Er padre suprïore
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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834
ER PADRE SUPRÏORE.
Tre nnotte fa, un Patrasso francescano
Ariccontava a una su’ grann’amica
Ch’è ppiù mmejjo avé er culo in zu l’ortica
Che de stà in un convento a ffà er guardiano.
Questi dicheno pragras1 der zovrano:
Quelli so’ ddisperati pe’ la ....:
Onzomma disce lui ch’è una fatica
D’arinegàcce2 er nome de cristiano.
Disce che ppe’ sti frati farabbutti3
Lo stà4 bboni la notte in dormitorio,
Er zilenzio, er cantà, sso’ affari bbrutti.
La ppiù ppena perantro, er più mmartorio,
Er più ssudore, è aridunalli5 tutti
La matina e la sera ar rifettorio.
14 marzo 1834.
Note
- ↑ Plagas.
- ↑ Rinegarci.
- ↑ Farabutti, per “ribaldi.„ [E questo è precisamente il significato più comune che ha anche in Toscana, e, credo, in tutta Italia. Ma i vocabolari dando farabutto come semplice equivalente di “ingannatore„ o “truffatore,„ il Belli sentì il bisogno di mettere questa nota. Primo il Giorgini-Broglio ha definito giustamente farabbutto per “uomo ignobile e tristo.„ V. la nota 7 del sonetto: L’età ecc., 14 marzo 34.]
- ↑ Stare.
- ↑ Radunarli.