Favole (La Fontaine)/Libro terzo/VII - L'Ubriacone e la sua donna
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Per rimedio o vergogna che gli dài,
l’uom dal suo lato debole
sempre cascar vedrai:
come dimostra l’opportuno esempio,
che alle parole mie non manca mai.
Un discepol di Bacco, per il vizio
di bere, era condotto in precipizio.
Salute, ingegno e soldi ed allegria
quell’uom avea distrutto,
come fanno color che a mezza via
hanno già speso tutto.
Un giorno che, ben molle di decotto,
tornava a casa traballando e cotto,
la sua donna lo prese e lo serrò
in fondo a un bugigattolo,
dov’egli in braccio al vin si addormentò.
Quando si risvegliò, vide... oh spettacolo!
intorno al letto luccicar le fiaccole,
e sopra il letto un gran lenzuolo funebre,
e accanto i cento attrezzi della morte,
ond’io non dico s’ei si spaventò.
Camuffata alla foggia d’una furia,
ecco s’avanza la gentil consorte,
adagio, come vanno le fantasime,
a servirgli una broda nera e sordida.
Ah! proprio egli credé
d’esser cascato in casa del diavolo.
- Oimè! - gridava, - oimè!
Son io morto davver? chi sei, fantasima?
- Io son la cuciniera dell’inferno,
e porto da mangiare
a quei che stanno in questo loco eterno -.
E il buon marito senza giudicare,
grazie al vin, se sian cose false o vere,
- Dimmi, - esclama, - e non porti anche da bere?