II. - Gli assiomi

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Baruch Spinoza - Etica (1677)
Traduzione dal latino di Piero Martinetti (1928)
II. - Gli assiomi
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II. — Gli assiomi.


Ass. 1. Tutto ciò che è o è in sè o è in altro.

Tutto ciò che è o è la sostanza o è un modo, una determinazione della sostanza. È l’eliminazione recisa dell’ambiguo concetto di sostanza creata.

Ass. 2. Ciò che non può concepirsi per mezzo di altro, deve essere concepito per sè stesso.

Ripete qui per il concipi ciò che nell’ass. 1 dice per l’esse. Poiché la realtà è anche un complesso di pen­sieri procedenti da un pensiero infinito, ogni pensiero singolo, cioè ogni realtà spirituale, deve avere la sua ragione (la sua concepibilità) in un altro pensiero: ma il loro fondamento ultimo, il pensiero infinito, deve avere la sua ragione in sè, per se concipi.

Ass. 3. Da una causa determinata data segue necessaria­mente l’effetto e per contro se nessuna causa determinata è data, è impossibile ne segua l’effetto.

Qui Spinoza esplica la concezione causale univer­sale implicata nell’ass. 1. Ogni cosa finita in alio est: questo aliud è la sua causa e da essa segue necessaria­mente che ne dipende, come senza di essa non può seguire. La stessa sostanza, che è il fondamento e [p. 9 modifica]la ragione di tutte le cose finite in essa comprese, non fa eccezione, perchè, come causa sui, essa genera eter­namente se stessa.

Ass. 4. La conoscenza dell’effetto dipende dalla conoscenza della causa e la implica.

Ripete questa determinazione causale universale sotto l’aspetto del concipi. Se, posto il parallelismo universale dell’essere (esteso) e del pensiero, la causa non è solo, come essere, il fondamento dell’essere del­l’effetto, ma anche, come pensiero, il fondamento del pensiero per cui è pensato, della sua concepibilità, è naturale che il pensiero dell’effetto implichi il pensiero della causa, in quanto senza di esso l’effetto non po­trebbe venir pensato. Certo bisogna qui intendere il concetto di causa nel senso spinozistico, come un essere più vasto e generale, di cui l’effetto è un momento, una determinazione parziale. Questo assioma ha per Spi­noza conseguenze importanti. La conoscenza delle cose finite implica la conoscenza della loro causa, cioè di Dio: noi non abbiamo che da svolgere questa, che è già nella prima potenzialmente implicata. Ma d’altra parte anche la conoscenza della realtà finita è perfetta solo quando possediamo la conoscenza, più perfetta che sia possibile, della causa prima, cioè di Dio.

Ass. 5. Le cose che non hanno niente di comune fra sè non possono anche essere comprese l’una per mezzo dell’altra, ossia il concetto dell’una non involge il concetto dell’altra.

Qui Spinoza afferma la continuità della serie cau­sale. In nessun punto può sorgere qualche cosa di nuovo, che non sia già nella causa universale, la so­stanza. Se potesse sorgere in un punto qualche cosa avente un essere separato, questo qualche cosa non potrebbe venir implicato col resto in una concatena­zione concettuale unica, che è anche, come sappiamo, concatenazione causale. Perciò non potrebbe entrare col [p. 10 modifica]resto in un rapporto causale. «(Hinc clare constat)... quod rerum quœ nihil commune habent inter se, una alterius esse causa non potest» (Ep. 4).

Ass. 6. L’idea vera deve convenire col suo ideato.

In un assioma Spinoza riassume la sua teoria della conoscenza. Il sistema della universa realtà è, come sappiamo, una duplice concatenazione: da una parte una concatenazione di realtà estese che sono nella so­stanza (come estensione): dall’altra una concatenazione di pensieri che sono nella sostanza (come pensiero). Il nostro pensiero (che non è se non un complesso di modi del pensiero, facente parte di questa seconda concate­nazione) è vero quando coincide con la perfetta conca­tenazione dei pensieri, così come è nella realtà asso­luta, in Dio; perciò corrisponde perfettamente allora alla concatenazione parallela degli esseri (estesi) in Dio. L’ignoranza e l’errore (con tutte le loro conse­guenze pratiche, le passioni) nascono nell’uomo quando il suo pensiero non coincide più con il sistema dei pen­sieri divini, ma costituisce una serie mutila e confusa: allora esso non corrisponde nemmeno più al sistema degli esseri, degli ideati, così come esso veramente è, cioè come è in Dio.

Ass. 7. Di tutto ciò, che può essere concepito come non esistente, l’essenza non involge l’esistenza.

Qui Spinoza definisce, in contrapposizione alla so­stanza, la cui essenza implica l’esistenza, l’essere finito (modo), che è limitato sempre da altro, determinato nell’essere e nell’agire da altro e che perciò, preso in sè, può essere indifferentemente concepito come esi­stente e come non esistente. Ciò che ha questo carat­tere non è essere vero (sostanza): perchè alla natura dell’essere vero appartiene l’esistere necessariamente ed eternamente.