Favole (La Fontaine)/Libro nono/XIII - Giove e il Navigante

Libro nono

XIII - Giove e il Navigante

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Jean de La Fontaine - Favole (1669)
Traduzione dal francese di Emilio De Marchi (XIX secolo)
Libro nono

XIII - Giove e il Navigante
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Se l’uom memoria avesse
di tutte le promesse
che nei perigli estremi al Cielo fa,
avrian gli dèi regali in quantità.
Ma, superato il male,
è corta la memoria del mortale.
- Giove, - si dice, - è un creditor cortese,
che non manda l’uscier in fin del mese -.
Sarà, ma se talor lampeggia e tuona,
vedrai che non canzona.

Un navigante in mezzo alla bufera
al Vincitor promise dei giganti,
pur non avendo nella stalla un bove,
un’ecatombe intera.
Egualmente potea cento elefanti
prometter quel burlone al padre Giove.

Quand’ebbe posto il piede sulla riva,
bruciò quattr’ossa al naso del gran dio
e il fumo dedicò che ne saliva.
- O babbo Giove, - disse, - eccoti il mio
voto adempiuto, è fumo
questo di bove e porta il pio profumo,
che soltanto tu chiedi a un buon divoto.
Noi siamo in pace e soddisfatto è il voto -.

E Giove finse un poco
di ridere, ma dopo qualche giorno
per rispondere al gioco con un gioco,
gli manda un sogno a dirgli che non molto
lontan da lui stava un tesor sepolto.

Accorre il ghiotto mancator di fede
come corre alla fonte l’assetato,
ma invece di un tesor dei ladri vede,
che lo pigliano in mezzo e dispogliato
lo lascian mezzo ignudo.
Ei non avendo indosso che uno scudo,
per salvarsi promise a ognun di loro
cento scudi di un certo suo tesoro.

E disse il luogo ove giacea riposto,
ma i ladri che nol credono sincero:
- Basta, - dicono, - a casa del demonio
porta i tuoi scudi e impara a dire il vero -.
E sconciamente l’ammazzâr sul posto.