Favole (Leonardo da Vinci)/I - Il ligustro e il merlo

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Il ligustro e il merlo

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Il ligustro e il merlo
Favole II - L'alloro, il mirto, il pero


I’ rovistrice, sendo stimolato nelli sua sottili rami, ripieni di novelli frutti, dai pungenti artigli e becco delle importune merle, si doleva con pietoso rammarichio inverso essa merla, pregando quella che poi che lei li toglieva e sua diletti frutti, il meno nolle privassi de le foglie, le quali lo difendevano dai cocenti razzi del sole, e che coll’acute unghie non iscorticasse [e] desvestissi della sua tenera pella. A la quale la merla con villane rampogne rispose: «O taci, salvatico sterpo. Non sai che la natura t’ha fatti produrre questi frutti per mio notrimento? Non vedi che se’ al mondo di tale cibo? Non sai, villano, che tu sarai innella prossima invernata notrimento e cibo del foco?» Le quali parole ascoltate dall’albero pazientemente non sanza lacrime, infra poco tempo il merlo preso dalla ragna e colti de’ rami per fare gabbia per incarcerare esso merlo, toccò, infra l’altri rami, al sottile rovistrico a fare le vimini della gabbia, le quali vedendo esser causa della persa libertà del merlo, rallegratosi, mosse tale parole: «O merlo, i’ son qui non ancora consumata, come dicevi, dal foco; prima vederò te prigione, che tu me brusiata.»