Fede e bellezza/Libro quinto

Libro quinto

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Amore di donna, tuttoché necessario conforto al debole cuore di Giovanni, non lo poteva mai, neppure nella prima ebbrezza, occupar tutto quanto. E Maria sel sapeva; e non era tanto vuota da averselo a male: ch’anzi codesta vedev’essere guarentigia dell’amore. Certe passioni impronte che appiccicano a guisa di cataplasma du’ anime e due corpi insieme, lasciano e questi e quelle appiastricciate sì che poi ripulirle è noia e dolore.

S’offerse subito occasione d’esercitare, egli la libertà d’uomo, ella la tolleranza sì amabile in donna quand’è congiunta ad affetto. Un Italiano dimorante in Bordeaux, che, sebbene vecchio, non dispregiava le intenzioni né gli scritti né gli esempi de’ giovani, né li calunniava con rea diffidenza, mostrò desiderio di deporre nell’orecchio di lui alcuni secreti della sua vita. E sebbene Giovanni da tale lavoro dovesse tutt’altro aspettare che lucro, non osò rifiutare l’onorata profferta; e risolse, movendo alla volta di Corsica, toccare Bordeaux. Si dava per sorte che uno zio dello Svizzero dovesse andarsene fino a Tolone: né a miglior mani poteva essere affidata Maria. Fu fermato dunque di fare la metà del viaggio insieme; poi, per risparmio di spesa, Maria se n’andrebbe col vecchio; e troverebbe in Corsica conoscenti, da aiutarla, nella breve assenza del marito, a mettere su casa.

Il dì due di gennaio lasciaron Parigi con un nuovo senso quasi d’amicizia alla città dove fu consacrato l’amor loro. Le dipartenze furono a Rosa più dolorose che ad essi: che le pareva rimaner sola, ed amava in Maria il bene fattole: amore nell’anime buone non orgoglioso né impronto ma tacito e lieto. In Maria la gratitudine, e così nel suo marito, non era loquace, ma quieta e raccolta; e con la meditazione e la lontananza ed il tempo si veniva più confermando ed accendendo. Poche parole si dissero, contenti di poche, perché sicuri d’intendersi. Giovanni stese a Rosa la mano, che gli diede la sua lagrimando; abbracciò l’oriuolaio come fratello. Maria strinse a questo la mano, guardandolo con pieno affetto, e nel baciare Rosa, le disse: sorella mia. Né più si parlarono; né si rividero mai.

O voi che dubitate se l’anima sia immortale sentiste voi mai l’amore? Sentiste voi mai l’amicizia?

Il dispiacere del distacco rese ancor più composto il mite amore de’ due, che parevano, più rispettosi e più impacciati di prima, conoscersi allora allora. A Lione si divisero: ed egli di Bordeaux a lei già in Corsica scrisse:


"Mia buona Maria.

"Mia, non è vero? E che importa il resto? Non son io più che felice? Non son io contento?

"Giunto appena, eccomi a raccogliere le notizie per cui son qui. Il giorno che avrò terminato, mi parto. Vedermi tra gente nuova, sempre mi dispiacque: pensa, ora. Io sopra tutti, che mostro di me prima le qualità più disamabili, e provoco gli altri a fare, anco involontariamente, il simile, debbo penar troppo a essere conosciuto e a conoscere. Ma quando ciò segua, il piacere è più vivo. Che consolazione secreta e quieta, vedere a poco a poco dall’animo altrui cadere la diffidenza; e l’affetto nascoso, d’una parte e d’altra farsi strada; e balenare in una parola, in uno sguardo; e richiudersi timidamente, e riaprirsi più lieto che mai: vedere un’anima umana accostarmisi passo passo; e non s’abbandonare a me per cieco impeto ma con pensata letizia! Ma a provare tal sorta di gioie, mi ci vuole del tempo: e oramai non n’ho più di bisogno, o Maria. Onde se non fosse l’occupazione che qui mi trattiene, sarei più infelice, cioè più annoiato che mai.

"E vi ringrazio dell’avermi in questo, o Maria, lasciato libero di me fin dal primo. Le smorfie dell’affetto donnesco, sono intolerabili a voi più che a me: e però v’amo con sì franco rispetto. E vi rammento, non per ammonirvene ma per ringraziarvene, il patto stretto fra noi; che in qualunque cosa io creda conducevole alla dignità del mio nome e all’uffizio mio di scrittore, pericolosa o no, i’ prenderò consiglio, Maria, non dall’affetto vostro ma dalla mia coscienza. Non dubitate che io di questa libertà abusi mai per portarvi inutili cure e timore. Appunto perché voi mi permettete di molto celare al cuor vostro, nulla celerò al vostro senno. E voi non sola consigliera ne’ dubbi, o unica mia, ma, dopo Dio, ne’ falli avrò confessore.

"Promettiamo d’aprirci ogni più chiuso, ogni più sottile secreto. Una parola soffocata tormenta come rimorso; si accumulano intorno a lei tante cagioni impercettibili di risentimento; e ne segue l’impazienza, e dall’impazienza lo sdegno, e dallo sdegno il dispetto. Ma io non posso, né pur pensando, seguire questa catena di guai. E pure in essa si mutano i vincoli coniugali sì spesso. Parliamoci dunque: e non sempre è necessaria a ciò la parola: un cenno serve, un abbassar d’occhi, un silenzio. Ma noi ci aduliamo l’un l’altro accarezzandoci troppo. E quando l’impeto della tenerezza soprabondi, sfoghiamolo con dirci quel che all’uno nell’altro men piace. Oh come, dopo tali confessioni, l’anima si sente libera ed alta, e lieta del suo non fragile amore! "Interrompo, perché...

"Ieri ho sospeso, perché cominciavo a entrar nel patetico: cosa che mi seguirà, v’avverto, più spesso di prima. A me l’abitudine rinforza, non allenta, l’affetto. Ma più m’astengo dal disfogarlo in atti o in parole di molle tenerezza, e più sento lui fervente e me lieto. E però vi ringrazio del non poter voi, o mia, sopportare quel tu che a molti è quasi unico segno di confidenza. Attendiamoci al voi: quel linguaggio al qual venimmo i primi giorni del nostro parlarci, serbiamo, a dolce memoria, insino agli ultimi. Quando il labbro dice voi, ben sappiamo che l’anima dice meglio che tu, dice noi; intanto che gli amori volgari al tu familiare sottintendono l’ella servile. Com’è profanato nel mondo il linguaggio del cuore, Maria! Per dire oramai cosa non comunemente sentita, è forza ricorrere ai termini più comuni, che sono i meno sgualciti. Quando il cuore dell’ascoltante gl’interpreta que’ termini schietti, e l’accento e gli occhi di chi li profferisce, oh quante e che dolci cose dicono! Del resto, la parola può ella mai agguagliare il concetto, non che il sentimento! Per profferirlo, converrebbe poter meditarlo: ma le meditazioni del vero amore non sono altro che nuovi sentimenti d’amore. Sia schietta dunque a noi, come l’anima, così la parola. Noi non ci ameremo, Maria: ci vorremo bene.

