Le rauche degli stagni abitatrici
al Sol d’ogni soccorso e protezione
andavan debitrici.
Né povertà, né guerra, né disastri,
mercé questo gran re di tutti gli astri,
turbavan degli stagni la nazione.
Queste Rane (chiamandole alla fine
col nome lor non reca disonore),
quest’umide regine
osaron contro il Sol levar le ciglia
e maledire al lor benefattore.
Imprudenza, superbia, ingratitudine,
e quanti mali aduna
dentro i cuori leggieri la fortuna,
fecer tanto gridar questa insolente
razza, che il sonno ne perdé la gente.
Sollevar esse credevano
ogni buona creatura
col gracchiar, col rauco stridere
contro l’occhio di natura.
Chi credeva alle parole,
sgocciolar dovea del Sole
la candela e in un momento
spuntar schiere a cento a cento.
E se un cenno, un piccol passo
ei faceva a quei rumori,
era un correre
di gracchianti ambasciatori,
spaventati
degli stagni per gli Stati.
A sentirle in conclusione
iva il mondo in gran sconquasso
per tre rane cicalone.
Non sperar mai di vedere
che le rane un giorno imparino
l’arte bella di tacere.
Ma se il Sole un dì si mette
sui puntigli, poverette!