Er madrimonio sconcruso
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ER MADRIMONIO SCONCRUSO.
Ggnente: nun c’è ppietà; nnun m’arimovo.[1]
Io pe’ la tiggna,[2] bbella mia, so’ ll’asso.[3]
Ho ppiù ttostezza[4] io mo cco’ llei, che un zasso
Che ffascessi a scoccétto cór un ovo.[4]
Pe’ nun guardalla mai quanno la trovo,
Vado tutto intisìto[5] e a ggruggno[6] bbasso,
Come un pivetto[7] che la festa a spasso
Sa d’avé addosso er vistituccio novo.
Lei m’aveva da fà mmeno dispetti:
M’aveva da tiené mmejjo da conto,
E ffasse[8] passà vvia tanti grilletti.[9]
Io sposalla? è impossibbile: nun smonto.[10]
Sc’è ttropp’onore tra li mi’ parenti,
Perch’io vojji pe’ llei fajje[11] st’affronto.
29 maggio 1833.
Note
- ↑ [Non mi rimuovo]: non mi piego.
- ↑ Per la ostinazione.
- ↑ Sono l’asse: metafora presa dal giuoco di carte, così detto della briscola, nel quale l’asse è la carta superiore.
- ↑ 4,0 4,1 Si giuoca a Roma dalla plebe, percuotendo colla parte più acuta di un uovo allessato (chiamato ovo tosto) sulla stessa parte d’un uovo simile che tiene in mano l’avversario. Colui, il guscio del cui uovo si frange all’urto, perde il giuoco; e ciò dicesi fare a scoccétto. [Da scoccià, scocciare.]
- ↑ Teso, ritto.
- ↑ Volto.
- ↑ Fanciullo.
- ↑ Farsi.
- ↑ Capricci.
- ↑ Non discendo, non cedo.
- ↑ Fargli, per “far loro.„