"Vi rammentate voi, lo scorso autunno a Parigi del giorno che guardavam lieti alle isolette vagamente alberate e cespugliose del ponte a Neuilly, che, tutte vestite, bagnano nell’acqua i lembi del verde lor manto; e quando, svoltando per la via che accompagna il fiume, montavam per la costa vignata di Suresne, verso la chiesetta ch’è in cima, e vedevam la salita ad ora ad ora mollemente riposarsi in pianure ondeggianti od in seni; e i poggi a destra fender l’azzurro con le allegre lor cime: quando entrammo in un capanno biancheggiante di gesso cavato; e guardando al sole che mandava gli ultimi raggi alla già languente verzura, tale, diss’io, è l’ultimo amore?

"Addio, buona mia. Un bacio: un bacio in fronte; poiché questo è il patto; e poiché alle labbra le parole e il sorriso, e il tremito della gioia e quel delle lacrime, sono assai. Addio, Maria".


Ella rispose di Corsica:


"Non usa, e non par che stia bene, la donna dire all’uomo quando e quanto ell’è lieta per lui. Ma io a voi posso dirlo: non è vero che posso? Non è vero che voi sapendo quant’io vi son grata del vostro affetto, mi vorrete più bene? Non è vero che Dio non mi vorrà gastigare se dico: sono contenta? Oh sì, vogliatemi bene. Ho patito tanto per meritarlo; e l’ho desiderato indarno tanto!

"Sia come dite: avvertiamoci de’ nostri difetti; confessiamoci i falli sin di pensiero. Se differenza insorge tra noi, se l’impazienza ci coglie (e siamo tutti e due in diverso modo impazienti), determiniamo fin d’ora i segni che ce ne mettano in guardia. - Al primo moto di sdegno, pronunziare il nome un dell’altro. Spero ch’a un rimprovero vostro, nel suono di questa parola: Giovanni, e a un mio: Maria, la lite cadrà. Se non cade, andarsene, l’un de’ due. Se questo non si può, l’ultimo scongiuro, l’ultima intimazione sia un bacio in fronte. Ma queste, lo veggo, son precauzioni simili a quelle di certi vostri politicanti, buone finch’altre ragioni più intime gli dieno (dovrei dire dien loro, ma mi par tanto letterato quel loro!) gli dieno virtù; vane poi. La precauzione migliore è pregar Dio ci mantenga unanimi. Bella parola de’ Salmi, che voi m’insegnaste, o unanime mio.

"Mia madre mi raccontava come passando di Padova, andò al Santo; e all’arca di lui nell’ombra sacra stese la mano e posò ’l giovane capo, pregando. Vorrei potere anch’io nel luogo stesso dove mia madre mise la fronte, posare la mia, e pregar pace alla nostra vita. Oh chi dispregia questi aiuti ch’alla fede umana e alla speranza combattuta offre la religione nostra con cura materna, non ha amato mai con tutta l’anima né Dio né le sue creature.

"Ma noi i dolci riti della fede compiremo insieme (non è vero?); e insieme ci vedranno non le sale ciarliere ma le chiese romite. Né l’ore del piacere torremo dal capriccio dell’allegria altrui, ma dall’ispirazione libera del cuor nostro. Io so bastare a me sola; né, per divertir me, dovrete tirare in casa vostra noie e ciarle e calunnie, né rubare il tempo debito agli studi vostri. Siamo fin d’ora severi nell’uso del tempo e nelle dimostrazioni dell’affetto; acciocché l’ultimo giorno del nostro consorzio, sia, quanto si può, uguale al primo.

"Il mio buon compagno di viaggio mi prestò fino all’ultimo ogni cordiale assistenza. A Marsiglia mi fermai tre dì, pieni di gravi memorie. Appena a Bastia, ho cominciato a dar sesto alle cose nostre: ma prima d’ogni cosa ho visitato il camposanto, e pregato. Le lettere di raccomandazione, sapete, valgono o poco o troppo. Gli antichi conoscenti di mia famiglia, riguardandomi come corsa, m’usano delle gentilezze: ma perch’io non son corsa alla francese, e perché mi fo lecito di parlar con rispetto dell’Italia ch’eglino più non conoscono omai, da quest’orecchio non ci sentono: e mi dispiace per loro. Francesi potrebbero essere di governo: ma d’ingegno e di lingua, italiani: e dai Bretoni (che a chi loro parla francese non degnan rispondere) imparar da’ Bretoni ad amare la tradizione de’ padri loro; e a’ Francesi rendersi rispettabili rispettando se stessi.

"Scrivetemi presto e a lungo; e quando crediate poter venire. Oh quel re ch’ha inventata la posta, rese a me un gran servigio!

"Uno degli spettacoli che più mi commossero a Parigi fu ritrovarmi verso le sei della sera nel cortile della posta, quando partono i corrieri, con due o tre viaggiatori ciascuno, per tutte le parti di Francia. Le madri, le mogli, le figliuole, le amanti, gli amici (anco a Parigi ce n’è) stanno in fila dall’uno e dall’altro lato. Una vettura s’avanza; è gridato: Marsiglia; e lì sull’atto di salire, abbracciamenti e strette di mano e raccomandazioni e consigli, e lagrime, più preziose se represse: entrati, via. Un’altra vettura: Strasburgo: e lì nuovi amplessi; e fugge. Poi un’altra: Calais: nuovi baci: e chi sa se più si rivedranno quaggiù? E così per tutte le parti di Francia e d’Europa e del mondo si spandono da quel gran centro uomini, lettere, merci, idee, vizi, virtù, gioie, affanni. Se una di quelle tante lettere manca, quante fila interrotte, quant’anime in sospeso, disperate? In un foglio, di quante vite il destino? E in questa gran tela delle faccende e delle affezioni umane, che gli uomini stracciano sempre, ed è sempre ritessuta da un amore sicuro e paziente, si vede la mano di Dio.

"Ella ci regga, o Giovanni, e ci difenda dalle ignote, dalle inaspettate sventure".


