Epistolario di Renato Serra/Al padre - 30 aprile 1905
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Roma, 30 aprile 1905.
Caro papà,
rispondo alla vostra carissima ricevuta in questo momento. Scrivo poco e alla meglio, perchè sono in letto e non mi sento.
Prima di tutto io dovrei scusarmi, - o almeno dirti quanto mi dispiace il pensare che malgrado tutto il bene che ti voglio io trovo sempre il modo di addolorarti e di offenderti con la mia negligenza. E’ un po’ quel che mi succede da per tutto; con le migliori intenzioni del mondo in realtà faccio sempre il contrario. Ma non mi dispiace mai tanto come ora. Così mi son dimenticato così della tua festa come di quella della mamma. Ma scusa l’ho in questo; che gli ultimi giorni passati in caserma sono stati giorni d’inferno tali da far perdere la testa a chi l’avesse più a posto. Tutti, dal colonnello - e specialmente lui - all’ultimo graduato hanno preso a perseguitarci; e a rimetterci in mente quello di cui qualcuno - fra cui io - nei primi giorni non s’era accorto; o s’era poi dimenticato che la caserma può da un momento all’altro trasformarsi in un carcere retto dall’arbitrio più capriccioso odioso e irritante.
Basti dire che fino all’ultimo giorno prima di venir qui io non avevo trovato il modo di andare a riscuotere la bicicletta alla stazione. Ma di queste storie a un’altra volta.
Adesso della malattia. Non deriva assolutamente da un’infezione nuova. E forse la spiegazione del modo come la mia vecchia malattia ha potuto accompagnarmi per due anni, pur lasciandomi l’illusione d’esser sano e guarito, sta nella castità quasi perfetta che io ho osservato nella massima parte di questo periodo. Le fatiche dei giorni passati me l’hanno ridestata.
Cara mamma,
avevo intenzione di scrivere una lettera anche per te; ma sono ormai stanco, e mi scuserai se non ti mando altro che tanti e tanti baci. Anche per Nino e la Pia. Il tuo.
P.S. - In questo momento entra Checco Ridolfi1 al quale consegnerò la lettera perchè la imposti.
Note
- ↑ Francesco Ridolfi di Cesena, amico del padre dott. Pio.