Favole (Leonardo da Vinci)/XXIX - Il rasoio vanitoso e borioso

XXIX
Il rasoio vanitoso e borioso

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Il rasoio vanitoso e borioso
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Uscendo un giorno il rasoio di quel manico col quale si fa guaina a sé medesimo, e postosi al sole, vide lo sole ispecchiarsi nel suo corpo: della qual cosa prese somma groria, e rivolto col pensiero indirieto, cominciò con seco medesimo a dire:

«Or tornerò io piùa quella bottega, della quale novamente uscito sono? Certo no. Non piaccia agli Dei, che sì splendida bellezza caggia in tanta viltà d’animo! Che pazzia sarebbe quella la qual mi conducessi a radere le insaponate barbe de’ rustichi villani e fare sì meccaniche operazione? Or è questo corpo da simili esercizi? Certo no. Io mi vogli[o] nascondere in qualche occulto loco, e lì con tranquillo riposo passare la mia vita.»

E così, nascosto per alquanti mesi, un giorno ritornato all’aria, e uscito fori della sua guaina, vide sé essere fatto a similitudine d’una rugginente sega, e la sua superficie non ispecchiare piùlo splendente sole, Con vano pentimento indarno pianse lo inreparabile danno, con seco dicendo:

«O quan[to] meglio era esercitare col barbiere il mi’ perduto taglio di tanta sottilità. Dov’è la lustrante superfizie? Certo la fastidiosa e brutta ruggine l’ha consumata.»

Questo medesimo accade nelli ingegni, che ’n iscambio dello esercizio, si dànno all’ozio, i quali, a similitudine del sopradetto rasoio, perde la tagliente sua suttilità e la ruggine dell’ ignoranzia guasta la sua forma.