Favole (La Fontaine)/Libro quinto/VIII - Il Cavallo e il Lupo
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Un Lupo nella dolce primavera
quando i prati la mite aura rinnova
ed escon gli animali alla pastura,
un Lupo, dico, andando alla ventura,
in mezzo a un praticello
vide un Cavallo abbandonato e bello.
- Buon pro, - disse fra sé, -
a chi saprà servirselo per cena.
Se invece di caval fosse montone,
sarebbe quel boccone
che più conviene a me,
che piglierei d’un salto e senza pena.
Ma qui, - soggiunge il ghiotto, -
ci vuol malizia -. E a passi misurati
vien innanzi e si spaccia a lui per dotto
discepolo d’Ippocrate,
che sa guarire i mali più invecchiati
col semplice decotto
dell’erbe ch’ei conosce ad una ad una
(sia detto senza alcuna vanteria)
come se fosse nato in spezieria.
- Quando un Cavallo va così slegato,
- gli dice, - in mezzo al prato,
in medicina questo è un gran segnale
ch’egli si sente male.
Se don Poledro vuole ch’io lo visiti,
prometto di guarirlo
gratis, s’intende, e senza obbligazione.
- Se vuoi saper, - risposegli il Cavallo, -
ci ho una pustema grossa sotto un piede -.
E il medico burlone:
- Ahimè, son mali seri
e che richiedon qualche operazione
un po’ pericolosa.
Ma non importa, credi all’arte mia,
io so la chirurgia
e servo dei cavalli cavalieri -.
E mentre il furbacchiotto si avvicina
per stringere il malato,
questi che odora il fiato
all’animal sapiente,
gli stiaffa in viso un calcio sì potente,
che il naso manda in broda
e i denti e le mascelle gli dischioda.
Il Lupo nel partir disse in suo core:
- Fornaio, fa’ il fornaio,
ognun il suo mestier faccia pel quale
dal Cielo è destinato -.
Un Lupo nato ad esser macellaio
sarà sempre un gran povero speziale .