Un’altra lettera le scriss’egli prima di rivederla, che, fra l’altre cose diceva:


"...A me più ch’ad altri il viaggiare è penoso, a cui son difficili le cose più facili della vita di fuori. Far lunghe gite a piedi, correre, arrampicarsi, nuotare, remigare, guidare una vettura, sostener la vigilia ed il freddo, pascersi d’ogni sorta cibi, aver l’occhio, la mano, i sensi tutti docili all’agile volontà, raddoppia il prezzo del vivere, moltiplica i modi di fare il bene. Ma l’anima incarcerata in un tronco che non sa esserle altro che tentazione ed ingombro, vive mezz’inutile altrui, grave a sé. Il contadino, l’artigiano, e voi altre donne, sentite più retto di noi, perché la destrezza o la forza del corpo adoprate a più vari usi. Ma questa mia inutilità m’è vergogna e tormento continovo.

"...Se il pensiero di voi non m’avesse custodito, o Maria, gli occhi miei, non ad altro acuti che a tessere insidie all’anima, sarebber vagati non senza pericolo sui visi di queste leggiadre donne di Bordeaux, dai quali (e fin da’ men belli) spira, con quant’ha di più fine lo spirito francese, un’aura d’Italia. Arguti visi e delicati, sorridenti o di candore roseo o di pallore olivastro o di bruno gentile, digradanti con linee armoniosamente soavi; abbelliti da’ neri capelli, dagli occhi saettanti, e dalla pezzuola che avvolta in cima al capo, s’annoda con grazia che non ha pari. Ma l’ampia rada, allegro specchio dell’ampio sereno, e i suoi cento vascelli schierati in grand’ordine quasi a pompa, vomitano sulla briosa città l’oro e i vizi e il contagio di tutti i paesi del mondo.

"A Tolosa meno pericoli: città di dolce nome a me, fin da quando lo udii, e il perché non sapevo. Ma quivi l’eleganza è negl’ingegni ben più che ne’ corpi. Mi pareva sentire in quell’aria non so che spirito e luce di glorie novelle. Sorgerà forse grande Tolosa quando Parigi cadrà.

"La non m’apparve quale se la dipingevano i pensier miei: pur mi piacque; e con gioia visitavo le antiche sue chiese, respiravo il suo sole, guardavo fiso a’ bambini per via. La donna tanto complessa a Tolosa quanto fine a Bordeaux. Nondimeno una gentile imagine anco di quivi raccolsi, che mi fece desiderar con dolore il magistero della matita: imagine di giovanetta mendicante che, seduta su una gradinata con un bambino in seno, mostrava i be’ piedi ignudi, e levava in me gli occhi possenti, e l’ancor più possente pallore del viso estenuato, e a parole sommesse e dolcemente roche moveva in atto leggiadro le labbra delicate: figura da scolpire, non che da dipingere.

"D’una tentazione giovane, facilmente vinta, che a Cette m’aspettava nel bagno, non parlerei, se questa non fosse occasione a dir della mia fragilità che in certi momenti a voi pare tanta. A voi pare tanta perch’io vi raccontai le cadute, non le vittorie. Ma s’io vi dicessi che per sei mesi dormii in una stanza accanto alla stanza di donna giovane e divisa dal marito e non barbara punto, e che non ho mai tentato né pur col pensiero l’uscio che ci divideva! Confesso che il pensiero tentava altr’uscio, e di più bella: ma questa è pur prova che la fragilità mia non è tanto rotta quant’altrui e io temiamo. E se vi dicessi che per sei mesi e più, in altro tempo, fui cieco al sorriso di donna a cui non mancava intelletto né dell’amore né della vita, voi mi potreste opporre che la timidità raffrenava il desiderio: ma la timidità è guardia anch’essa della virtù; e se c’è un po’ d’orgoglio, c’è anche un po’ di pudore.

"Giacché siamo a questo, voglio un’altra vittoria confessarvi: e dico confessare, perché la memoria dell’antica nemica mia m’è tuttavia cara ma senza pericolo. Una portoghese, di quel pallore olivastro che le portoghesi sogliono, ma più grande delle forme, e bella di silenzio intendente e d’occhi affettuosi e d’ingenui desideri, a cui da molti anni il marito viveva al Brasile, già passati ella i trenta, ma schietta dell’anima; di quelle donne che sanno amare umilmente; io conobbi a Parigi; e mi piacque: ed ella pensava di me più che non io di lei, sola e senza né speranze né distrazioni alla vedova vita. Né forse avrei vinto se sapevo, come seppi poi, la pietosa bontà dell’affetto suo. Dio la guardi: e la memoria di me, rimastale pura, le torni consolatrice, come la voce d’amata sorella.

"Quanto de’ Corsi mi dite, pensavo anch’io. Quel che in loro mi fa più paura, gli è che (tranne rarissimi) non sentono il bello né della lingua materna né della nuova, né de’ suoni né de’ colori, né di natura né d’arte. Ma dovesse la Corsica imbastardire innestata alla francese mediocrità, ell’ha vissuto abbastanza, se ha generato Pasquale Paoli, scusa ed espiazione anticipata del reo Buonaparte. La guerra da lei durata nel secolo scorso vale per secoli molti d’oziosa od invaditrice grandezza. La Corsica ha pagato all’umanità il suo tributo d’esempi generosi e di sangue.

"Ma chi sa? forse nuovi destini l’attendono. E a questa Francia stessa noi siam forse troppo severi. Buona e giuliva gente, e pronta ad impeti generosi: a cui l’impazienza è scusa accettabile di colpe assai. Vero è che le cose grandi per forza di perseveranza si fanno: ma le sventure e i disinganni sono maestri efficaci, e possono almeno in parte immutar la natura.

"Tutte queste che io scrivo, s’intende che sieno parole d’amore, o Maria. Tra poco vi rivedrò; e viveremo indivisi. E voi perdonerete i miei tanti difetti agli errori della passata mia vita, e al grande amor mio".


Venne in Corsica. Le cure, a lui nuove, della casa gli erano alleggerite e dall’esperienza di Maria, e dal contento di avere a compagna donna sì intelligente, sì docile, e, nell’impazienza stessa, sì sofferente di lui. Pur le spese passavano l’aspettazione: che gli era pensiero grave. La mediazione dignitosa d’uomo che l’amava con l’opera ancor più che col cuore, gli aveva trovato a Venezia editori che i lavori di lui rimeritavano di compenso raro in Italia, e sentivan l’affetto debito a scrittore ch’abbia sacra al vero la vita.

