Giuseppe Gioachino Belli

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Un deposito Er servitor-de-piazza ciovìle
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1831

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ER MARIGGNANO.1

     Ah Scariotto, che pporti pe’ strapazzo
La bbanniera2 de Cristo ar cudicuggno,3
C’hai de pietra4 er coggnome com’er gruggno,
Botte de furberia sscérta5 in ner mazzo;

     Aringrazzia er tu’ Ddio, faccia de c.....,
Aricacchio6 d’un fijjo de bburzugno,7
Si ccór zugo de fior de tuttopuggno
Nun t’hanno tinto er muso pavonazzo.8

     Stràppete da le spalle quella vesta,
Lèvete da la gola er collarino,
E rràpete la chirica9 da testa:

     Perché la riverèa10 d’un assassino,
Deggno de scelebbrà ll’urtima festa,11
È una còppola,12 un zacco e uno strozzino.13

Nu’ la pijjà cco’ Nnino:14
Ma, ssi15 me vòi conossce, viè a bbottega,
E llì cce troverai chi sse ne fr....

Roma, 20 ottobre 1831.

Note

  1. Melanzana, per "prelato., [Detto però sempre in tono di scherno. V. la nota 3 del sonetto: Pe’ le Concrusione ecc. (1), 18 ag. 30. — Il brutto tiro fatto da monsignor Camillo Di Pietro al conte Giovanni Giraud, e che dette occasione a questo atroce sonetto, è raccontato ne’ suoi più minuti particolari in una lunghissima lettera del 18 luglio 1831, che il Giraud diresse allo stesso Di Pietro: lettera che il Belli nella nota 14 dice pubblicata, ma di cui io non ho potuto trovare altro che una copia manoscritta in una miscellanea della Chigiana. Eccone qui un sunto, a compimento di detta nota. — A’ primi di maggio del 1831, il Di Pietro, affermando di aver fin allora rimesso circa 3 300 scudi all’anno nell’appalto della neve, che egli e suo padre tenevano in società con un altro, e che secondo il contratto avrebbe dovuto durare nientemeno che altri dieci anni, ottenne da Gregorio XVI di poter rescindere codesto contratto, anche subito, purchè si trovasse un nuovo appaltatore. E confidò la cosa al Giraud, scongiurandolo a trovarlo lui, e ad “ottenere il permesso di trattar l’affare con Monsignor Tesoriere, a tavolino, per evitare tutte le lunghe formalità di Notificazioni, Vigesime e Seste.„ Il Giraud si offrì egli stesso per appaltatore; ottenne dal Papa la concessione per trattative private, e abbozzò col Tesoriere un contratto così favorevole, che in diciotto anni gli avrebbe potuto fruttare un 72000 scudi di guadagno. Ciò fatto, e sempre d’intesa coi Di Pietro, propose loro d’entrar con lui in società nel novo appalto. Ma essi lo ringraziarono, dicendosi lieti d’uscirne senz’altro. Allora egli si associò il cav. Gozzani; mise insieme in tanti sacchetti l’anticipazione di 27000 scudi, che il Governo in quelle sue strettezze d’allora chiedeva, e fissò la stipulazione del contratto per il 30 di maggio. Ma poichè Monsignor Di Pietro doveva ancora pagare alla tesoreria un residuo per gli ultimi sette mesi dell’appalto, e la mattina del 30 non l’aveva ancora pagato, la stipulazione non potè farsi; ed egli dette al Giraud per quella sera un appuntamento in casa propria, per prender gli ultimi accordi, dacchè il Giraud e il Gozzani si erano offerti di pagar essi per lui. E qui mette davvero conto di lasciar parlare l’autore del Don Desiderio, che così apostrofa il Monsignore: “Mentre io attendendovi fino a notte avanzata aveva l’animo ingombro dal timore che vi fosse accaduta qualche disgrazia; mentre studiavo il modo di non farvi pagar nulla per gli ultimi sette mesi del vostro appalto; mentre fra me calcolava quanto mi costavano le somme procuratemi per compire l’anticipazione, e quanto poteva rimanermi di utili dai 72 000 scudi che nel diciottennio prometteva il mio appalto, voi (rabbrividisco in pensarlo!), voi in quel preciso momento, avendo già studiata la maniera per giungere a sorprendere la Clemenza del Sovrano, eravate a’ suoi Piedi, per cacciarmi fuori dell’appalto, ed in premio della fiducia e dell’amicizia rubarmi spese, fatiche, lucro e tutto, stipulando sulla stessa minuta del mio contratto!!!„ Eppure, questa vergognosa gherminella non impedi al Di Pietro di rimanere com’era Ponente della Sacra Consulta, per passar poi Uditore della Sacra Rota; d’esser creato cardinale nel 1853, e di morire decano del Sacro Collegio nel 1884!]
  2. Mantelletto da prete.
  3. Cudicugno: vestito.
  4. Monsignor Di Pietro.
  5. Scelta.
  6. Germoglio.
  7. Zotico, villano. [Da un passo della lettera del Giraud pare che gli antenati di Monsignore facessero i taglialegna a Nettuno: “Quello che più mi ha sorpreso è stato il vostro padre Domenico. Un uomo così religioso! Così devoto! Che si trova più facilmente nella Chiesa de’ SS. Apostoli a masticar rosari, che nel suo Banco a pagar cambiali! Non so come abbia potuto acconsentire ad un’azione così mostruosa... Il signor Domenico doveva riflettere, che un tradimento di questa fatta non lo avrebbero commesso senza arrossirne neppure gli Avi suoi, quando trattavano l’acciaio nelle sacre selve di Nettuno.„]
  8. [Qualcosa di simile gli aveva detto anche il Giraud, al principio della lettera: “È più di un mese e mezzo, Monsignor mio, che sono debitore in faccia vostra di qualche opera di pugno. Pur troppo è vero! E siate persuaso che ne avreste già dei segni sotto gli occhi. Non prima d’ora però ho potuto adattarmi a servirvi troppo debolmente con la penna...„]
  9. Ràditi la chierica.
  10. [Livrea. Ci associano l’idea di riverire.]
  11. [Degno di celebrare ecc.: degno d’essere impiccato.]
  12. [Berretto senza tesa, papalina, com’è appunto quello che portano i galeotti. — Da còppola si è fatto scòppola e scoppolà, allo stesso modo e con lo stesso senso che da cappello si fece il toscano scappellotto e scappellottare. — Scappellotto è anche romanesco; scappellottare no.]
  13. [Capestro.]
  14. Giovannino. Questo sonetto fu scritto e mandato a Giovanni Giraud dopo la pubblicazione che fece egli di uno scritto contro Monsignor Di Pietro, per un tradimento da lui ricevuto in un affare di appalto di neve.
  15. Se.