Epistolario di Renato Serra/Alla madre - 16 giugno 1905
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...., 16 giugno 1905.
Mia cara mamma,
ti scrivo in iscuola, mentre i miei compagni stanno ricopiando un rilievo topografico. Io non ho mai fatto di questi disegni, che sono una vera tortura; sarò costretto oggi a restarmene in casa quando gli altri usciranno per tentare di farlo.
Ah, che brutta gente e che brutta vita! è meglio non parlarne. Meno male se mi terranno, come sembra, un po’ di conto del volontario sacrifizio di questi giorni. Gli esami per la promoz. a sergente sono prossimi; cominceranno verso i 10 di luglio, perchè ai 19 dovremo partire per Tivoli dove faremo i tiri collettivi e le manovre campali, aspettando le grandi manovre che cominceranno il 23 agosto, fino, credo, al 7 settembre. E’ un mese e mezzo da viver sotto la tenda; poi, se Dio vuole, sarà finita. Otterrò facilmente, a meno di non esser destinati in un Reg.to peggiore di questo, - che è impossibile - una piccola licenza per venirvi a trovare, e tornando non dovrò quasi far altro che preparare gli esami per Novembre. Tutti siamo lieti dell’anticipo degli esami, bene o male che vadano, sarà un incubo di meno. Per altro la nomina effettiva, e lo stipendio, non decorreranno se non dal 1°Agosto. E quanto alla licenza che speravo di poter ottenere dopo gli esami, era una vana speranza. Ci fanno anticipare a posta perchè non perdiamo nè meno un giorno dei tiri.
Sto per toccare un argomento che ho evitato a bello studio in tutte le mie lettere precedetni; perchè temevo, rispondendoti su quel tuo disegno d’una corsa a Roma, di lasciarmi troppo vincere dalla voglia di vederti e di scriverti: vieni, vieni! Ciò che per quanto piacevole, non sarebbe affatto ragionevole. Tu non puoi nè meno imaginare lo strapazzo di un viaggio a Roma in questi giorni, col caldo soffocante e tutto il resto; e non parliamo poi della ferrovia. Il rischio di una facile malattia, almeno il pensiero dello spossamento grande che te ne resterebbe, e a lungo, mi toglierebbero tutto il piacere di vederti. Sì che dimetti quell’idea, e procura di aspettare con pazienza il settembre, in cui verrò quasi di certo. E il novembre poi in cui ritornerò proprio a casa, alla mia cara casa, e non me ne muoverò più per 14 mesi. Speriamo che saranno proprio 14!
(Senza contare che il viaggio ti costerebbe una spesa, non indifferente che non sarebbe assolutamente compensata). E le spese qua si moltiplicanoin una maniera irritante. - Quando non è il manuale, è il doppio decimetro, la squadra, la carta da disegno; è l’olio e la benzina, è una carta topografica - tutta roba che dovrebbe esserci fornita, e che invece siamo costretti a pagarci da noi - per aumentare a spese nostre i nostri travagli. In questi giorni peraltro ci è stato consigliato, diciamo così, un acquisto, che tutti desideravamo di fare fin dai primi giorni. Si tratta di una cassetta d’ordinanza per sottufficiali, che sarebbe diventata obbligatoria dopo la nostra promozione a sergenti, e che ci sarà utilissima fin d’ora, per tenerci la nostra biancheria - quella che è necessario aversotto mano, i libri più cari; le lettere etc., e ci procurerà l’ineffabile benessere, sconosciuto alla caserma, di avere almeno una cosa nostra, di poterla chiudere a chiave e nascondere alla vista di tutti. La causa di questo permesso, è derivata dall’infierire dei furti nelle ultime settimane. 50 lire a uno, 10 a un altro, 5 a un altro, la catena d’oro a questo, il portamonete a quello; e non parliamo dei minori furti, di pochi soldi, o dei fazzoletti, cravatte e biancheria d’ogni specie (a me di biancheria per fortuna non hanno rubato altro che cravatte). I nostri superiori hanno trattato di ladri tutti quanti (il ladro vero, dei denari, invece pare che sia un caporal maggiore, un camorrista calabrese, che resta a guardia, spesso, delle camerate); e poi hanno dato il permesso. La cassetta sarà fatta dal falegname del Reggimento e costerà 7,50.
Per le scarpe poi non ho potuto far rabberciare quelle vecchie, perchè i calzolai, cui le ho mostrate, m’hanno detto che, per ridurle a uso militare, bisognava rifarle quasi nuove, e non francava la spesa. Ne ho ordinato un paio, - senza impegno - a patto cioè che mi piacciano e mi calzino bene - al calzolaio che lavora per il Reg.to, che me le farà per 12 lire. Io non m’intendo di scarpe; ma mi pare che lavori sodo, e con pelle buona, abbastanza elastica nel tomaio e nella punta, e che non costino nè meno troppo.
Vorrei parlarti un poco di cose più belle; ringraziarti della tua lettera, e dell’affetto con cui m’accompagni in questi brutti giorni, e dei sacrifici che fate per rendermeli meno duri (a proposito, io spero che quando sarò sergente 40 lire saranno oltre il bisogno; anche il rancio - scarso - sarà mangiabile, sano e pulito; e basteranno, almeno dopo il primo mese, 20 o 30 al più) ... Del resto se il corpo è dolente e l’animo irritato, ho poi molti conforti e vari; leggo dei bei libri, m’intrattengo con dei pensieri vari e piacevoli, trovo anche modo di passar qualche ora imaginando e lavorando un poco, che mi lascia contento di me e mi nutre di grate speranze. Se ne andranno in fumo come tant’altre, ma mi contento anche della loro breve gioia.
La lezione è finita e mi aspettano due o tre ore di tormento. Trasmetti tu i miei più affettuosi baci ed abbracci, e auguri di buona salute al papà; bacia i fratelli e ricevi tanti e poi tanti baci dal tuo.