In Corsica ripres’egli di lena gli svariati suoi studi: ché da un concetto filosofico gli era sollievo passare a una distinzione di vocaboli affini, e da un frammento di storia a una varia lezione di codice antico, e da un padre della Chiesa a un locuzione mancante alla Crusca. Scriveva una preghiera a Dio, e un ragionamento sul bello; da un discorso politico correva a un frammento di Saffo, da una lettera teologica a un’ode. Il medio evo buio e possente, e il suo secolo molle e con lampioni a gasse; i sonanti numeri latini e i rotti accenti francesi; i vecchi volumi in foglio e i giornaletti leggieri; una scena di dramma e una citazione erudita; un disegno d’alta educazione e un articolo teatrale; un versetto dell’Apocalisse e un capitolo di romanzo. E correggere scritti propri ed altrui; e scriver lettere, e migliorare con esercizi di bambino la sua mano di scritto; e memorie della sua vita, e disegni di libri avvenire; e traduzioni e commenti ed epigrammi: la natura e l’arte, le donne ed il popolo, la terra e il cielo. Ma gli doleva non poter ne’ viaggi diversi prendere piena esperienza d’uomini vari e di cose, non potere le membra sue flettere a violenti esercizi, essere delle scienze de’ corpi quasi digiuno, non poter navigare sicuro per tutto l’oceano della storia, non poter tentare le affannose dolcezze della pratica vita. Di che la colpa, parte sua, parte era de’ tempi.

E siccome il nuovo stato non lo distoglieva dagli studi, (ch’anzi le comodità che prepara la cura quieta e continua di donna amante con senno, gli risparmiavano e tempo e noie); così né gli studi lo facevano men riconoscente alla pietà di Maria. Pietà, dico: perché dell’amor pieno e divoto di donna e’ si sentiva appena degno: tant’alta cosa gli pareva l’amore.

Allorché, le bufere quietate, il sole incoronava di puro azzurro le cime de’ monti, uscivano qualche volta insieme, che il marzo non era lontano, e la terra si apparecchiava, quasi vedova giovanetta, a nuovi amori. Paragonavano quella liberale ricchezza di gioie alle bellezze parche, e quasi pensose, della terra di Francia: rammentavano le passeggiate dello scorso autunno nel bosco di Meudon, tra il canto raro, e però più soave, di pochi uccelli, sotto il sole ch’or si cela, or ritorna, e fende a poco a poco la nuvola, sì che l’ombre vengono a grado a grado dipingendosi per terra, e quasi camminando col raggio: ripensavano le salite e le chine del bosco, e i sentieretti secreti accanto al viale, nereggianti di more, e il mesto stormire delle foglie appassite; e un’acquicella che accavalciata da un ponte, fugge tacita e bruna, e riappare tra l’ombre, e riflette una lista di cielo, una ciocca di verde; e la barca a vapore che fitta di gente di vari colori passa volando nel basso; e le isolette che quasi navicelle ondeggianti paiono vogare sul fiume; e rammentavano i pensieri ch’egli ebbero in quel bosco, e quelli che adesso. "Sovra l’altura dove il bosco finisce (diceva Giovanni) pensai a mia madre: nel prospetto del fiume presi la vostra mano, Maria".

A chi ama l’Italia, il passare da Marsiglia a Bastia, gli è come a chi sente in cuore l’eleganza, trovare in vetta dell’Appennino separati da breve limite l’accento bolognese e il toscano. La lingua ch’in Corsica nella gente che vuol parere da qualcosa è sudicia di francesismi accattati, nel popolo serba ancora modi schietti e potenti che rammentano la prosa di Dino e il verso di Dante. La natura qua e là selvaggia è come ammansata dal mite imperio del cielo: e tra l’orrido appare ad un tratto l’ameno, come tra i monti ignudi di Rovereto la valle Lagarina si stende dilettosa, e l’Adige l’accarezza, possente fiume ed ameno. I monti dell’isola qua e là dilatandosi, lascian luogo a vallette declivi con seni tra’ poggi; altre meno, altre più verdeggianti: e la varietà loro s’accorda e contrasta con la varia forma de’ poggi; e rade biancheggian le case; e un lontano suono di campana sulla sera diffonde in quella serenità la mestizia, in quel silenzio la vita, e fa pensare alla morte. Ma d’acque è meno ubertosa la Corsica, che paiono fuggirsene quasi timide tra le rocce, né si spandono in ampi veli di schiuma, come là presso a Scardona fa il Cherca co’ passi sonanti, che giù pei massi quasi per gradinata gigante scendendo, senza infuriare biancheggia, e le colonne dell’acqua sospese in aria rinfrangono il raggio lieto, e poi precipitano in tonfani al basso, e altre le incalzan rumorose, e s’ingorgano e sgorgano continove con veloce armonia.

Gli spettacoli più frequenti erano a Giovanni, per le nuove idee che destavano in esso, più nuovi. Si fermava a veder la luna spuntare, rosseggiante a fior d’acqua quasi vela infiammata, e alzandosi lentamente, cadere a piombo una colonna di fuoco sull’onde che paiono, dal raggio quasi da tromba tirate in alto, confondersi coll’orizzonte; poi vedere la colonna di luce che si fa più chiara e si stende rotta qua e là, e si frange alle rive e si sparpaglia in fasci di raggi e scintille. Vedere il sole cader tra le nubi, le più prossime al mare color di rame, poi cenerognole, poi più su altre bianchicce, altre lucenti; e una donna in un campo, pallida i lineamenti severi, e modestamente altera come suol donna corsa che infrancesata non sia, gli pareva degno di quadro. Il vario colore e le forme varie dei visi delle donne corse che dalla raffaellesca passano per gradi alla maniera di Michelangiolo, sopra ogni cosa il pallore possente, più ch’amare, ammirava; e gli occhi raccolti, la forte dolcezza, non so che di rientrato e d’intimo che dimostra come donne tali saprebbero al bisogno trattare sul serio la vita. Poi, a sentirle parlare francese barbaro o italiano infrancesato, rimaneva di gelo. E comparava nel pensiero le grandi forme e tranquille delle donne milanesi con le raccolte e quasi contratte di Corsica; e rammentava a Maria (la qual di tutti i suoi pensieri chiamava testimone) una quasi apparizione di due giovani donne di più che umana statura e di più che italiana bellezza, che in Lombardia un dolce giorno di primavera a lui giovanetto arrisero, e sparvero, e lasciarono orma di sé in molte fantasie, in molte armonie del suo stile.

De’ campagnoli corsi amava Giovanni la compagnia, che in quelli, più che ne’ cittadini, vedeva dignità, senno, affetto, eleganza. Un giorno salendo dalla Penta all’Oreto, mentre guardava tra’ colli addossati le vallette scorrere quasi seni, e il forte castagno quasi abondante criniera vestire le cime, e i sentieruoli distinti di fior bianchi e gialli, e le siepi ondeggianti per le fronde a piramide della felce; e il declivio digradare lento verso la piaggia feconda, e sul mare il sole novello, e i villaggi biancheggiare, e l’ombre e il lume dai dossi sbattuto risaltar pel contrasto; e’ s’abbatté ad un buon vecchio co’ capelli bianchi; e accompagnatosi seco, gli domandava del Paoli.

