Er Duca e 'r dragone
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Sonetti del 1835 | Er bullettone de Crapanica | ► |
ER DUCA E ’R DRAGONE.
1.
Ma er dragone ar zentisse1 dì ubbriaco
Appuntò ’na pistola a ddon Marino,
Che sse2 poteva, povero duchino,
Passà addrittura pe’ una cruna d’aco.
A st’antifona hai visto quer ciumaco?3
S’arza, se2 bbutta ggiù ddar carrozzino,
Mette mano4 a una viggna, entra ar casino,
Ce se2 serra, eppoi disce: Me ne c... .
Tratanto er viggnarolo e ddu’ garzoni
Investìrno5 er zordato, e ssur tinello
L’affermònno6 co un carcio a li c...... .
A sto carcio, er zor Préncipe de drento,
Fórzi7 pe ssimpatia da bbon granello,8
Fesce un strillo futtuto9 de conzento.10
8 gennaio 1835.
Note
- ↑ Al sentirsi.
- ↑ 2,0 2,1 2,2 Si.
- ↑ Accarezzativo che si usa co’ fanciulli. [Hai visto? Qui, vale: “sai cosa fece?„]
- ↑ [Scappa dentro.]
- ↑ Investirono.
- ↑ Lo fermarono.
- ↑ Forse.
- ↑ Vedi l’ultima parola del verso undecimo.
- ↑ Tremendo.
- ↑ Di consenso. — Ecco la storia. Il Duca di Poli don Marino Torlonia, vero ciumàco, guidando un tilbury presso il Ponte Milvio, vide un dragone pontificio che si teneva male in sella. È ubbriaco, disse il Duca al suo valletto. Il dragone, che gli era vicino, lo udì, e, come ubbriaco davvero, assalì il povero Duca con una pistola. Costui balzò dal suo legno e fuggì in una vigna che a caso trovò aperta, e, sempre inseguito dal dragone smontato anch’egli dal suo cavallo, arrivò a un fabbricato e potè chiudervisi. Intanto, sopraggiunta una vignaiuola forte e coraggiosa, allo stretto di una porta colpì il dragone di un calcio nelle parti delicate, e coll’aiuto di due altre donne e del valletto ducale lo abbattè e lo legò, direbbe il popolo, come un cristo. Qui il valletto trottò a Roma: avvisò un maggior Ricci (che una volta si sorbì una frustata in faccia da un cocchiere): questi accorse con due dragoni non ubbriachi, ed arrestò l’ubbriaco. Fatto tutto il Duca sbucò dalla tana.
2.
È scappato, sicuro ch’è scappato.
Cosa aveva da fà ppovero Duca?
In st’incastri che cqua,1 ’na tartaruca
Diventerebbe un lepre scatenato.
Er zu’ ggiacchetto2 è una cratura sciuca:3
Er cane der dragon era ingrillato:4
Er cancello era bbell’e spalancato:
Lui dunque a ggamme5 come una filuca.6
Er ziggnor Duca è un giovene medotico,7
Che ffa le cose in regola, e sse8 strugge
Dar gran talento sibbè9 ppare un zotico.
Co’ un zordato a ccavallo è ccosa scèrta
Che un pedone nun vince antro10 ch’a ffugge.11
Omo a ccavallo sepportura uperta.12
9 gennaio 1835.
- Note.
- ↑ [In questi incastri qui: in questa sorta di pericoli.]
- ↑ [Valletto, groom. E deriva dall’inglese jockey, con ravvicinamento però alla giacchetta corta, che si chiama appunto giacchetto.]
- ↑ Creatura [ciuca] piccola.
- ↑ [Il cane della pistola del dragone era alzato, aveva il grilletto pronto.]
- ↑ A gambe.
- ↑ Feluca.
- ↑ Metodico.
- ↑ Si.
- ↑ Sebbene.
- ↑ Altro.
- ↑ Fuggire.
- ↑ Vedi annotazione al verso 14.
Annotazione al verso 14
modifica[Proverbio, di cui qui però è capovolto burlescamente il senso. — Da questa avventura di don Marino, il 19 gennaio 1835 il Belli cavò partito per ritornare sulla famosa Causa Cesarini (V. nel vol. III le pag. 433-36) con un sonetto italiano, tuttora inedito, e che merita di esser conosciuto:
Nel delirio febbril che don Marino1 |
Note
- ↑ Don Marino Torlonia, Duca di Poli e Guadagnolo.
- ↑ Vedi su ciò il mio sonetto in vernacolo romanesco, intitolato: Er Duca e ’r dragone. Fatto storico.
- ↑ Capo di provincia famosa pe’ cosiddetti briganti.
- ↑ Donn’Anna Cesarini, moglie del Torlonia.
- ↑ Don Giulio Torlonia figlio del Duca di Poli, in cui dovrebbe cadere il nome Sforza-Cesarini per testamento del di lui zio materno don Salvatore. Gli adulatori de’ Torlonia lo chiamano difatti il piccolo Sforza, a malgrado della tremenda causa già da lui perduta nel primo turno della Rota Romana, ed oggi pendente avanti il secondo per istanza contro le pretensioni di don Lorenzo Sforza, fratello di Salvatore, che dimanda la sua legittimazione e l’immissione al possesso del nome e delle sostanze paterne, onde fu escluso per attentato di don Francesco Sforza e donna Gertrude Conti, coniugi Cesarini.
- ↑ Il piccolo avvocato Zaccaleoni, pipernese.
- ↑ È una delle mosche della Casa di Poli.
- ↑ Può tanto prendersi pel Tribunale dell’A. C. che per corruzione diede già vinta la prima istanza ai Torlonia, quanto per un tribunale di briganti, rappresentato dal delirio alla fantasia del Duca di Poli, che sembra volervi fare un appello dal buon dritto civile che lo condanna.
- ↑ Le penne che concertarono le infamie e le turpitudini della famiglia Cesarini, delle quali riboccano le pubbliche scritture.
- ↑ L’oro del povero reietto don Lorenzo, posseduto e prodigato in di lui danno dai Torlonia.
- ↑ Il carmelitano scalzo padre Pietro Luigi dell’Angiolo Custode, fratello di Enrico Giuliani drudo della Duchessa Gertrude, e confessore di lei, della quale rivelò una confessione che pretese rammentar netta e circostanziata dopo molti e molti anni, onde provare la illegittimità di Lorenzo, perseguitato dalla sorella e dalla madre.
- ↑ Il parroco di San Carlo a’ Catinari.
- ↑ Il libro de’ battesimi della suddetta parrocchia, donde fu estratta la falsa fede della morte di Lorenzo, sotto il nome di Montani.
- ↑ Neppure il tribunale de’ briganti sembrò all’agitata coscienza del Torlonia capace di coonestare l’assassinio contro il sacro dritto di un infelice espulso dalla sua famiglia e dal cuore de’ suoi. [A queste note segue, sempre di pugno del Belli, un elenco delle persone a cui aveva dato copia del sonetto; e sono: Francesco Spada, Annibale Lepri, Giuseppe Pulieri, Vincenzo Rosa, Domenico Biagini, Giacomo Ceccacci, Paolo Olmi, Giuseppe Vasselli, Angiolo Biscontini, Filippo Ricci, Luigi Mazio, Giacomo Ferretti, Giuseppe Gabrielli.]