Er marito de ggiudizzio

Giuseppe Gioachino Belli

1846 Indice:Sonetti romaneschi V.djvu sonetti letteratura Er marito de ggiudizzio Intestazione 30 gennaio 2025 75% Da definire

Le zzampane Er parchetto de la deputazzione
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1846

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ER MARITO DE GGIUDIZZIO.

     Oh, er mi’ padrone poi, sora Scescijja,[1]
Verbo corna s’ammaschera da tonto.[2]
Lui se n’essce da cammera ónto-ónto,[3]
Serra l’occhi, e vva ttutto a mmaravijja.

     Nun è omo d’avéllo[4] pe’ un affronto,
Si ssenza corpa sua cressce famijja.
Le cose tutto sta cchi sse ne pijja,
E ggnente dole mai si ttorna conto.

     Abbiti, argenterie, casa a ppalazzo,[5]
Carrozze, servitù, ppranzi in campaggna...
Lui vede tutto e nnun dimanna un c.....

     La providenza viè? llui l’arisceve.
Er camminuccio fuma? e cquello maggna.
La funtanella bbutta? e cquello bbeve.

2 aprile 1846.

Note

  1. Cecilia.
  2. Fa lo gnorri.
  3. “Lemme-lemme,„ come dicono i toscani.
  4. Averlo.
  5. [Abitazione gratuita nel palazzo. In generale, per palazzo, detto così assolutamente, s’intende quello pontificio; ma qualche volta, quando non possa esserci ambiguità, anche quello della persona di di cui si parla o a cui si allude. Qui dunque potrebbe trattarsi del palazzo di..... Paride.]