"L’ho conosciuto, ch’i’ avevo vent’anni quando venne quassù. Grande, calzon corti, stivali al ginocchio, rosso di viso, capelli rossi, e gli occhi tamanti" (e mostrava col dito in arco).

"Affabile?"

"Coll’ultimo come col primo."

"L’amano i Corsi tuttavia?"

(Qui un gesto che dice più d’ogni parola). "Venne poi Napoleone: ma il Paoli!"

"Alcuno de’ vostri ha egli combattuto seco?"

"Mio padre, al Pontenuovo."

"Dove perdeste per tradimento."

Si rasserenò di gioia affettuosa in vedermi informato delle cose del suo paese, e mi disse:

"Si sarebbe perduto da ultimo sotto il gran numero, ma quella giornata ci fu tradimento. Mio padre si trovava sul ponte: il fumo faceva l’oscurità della notte: e tanta la calca che i cadaveri stavan ritti; e al toccar delle mani, se fredde, si conoscevano i morti. Ma al Borgo vincemmo."

"Vostro padre v’er’egli?"

"C’era. Quando i Francesi, poi, chiedevano a’ Corsi per insulto: eravate al Pontenuovo, voi? E i Corsi rispondevano: e voi, al Borgo?"

Questo tranquillo e forte vecchio godeva del dirsi italiano, e di ciò discorreva come di cosa sottintesa, e il contrario sentiva assurdo.

Giovanni, libero ne’ suoi studi, ai quali la moglie gli era quando ispiratrice, quando consigliatrice; e pe’ risparmi di lei riuscitogli di metter l’entrata in pari colla spesa; viveva non senza dolori interni né tedii, ma dolori e tedii consolati. Quand’ecco gli vien fatto profferta d’andare in un collegio a Nantes, direttore degli studi, con promesse di mercede scarse, di morale e civile riuscita ampie: perché i fondatori non altro avevano in bocca che la grand’opera, e il sacrifizio, e la generazione novella da dare al mondo mutata. Dolevagli lasciare il cielo d’Italia e prender vita nuova; ma il desiderio d’uscire della letteratura inerte, e d’assaggiare la pratica dell’educazione (che dopo il sacerdozio è il più nobile de’ ministeri), e l’assunto suo di fare il bene per qualunque via gli s’aprisse, e anche (ma ultimo) il pensiero di assicurare alla famiglia un pane, lo indussero, dopo consultato Maria, ad accettare.

Era l’autunno del trentasette: ed egli rivedeva per l’ultima volta i luoghi già divenutigli cari, e il mare, sua uggia un tempo, or amico. Il sole, a quella stagione sereno e tiepido, lascia nella sua via un puro e caldo candore, il qual posa sull’azzurro splendente del mare, e sull’aria che s’inzaffira più viva, e più sale e più azzurreggia, quasi per accordarsi col verde de’ monti. Le cime de’ quali o gemmanti del ghiaccio perenne, o biancheggianti pei massi ignudi, il celestino soprastante fanno balzare più gaio. Una pace luminosa è diffusa sulla terra, sull’acque: ma, nella pace, una vita possente par che s’affretti a correre invisibile dalla valle al poggio, dal poggio alla valle. Il mare ora puro, mostra le pietruzze del fondo, e rende intatte le forme delle case biancheggianti, degli alberi radi, immoti: or si frange tra gli scogli a fior d’acqua, e con più lento rumore si distende sul lido. La luna solitaria illumina di più larga luce le onde dilatate nel frangersi, e le nubi lontane tinge di bianco rossigno simile al color dell’occaso.

Questi piaceri semplici, non men dolci a lui dell’amore, pensava gli mancherebbero in Francia. I luoghi gli dispiaceva lasciare, con gli uomini non aveva stretto dimestichezza. A questo proposito rammentavano, egli e Maria, i distacchi della vita passata, amari a loro, e ad altri per loro. E della gente più povera erano più superbi d’aver meritato il desiderio. Ricordava egli d’una povera serva, che gentile della voce e del viso e del sorriso e dello sguardo più che alla sua condizione non paresse dover convenire, nel vederlo partirsene l’accompagnò con timidi desideri e riverenti.

Non già che nel povero, scossa ch’egli abbia la legge del pudore, gli affetti non siano, o non paiano, più grossolani, e più abietto il linguaggio; né cosa è più schifa che contadina rincivilita che ai difetti della sua condizione accoppi i vizi di gente educata a orpellare il male. Quella sincerità di parole e d’atti offende, benché forse non rea. Ma in anima popolana e gentile, il pensare d’essere amata da maggior di sé, diffonde in ogni atto una grazia d’umiltà, una gioia contenta e temente, ch’è com’aura sul fiore, che avviva di tremito il dolce stelo, e la dipinta corolla, e ne liba gli odori. Quel linguaggio eletto d’amore, al quale non son use, le move più forte; e ne studiano ogni accento; ed è mirabile a dire come l’intendano, e il vero discernano se misto al falso, e rispondano con semplicità più avveduta d’ogni arte. Perch’alla donna respira, e da lei spira, se buona, ogni delicato linguaggio.

Sui primi d’ottobre lasciaron la Corsica, egli rassegnato, al solito, a ogni dubbio destino, e raccomandando a Dio sé e la moglie ogni giorno più amorosa ed amata: ella con un tristo presentimento nel cuore. Abbattuti, e come da malattia presente e come da augurio funesto, dai disagi del viaggio; videro finalmente Marsiglia; entrarono, quasi per angusto sentiero, in quella selva di legni carichi di tante speranze e di guai tanti. Ma Giovanni pensava alla ben più lieta entrata che gli s’offerse nel montar la Garonna, che il glauco del mar rifluente si mischia al gialliccio del fiume, e la Gironda e la Dordogna scendono affrettando a congiungere le larghe correnti; e le rive mostrano al legno rapidamente passante i lunghi viali, e i casini nuovi, vestiti quasi a festa; e il sole piove i suoi vivifici ardori, novità quasi dimenticata a chi vien da cielo più immite; e a memoria di quello, rosseggian sul fiume le vele bretoni; e da ultimo la rada si vede schierare a rassegna leggiadramente minacciosa gli ardui vascelli come guerrieri adornati a battaglia.

