Favole per i Re d'oggi/Peccati mortali/Invidia

Invidia

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XII.


INVIDIA


Nel torrione d’una antica fortezza, un vecchio galeotto guardava il solito pezzetto di cielo, attraverso la doppia inferriata della sua cella; e ripescava, ripescava pazientemente, nella cloaca della sua memoria, qualche disegno di fuga gettatovi forse da dieci anni, come cosa inutile.

Quando, di fuori, sul turchino limpido del cielo, vide a un tratto un enorme ragno discendere pacificamente dal tetto, sgomitolando il suo filo lucido.

— Guarda quello schifoso animale! — pensò il galeotto — viene a bella posta a farsi vedere da me, perchè il Diavolo gli ha insegnato a vomitar corda, e a me no. Ma gli farò battere bene il muso, giuraddio!

E, frugando nel suo saccone, ne trasse una lunga paglia, e poi, cacciato il braccio tra le nemiche barre della sua inferriata, tanto e tanto fece, che alla fine arrivò a troncare il filo ondeggiante e lucente.

Il ragno, che già stava vicino alla terra, guardò bene prima di non rompersi nessuna delle sue tante [p. 31 modifica]gambe; poi pensò: — Pazienza! ritorneremo a casa a piedi!

L’Invidia degli uomini non è mai meno stupida di questa del galeotto: nè meno inutile contro chi non la curi.