Er venardì ssanto

Giuseppe Gioachino Belli

1833 Indice:Sonetti romaneschi III.djvu sonetti letteratura Er venardì ssanto Intestazione 10 gennaio 2024 75% Da definire

Er zervitore quarelato Er carnovale der trentatré
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1833

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ER VENARDÌ SSANTO.

     Ne la morte de Ddio la luna e ’r zole
Co’ la famijja bbassa de le stelle
Se mésseno er coruccio,1 e ccastaggnole
S’inteseno per aria e zzaganelle.2

     E cquesto vònno dì cquelle mazzole3
E cquelli tricchettracche e rraganelle,4
Che sse fanno, pe’ ddillo in du’ parole,
De leggno, ferro, canna, crino e ppelle.

     Er chiasso che cce famo5 è stato un voto
Per immità cco’ li su’ soni veri
Cuello der temporale e ’r terramoto.

     E pperchè Ccristo è mmorto, e oggi e jjeri
Vedéssivo6 arrestà ll’artare vòto
Sino de carte-grolie e ccannejjeri.7

Roma, 10 febbraio 1833.

Note

  1. Si misero il lutto.
  2. Due fuochi artificiali che dànno leggiere detonazioni.
  3. [Il giovedì e il venerdì santo, fanciulli e fanciulloni andavano percotendo con mazzole di legno le porte delle case e delle botteghe.]
  4. Strumenti, coi quali i fanciulli fanno un fragore per le vie della città.
  5. Facciamo.
  6. Vedeste.
  7. [Carteglorie e candelieri.]