Per agiato e lieto che sia, ogni viaggio ha i suoi momenti di noia indomabile. In que’ momenti Giovanni faceva Maria a sé maestra di stile, e le leggeva qualcosa di suo; ed ella (non letterata, ma culta del proprio affetto, e di poche letture ma delicate, e della dolce sua lingua, e del consorzio d’uomini innamorati del bello), così vagando con l’agile parola, coglieva più verità che un critico di mestiere e di schiena. Fermatisi a Aix, cittadetta a lui cara per il limpido cielo e le memorie dell’antica Provenza, e’ si mise a leggerle questa pittura scritta già da buon tempo.

Si tratta d’una ragazza. — "Lineamenti composti quasi fiore non isbocciato; tenui come disegno leggermente condotto a contorno: spirituale il profilo; di faccia, più piena e sensualuccia: candore primo di adolescenza, con rado rossore, ch’erra e si dilegua: occhi non limpidi, mollemente socchiusi, pupilla viva, sguardo possente se diretto, di mal augurio se obliquo: un mover di labbro disavvenente; ma in serietà la bocca gentilmente immota: l’aspetto piacente: poche e leggiere lentiggini al mento, che, piano, s’assottiglia bellamente, e alla gola: sotto il cappel bianco risalta dai capelli non bellissimi la fronte pura e senza ruga, e una ciocchettina divisa fa parere il candore, come sole tra il verde. Parca degli atti; e più severa che pudibonda: accento spiccato. Nell’andare della carrozza il sole e l’ombra degli alberi intramischiata corre e ricorre sulle gote di lei, or tutte vestite del raggio che fa la bianchezza loro più smagliante, or parte nell’ombra. Il raggio in passando diresti che del suo candore non presti a lei, ma ne tolga..."

"Che ve ne pare?"

"Io lascerei fuora il sole che piglia del candore d’una donna. Se questa donna l’aveste amata davvero, non l’avreste pensata codesta squisitezza, scommetto."

"Cancelleremo."

"Eh no. Io dico quel che mi pare, ma poi di bellezze letterarie non me n’intendo."

"Meglio per voi. Rifacciamoci da capo. Lineamenti composti quasi fiore non isbocciato. Vi piace?"

"Poco."

"Anch’a me. Come dire? socchiuso?"

"Piuttosto."

"Ma socchiuso ce l’ho un po’ più giù."

"Che fa?"

"Non bisognerebbe ripetere, perché..."

"In codesto non c’entro (e sorrise)."

"Faremo socchiuso."

"Di faccia, più piena e sensualuccia, non mi va. Quando dite spirituale il profilo, il resto s’intende. E poi questo sensualuccia risica d’essere un giudizio temerario. Gli uomini che si credono leggere nelle donne come in un libro stampato, ci azzeccano tanto di rado!"

"Per altro..."

"Non parliamo di questo. Sguardo di mal augurio se obliquo. Non lo direi."

"Perché?"

"Il perché poi non ve lo saprei dire. Ve li domando io a voi i perché delle cose?"

"E come mutare?"

"Voi che l’avete veduta, pensateci; e dite la verità per l’appunto."

"Per l’appunto gli è un poco difficile."

"Se no, si stona, e si dice bugia."

Così seguitavano, ella col suo buon senso a dargli lezioni di stile cioè d’affetto e di sincerità; egli a tradurre nel gergo letterario, e a far teoria (poveraccio!) dei sentimenti, appena adombrati, di lei. Finito ch’ebbero, disse Maria:

"Insomma questa ragazza si può egli sapere chi fosse?"

"Non lo so nemmen io. Da Montmorency venne meco a Parigi. A certi indizi la feci crestaia; innocente tuttavia non di pensiero ma d’opera. Delineai, come i pittori sogliono, questo schizzo di lei che mi piacque."

"E poi?"

"Stretta la foglia."

"Finisce lì?"

"Finisce lì. E la pittura come vi pare?"

"Ora vuol esser lodato il letterato. Via, ecco un articolo. E lo baciò in fronte."

Più s’inoltravano e più grave sentivano l’aria di Francia. Il contrario sente chi da Trieste entra per terra in Italia, che il cielo e la terra e la lingua e i visi e i sorrisi umani si vengono, come fa da mattina l’oriente, rischiarando di più schietta e carezzevole e allegra bellezza.

A Lione rincontrò Giovanni una donna conosciuta in Italia, riveduta a Parigi, né amata, né amante ma sulla via d’essere e questo e quello, se due providi rimedi non rincontrava l’amore; l’essere lei francese e l’essere dotta. Gracile delle forme, né senza grazia il pallore del viso; ma né la voce né lo sguardo né la fronte né i silenzi, né le cure amorose di donna: ma e ragionare, e citare, e giudicar duramente le grandi cose vestite d’umiltà, ed ammirare le basse pitturate d’orgoglio; e filosofare sul male, e vantarsene per vanità; e non temere l’amore come cosa terribile; né agognarlo come necessità prepotente, ma pensacchiarlo, e calcolarlo; e in ogni atto dell’uomo vedere, con noiosa credulità, un indizio di debolezza (viene, casca, l’ho vinto!); e non mai quella sublime dimenticanza o dubbiezza di sé, nella quale rapisce le anime gentili l’amore, ma sempre il pensiero immoto a ammirar la virtù della propria parola, sempre in atto quasi da mostrarsi ignuda perché la vagheggino (vedete bel codrione ch’è il mio!); stuccavano altamente Giovanni, il quale non poteva pure non istimare le qualità buone e di donna ch’erano in lei, coperte dalle macerie letterate. E l’aveva già vista donna ad ora ad ora, e leggiadramente umile, e china gli occhi, allora solo possenti; e arrossir di speranza e di gioia, e d’infrenabil turbamento; e sorridere modesta, e piangere vinta.

La rivide, che ben lo poteva senza pericolo; ma il freddo e scarno demone del paradosso la invasava tuttavia; ed egli quella natura rimprosciuttita e insieme infradiciata dall’arte e i già non lontani anni di lei, denudati della leggiadra baldanza della gioventù, compiangeva. Maria domandata se volesse conoscerla, ringraziò: ma gli diede ampia licenza d’andare: perché sapeva non c’essere la meglio che lo spettacolo di donna dotta per deprimere la fantasia.

Arrivarono a Nantes. Fin dal primo entrare nel collegiuccio con magnifico nome chiamato istituto, egli misurò la distanza che i Francesi pongono tra le parole e le cose. Meschine le menti: e più i cuori; avare gelosie, avari inganni. Dura sorpresa per lui, che nuovo dell’educare, sentiva quante piccole cognizioni e quante grandi virtù gli mancassero a ciò; e l’aveva, già prima di venire, confessato, e sperava da’ suoi colleghi aiuto fraterno. E’ volevano un manuale, non già un architetto. Aveva egli un bel proporre il meglio: non l’avevan costoro di sì lontano chiamato a codesto.

