Iddio. Duro mistero all’amore umano, ma certo come la morte: la vostra partita, o sorella, per quelli che v’amano sarà il meglio. Ringraziate Iddio delle consolazioni ch’ha sparse sull’afflitta vostra vita; pensate agli errori commessi; e doletevene con amorosa fiducia nell’instancabile Amore. Offrite in espiazione le pene dell’ultimo sacrifizio: offrite per coloro che muoiono in quest’istante a migliaia su tutte le regioni della terra, più infelici e men disposti di voi; per que’ che rimangono a tribolare e a peccare, per que’ che nascono e nasceranno; per le nazioni intere ch’hanno terribilmente affannata vita e agonia lunga anch’esse. Noi di quaggiù pregheremo che, giunta presto in luogo di luce, ci assistiate di lassù, e c’insegnate la via. Se le consolazioni umane non fossero poca cosa ai pensieri di Dio, e se voi già nol sapeste, vi direi che, finch’io vivo, Giovanni il vostro marito averà in Bretagna un fratello; che a me vederlo e meritare il su’ affetto, sarà consolazione desiderata: direi che morite, che morite benedetta, o Maria..."

Levò gli occhi negli occhi di lei, né poté seguitare: e scuotendo il capo, fece un cenno d’addio; e uscì. Maria in atto di compassione e di ringraziamento e di rassegnazione e di preghiera e d’offerta, disse, levando le mani giunte: Dio mio! Giovanni lo seguì, gli stese la mano, l’abbracciò, senza dire parola.

Languente ma tranquilla, il seguente dì chiese il viatico. Volle in capo il mésero che portò ’l giorno del suo matrimonio: Matilde nell’acconciarglielo, vedendo sotto al candore del velo quel pallore pur bello, la baciò come madre che dica addio a figliuola gentile e diletta. La malata disse: non mi baciare, Matilde; non accostare il tuo fiato al mio. Ella in risposta la ribaciò. E Maria: "benedette le cure dell’amor tuo! Così facciano i tuoi figliuoli a te moribonda!" Giovanni allora con pienezza d’affetto: "Oh sì, beneditela." E nulla più. Ma quel motto al cuor di Matilde fu premio assai.

Il viatico venne. "Pace" disse il prete "a questa casa e a chi abita in essa" (Giovanni e Matilde s’inginocchiarono). "Pietà, Dio, di me, secondo la grande misericordia tua. Ecco l’agnello di Dio, ecco chi toglie i peccati del mondo." Allora Maria con fioca voce ma chiara: "o mio consolatore dall’infanzia mia, spero in voi: v’amo, v’amo più delle più care cose ch’io lascio. Voi me le donaste, voi me le renderete. Datemi una scintilla dell’amore che v’arse, morendo, immenso. O amico mio e degli amati miei, perdono a me, pietà d’essi. Entrate nell’anima mia e nella loro".

Accolse con ansia amorosa la sua salute: e quando intese il prete uscendo intuonare: Lodate il Signore del cielo, lodatelo, o angeli suoi, le rivenne negli occhi, quasi visione, il quadro del fraticello di Fiesole, Gabriele, la Vergine, la colomba, ogni cosa involto in colori vivi e moventisi, verde e celeste, e d’argento e di viola.

Potenza dell’affetto e dell’arte! Tu non pensavi, o povero abitatore del chiostro, che poche linee segnate dalla tua mano dovessero cinquecent’anni dopo la morte tua consolare, non viste, gli occhi morenti d’una povera donna piena d’amore.

La sua pace, fin qui rassegnata, divenne serena. Sull’imbrunire chiamò lui: "finché la mente e l’animo reggono, facciamo, Giovanni, le nostre dipartenze. Voi già sentite in cuore quel ch’io dovrei dire, voi che foste sì spesso la coscienza mia. Vi ringrazio d’ogni cosa. Vi chieggo perdono. Ho patito del farvi soffrire: avrei voluto a ogni costo vedervi felice per me. Non ho potuto: Iddio m’ha gastigata così".

"Oh sì che lo poteste, Maria. L’imagine vostra, per dolorosa che rimanga, ha rifatti e nobiliterà i miei pensieri. Io piuttosto vi chieggo perdono."

"Di che? D’avermi fatta sopportabile e cara la vita? Sì, confesso; sento che la vita m’è cara. Vorrei, disgraziata, ricominciarla con voi. Ma sia fatta la volontà di Dio."

Tacquero costernati. Egli non piangeva, ma il suo dolore era come piaga che tacita dentro mangia le carni, di fuora non geme. A un tratto levando la fronte, e stese verso la terra le braccia: che più, proruppe, mi resta?

"Iddio vi resta; e l’amore immortale della moglie vostra, e la gioia austera e contrastata, ma invitta, di fare il bene, e l’affetto de’ buoni. E chi sa che il buon Dio non vi faccia rivedere l’Italia?"

"Ahi, ma non rivedrò più mia madre."

"La rivedrete: ella intanto pregherà: pregheremo."

"Pregate ch’io sia umiliato e infelice. Se non compresso dal dolore, l’animo, i sensi miei ripugnano alla legge della mente mia, mi contaminano. Oh che farò di me, della stanca vita mia?"