A’ fanciulli s’affezionava; e di loro studiava il linguaggio, sapiente del vero, e fiorente di poetica vita; studiava le fronti, e il sorridere, e i segni dell’affetto: e queglino cominciavano affezionarsi a lui; ond’egli era lieto come d’amore riamato. Si sentiva ad essi, più che padre, fratello: perché la sua gioventù gli era passata sì mesta ch’e’ non poteva risolversi a guardarla come tutta finita, e tuttavia si sentiva nell’anima or gl’impeti allegri dell’adolescenza, ora l’inesperta affezionabilità del fanciullo. Ogni segno della benevolenza loro e’ raccoglieva con sollecitudine lieta; e temeva di non corrispondere assai cordialmente: troppo già pentito della freddezza non disdegnosa ma spensierata con la quale aveva altre volte ricevuto il proffertogli affetto.

E uomini e donne in questo pentimento gli tornavano innanzi: una tra l’altre, gentile fanciulla e modesta e amica del bello, che, vinta leggiadramente la verginale timidità, gli aveva fatto con ingenue parole intendere il desiderio suo puro; ed egli, più per salvatichezza che per isconoscenza, fatto le viste di non ci por mente: di che vergognava. E anche altre volte col fare sbadato e col suo strapensare di versi e di periodi egli aveva rigettato da sé l’affetto che veniva riverente e sommesso: e allorché subito desiderio lo pigliava di ricambiare, era tardi: onde il dolore misto ad un quasi rimorso reo.

Ma assennato dagli anni, e’ diventava avido dell’amore altrui, liberale del proprio; e il sorriso amico di creatura umana pregiava sovr’ogni ricchezza e ogni gloria. Dovere rimeritare i suoi fanciulli di lode, empieva di tenerezza più lui che di gioia loro: e sempre la lode alquanto solenne, data altrui, lo commosse profondo.

Mentr’egli combatteva co ’l mal volere e l’inettitudine d’altri, e con la propria inesperienza, coloro che l’avevan chiamato direttor degli studi, ecco profferiscono a un tratto cedergli l’istituto, e promettono guadagni grandi. Egli senza sospettar male, con la provida semplicità delle anime oneste, risponde sé non esser venuto speculatore ed economo: insistono, ripromettono lucri, s’ingegnano d’addossargli una parte, un’ombra del carico. Invano. Il direttore, l’uomo del sacrifizio, lascia a un tratto la città, e mena seco la moglie d’un amico suo, attempatetta, lasciando il collegio dai lucri grandi, in debiti e in disordini d’ogni maniera. Giovanni n’esce senz’altra indennità chiedere che del viaggio, e di questa pure rinunzia a una parte. Egli insidiato, turbato da’ suoi studi, aggravato di spese tante, appena si salva dalla calunnia. Lo scandalo reo compiangeva Giovanni senz’ira: né a lui spettava gettare la pietra; a lui che in gioventù era vissuto con donna altrui parecchi anni, e smentite vergognosamente le credenze co’ fatti, e scemato valore alle proprie parole; e date occasioni più facili al figliuolo di lei, che, corrotto dal padre, perisse di morte immatura e misera. Ma qui nell’amore er’innestata l’insidia avara e traditrice; e la lezione del male era data in pien collegio a tant’anime giovanette.

Uscì Giovanni: e lo consolarono uscendo i desideri affettuosi degli allievi, e le lacrime d’uomini puri, che appena conosciuto, l’amavano (molte dipartenze ti furono, o sventurato, consolate di lagrime: uomini che in sul primo, giudicando al sembiante e secondo l’esperienza trista del mondo, t’avevano calunniato in pensiero, si partirono da te piangendo). E per salvare il collegio da ruina, prestò l’opera sua gratuita di fuori; e vinse con la pertinace generosità la calunnia. Più che il suo, gl’importava il nome italiano, e si vedesse chi fossero gli avventurieri, egli o gli uomini della grand’opera.

Ma tante spese chiedevano straordinarii rinfranchi. E scrivendo per vivere, bisognava pur nulla dire che non fosse direttamente volto all’utilità de’ fratelli. Maria l’aiutava a trascrivere, lavoro a lui insopportabile, e spesa omai grave; e passava le lunghe ore fredde della notte nell’ingrata fatica: di ch’egli non osava neppur ringraziarla: tanto quell’amore pio gli pareva cosa santa. Ma se trascrivendo, le veniva incontrata qualch’espressione troppo letterata, ed ella ne sapesse una più alla mano, chiedeva scusa del frastornarlo per dirgliene: ed egli allora l’abbracciava commosso e alzava gli occhi, come per dire: non son degno di tanto.

Una notte di dicembre fredda e piovosa (eran le undici sonate, e il fuoco del caminetto già spento), Maria pregata, non voleva smettere prima di finire il lavoro. Giovanni le si accosta quasi supplichevole: e stava per baciarla in fronte, quando s’accorge di non so che rosso sul volto suo più pallido e più soavemente mesto che mai. Mentre guarda spaventato, Maria ritira in fretta la pezzuola che aveva sul grembiule; egli trepidando glie la prende, la trova intrisa di sangue e mette un grido.

"Non è nulla."

"Da quando?"

"Dall’altr’ieri. Oh per carità non vi spaventate."

Egli cadeva abbattuto sopra una seggiola; e Maria l’abbracciava sollecita come fa madre a figliuol pericolante.

Solevano (tale fin dal primo era il patto) dormire divisi: che da questo reciproco rispetto, conducevole insieme a virtù e a libertà, a sanità e a pulizia, credevano giovarsi l’amore. Ma quella sera ell’era sì ghiaccia, ed egli sì intimorito, e sì diffidente del silenzio di lei, che pregò di posarlesi accanto. E nell’impeto del dolore innamorato congiunsero labbro a labbro; e con ardore più abbandonato ma con anima monda riprovarono nuove le gioie note: ed egli le disse parole d’amore quali ella non aveva sentite, misera, mai; ed ella gli disse parole d’amore quali egli non aveva sentite, misero, mai. Un’imagine or lontana or presente, velata dalla speranza, ma pur terribile, gli stava dinanzi; e avvelenava la dolcezza, e la faceva correre più veemente, penetrar più profonda. Parevagli d’abbracciare una donna condannata a morire, e la stringeva a sé come per rattenere l’angelo suo fuggente. Ma dell’affannarla col tremito dell’amore sentiva rimorso, e ristava a un tratto: ed essa con dolce voce lo chiamava confortando, e parlava degli anni avvenire. Così passarono tutta la notte: e mentr’ella s’addormentava, semi aperte le labbra rosseggianti, e con sul pallido viso la pace di persona consolata; Giovanni pensava: "Dio buono! difficil cosa anco i puri affetti esercitare con animo puro. Quante memorie vietate, fin ne’ concessi abbracciamenti! Perdono, o terribile Iddio dell’amore severo! Non mi punite: non togliete a me questa ch’è omai conglutinata con l’anima mia!"

Era a Nantes un medico italiano, affettuoso più che medico non soglia, e schietto, e non ancora credente ma desideroso di credere, e innamorato. Il quale aveva amato Giovanni dagli scritti di lui, e ai difetti suoi compativa. Alla malattia di Maria prestò cura fraterna: e si sarebbe sdegnato pur del pensiero di non la prestare gratuita. Ma già ella si riaveva: che la contentezza dell’animo in questo può molto. Giovanni per tenerle compagnia smetteva di tanto in tanto i lavori: e più che dai libri imparava da lei parole ed affetti, e quelle idee tante che in ciascuno affetto s’ascondono, e quelle imagini di poesia delicata che fioriscono fitte in elegante linguaggio. La gli parlava di sé, la gli domandava di lui: e domandando e rispondendo, la gl’insegnava a interrogare se stesso. Un giorno con dolce rimprovero: ma chi finisce di conoscervi voi altri? gli disse Voi non mi dite tutto quel ch’avete nel cuore.

"Tutto, impossibile."

"Ma le memorie care, almeno in una parola, si può. Voi n’avete una che chiudete, come s’io fossi indegna d’averne la chiave."

Egli intese sull’atto, e rispose: "Non la chiudo: ne taccio, perché non avrei parole che non dicessero troppo o troppo poco. E già dissi assai. Una fanciulla che, inuguale a me nelle apparenze del mondo tiranno, mi riguardò con affetto. Tutta la storia è qui. Se quell’affetto fosse o potesse divenire amore, chi sa? Nemmen ella. Questa memoria, credete, è senza pericolo, e tanto delicata che sotto vil desiderio non cade. Né io lei vedrò forse più: ma se mai, la eviterei per orgoglio, acciocch’ella non mi trovasse minore del suo gentile concetto.

"Di questa sapete ogni cosa: d’un’altra storia non v’ho detto mai (simile, ma nel di fuori), ch’ha lasciato in me più riconoscenti affetti che caldi.

"Anno, passando di Nantes, conobbi un giovane avvocato, pien di sentimenti buoni, e più ritraente della sodezza bretone che della francese volubilità: ma francese in questo, che gl’Italiani, senza conoscere, aveva in concetto di tristi. D’un Italiano parlando, gli scappò detto una parola avvelenata: io a lui che sapevo buono, risposi tranquillamente rammentasse ch’ero italiano, e ch’amavo l’Italia. Si ravvide, chiese scusa: e prese a stimarmi. Eramo un giorno a Clisson, ameno luogo d’acque e d’ombre e di trarotti declivi, dove i massi vedi biancheggiare fitti di fiorellini che alle vene del sasso affidano la radice gracile, e vivono succiando aria e luce dai petali pallidetti; e sul fiume qua bruno là scintillante galleggiano le larghe foglie del nenufar, e gli alberi pendenti par si rovescino sitibondi nell’acqua che lambe i rami commossi dal vento. Quivi ci rincontriamo in una cugina di lui, baronessa, fanciulla di dignitose maniere, di severo pallore, ornata dell’ingegno, e pur semplice e buona. Di lì a qualche giorno me ne riparlò egli: né la conclusione era, s’io volevo, lontana: ma lo sguardo di lei, baronale, cioè troppo sicuro, mi dava pensiero, e la dote soverchia a me pauroso della ricchezza. Sarebbe bisognato parlare francese a tutte le ore del dì e della notte; tradurle in francese il mi’ affetto, i miei dolori; e non tacerle quanto leggiadramente mediocri mi paressero molti grand’uomini della sua gente. Bisognava nell’inuguale contratto portare anch’io la mia dote, rendermele barone a forza di fama, scrivere non solo per dire il bene ma per espiare agli occhi di lei la mia povertà. Avrebb’ella poi saputo espiare la sua ricchezza? "Ringraziai.”

Maria, riavuta, tornava, sconsigliante indarno il marito, ai lavori di prima. Una mattina, ch’egli stava a scrivere, ella a preparare la colazione, ecco una visita.

Fin da quando ell’aveva lasciato Lione, raccomandata dal buon prete bretone alla sorella sua, d’anno in anno la gli aveva dato nuova di sé, ed egli rispostole breve, profferendosi ove potesse. Desideroso adesso de’ dolci colli e dell’armonia dell’idioma materno, ritornava alla sua mesta Bretagna, per ivi pensoso vivere e sconosciuto morire: anima compressa dai casi, ma non sì ch’a ogni tocco di nobile affetto aprendosi e rintegrandosi con improvvisi impeti, non provasse l’invitta, e seco stessa battagliante, forza sua.

Maria, andata a aprirgli con in mano la ciotola del latte, se la lasciò a quella vista insperata cadere. E l’accolse con la sollecitudine trepida e consolata che brilla negli sguardi sommessi, e fa eloquenti i silenzi, e il sorriso ineffabile. A lui dovev’ella, tra tante cose, questa che, venuta a Quimper, conobbe Giovanni. Giovanni e lui alla prima si piacquero: ambedue credenti di fede schietta e pensata, affettuose anime, e pie (l’uno per prova, l’altro per carità) ai falli umani. Perché don Tommaso in ciò teneva piuttosto dell’affabilità serena de’ preti italiani che dell’ombrosa cupaggine de’ francesi. Maria uscì lieta a pigliare del latte per tutti e tre. Nel vederla pulita sì ma tanto poverina al vestire, il prete si sentì commovere l’anima, e alzò gli occhi come chi prega trafitto da pungente pensiero.

Dopo colazione, affrettatosi a uscire, Giovanni l’accompagnò. Per istrada ragionarono più confidente; e il prete gli disse:

"Non so se Maria v’abbia parlato abbastanza di me. Ma questo vi dirò io: che la compagnia di tal donna sarebbe a me troppo più desiderabile che sicura. E, questo premesso, a voi offro l’affezion mia: e voi solo chieggo poter qualche volta vedere; e la mia casetta di là da Pontcroix vi profferisco di cuore. Io me ne vado oggi stesso; salutatemi Maria, ch’i’ non rivedrò forse mai più."

Giovanni tornato raccontò a lei, commosso, il breve colloquio e soggiunse: "Raro uomo!" — Maria guardò il suo marito con guardo affettuoso: e tacquero lungamente.