"Il Signore è buono e possente: vi darà forza; perdonerà. D’una cosa vi prego. Se mai gli anni vi volgessero un po’ men tetri, non v’esca di mente la vostra Maria."

"Smettete per carità."

"Eh sì, Giovanni: tutti i dolori umani hanno fine. L’imagine di donna morta, ogni giorno si fa più lontana nel vano; e gli anni vengono, e la respingono indietro, e la dileguano. Ma fin nell’ultima vecchiaia, una volta almeno ogni giorno vi ricorderete, spero, di me.

"Una volta?"

"Lo so, lo so che voi siete buono."

La notte calava cupa, e Maria si sentiva finire. Chiese l’estrema unzione: il curato venne; e adempiuto con doloroso rispetto il debito suo, disse che a qualunque ora chiamassero, tornerebbe. Ma, in quella notte cruda non volend’ella a nessun costo disturbare il buon vecchio, Giovanni leggeva tradotte le preci, e Maria le accompagnava col mover tacito delle labbra. Alle cinque pregò Matilde, che da più notti vegliava, andasse a riposarsi una mezz’ora lì accanto: ripregò di lì a poco, rassicurandola: e Matilde per tema di non la inquietare, ci andò: ma nell’andare supplicò la chiamassero a ogni occorrenza; e diceva con gli occhi: "non m’ingannate per pietà". Seguitava Giovanni a raccomandarle l’anima con le parole che la Chiesa pronunzia al letto di peccatori e di santi, di mendichi e di re; e v’intrecciava memorie de’ Salmi e del Vangelo: e alle parole di lei non trovava da rispondere altre che le parole di Dio.

"Il tuo soggiorno anima cristiana, sia in luogo di pace. Pàrtiti di questo mondo nel nome del Padre che ti creò, del Figliuolo che t’ha redenta, dello Spirito che t’ha rinnovata nell’amor suo. Dio possente, riguarda alla tua creatura. Pietà di lei che non fida se non in te. Dio ti perdoni, sorella, quanto fallasti cogli occhi, con la lingua, co’ piè, col pensiero".

"Giovanni, quella poca di roba, datela a Matilde, la porti e la serbi a memoria di me. Voi tenetevi il mésero del mio matrimonio e del viatico, e quest’anello ch’è vostro. Ecco tutta la mia eredità. Vi rammentate del primo incontro sul poggio, e del verso ’che innanellata pria’?... Tagliate una ciocca de’ miei capelli: ora subito, che sien tolti da me viva.

Prese la ciocca, l’anello: e, pregato da Maria, seguitò: "Ti raccomando, carissima sorella, all’onnipotente Iddio. Apparisca all’anima uscente l’aspetto di Gesù, splendido e mansueto. Ti liberi dall’eterna morte, egli morto per te. Io son pellegrina, o Dio, sulla terra. Padre delle misericordie, Dio di tutta consolazione, riguarda alla tua serva Maria, che, lavata nel sangue di Cristo, salga alla vita. Venite, santi di Dio, angeli del Signore, ricevete l’anima di lei, offeritela nel cospetto dell’Altissimo".

"Giovanni, la povera donna che veniva tutti i sabbati, lasciatele qualcosa; pregatela preghi per noi."

"Apritemi le porte della luce perpetua. Spera, sorella, vedere a faccia a faccia il tuo liberatore; veder manifesta con gli occhi beati la verità".

"Scrivete ad Aiaccio l’ultimo mio saluto ai parenti di mia zia: se passate da Pisa, dite a mio cugino che son morta consolata, e, spero, in grazia di Dio. Avrei voluto che la mia sepoltura fosse in Italia, e lì potere scontare con buoni esempi le colpe mie."

Tacquero un poco.

"Non morrò ma vivrò, per narrare le meraviglie del Signore. Interceda per me la madre di Lui che nella notte di domani nacque povero di povera; interceda Giovanni al qual furono rivelati i secreti del cielo." Levati gli occhi, disse: "Padre mio, è giunta l’ora".

"La mia sepoltura porti il mio nome, e che fui moglie vostra: non più. Gesù mio, raccogliete a voi i miei pensieri.

Giovanni, con gli occhi in alto e con viso di chi si sente venir meno: "questo è il dì che Dio fece: rallegriamoci in esso. Per la morte, Gesù, e per il nascere vostro, pietà. Il suo sudore come goccie di sangue grondante in terra. Lode a Dio, perché buono! Gesù, che l’anima di questa donna amaste d’eterna carità, congiungetela a voi con amore indivisibile".

"La pace eterna": diss’ella, e mosse le labbra a baciare il crocifisso offertole da Giovanni; e nel bacio dell’Amico suo immortale spirò.

L’infelice marito non osava levare il pianto per non affrettare le lagrime alla povera donna dormente accanto. Accese una candela allato al cadavere, e aprì pian piano le imposte. Sorgeva torbido il dì: nevicava. Egli, seduto tra il letto e la finestra, guardava ora al cielo biancheggiante, ora alla sua moglie morta; e pregava Dio senza piangere.

FINE