Al dottor Gian Maria Bicetti — Treviglio

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Al dottor Gian Maria Bicetti — Treviglio
II IV
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III

Allo stesso.

Milano, li 18 ottobre 1741.

Car.mo dottor Bicetti. Acclusa vi mando la Raccolta Corio, e basti di ciò. Oh, se sapeste, dottore, quanti versi ho da farvi sentire! Un capitolo scrittomi dal Grazioli, con la mia risposta; un capitolo sopra la gelosia del Vettori, bellissimo, e mill’altre [p. 5 modifica]tantafere, che or non vo’ dire. Io ve li manderei tutti, ma e’ m’ incresce far fatica a copiare, che sono capitoloni di settanta belle terzine per ciascuno, onde pensate se e’ son nespole o susine. Abbiamo male nuove dal Giusto, il cui suocero vuol ire un tratto a veder ballar l’orso; e’ me n’ incresce per la sig.*"^ Manzoni poveretta, che sarà addolorata; ma cosi facesse pure un altro vecchierello, che vo’ dir io, e che indovinerete anche voi, se vi ci volete provare. Cotesti benedetti vecchi e’ vivon tanto, ch’egli è un vituperio schietto e netto, e, quel che è peggio, non vogliono che i giovani facciano del bene né anche loro. Il dottor Pellegrini è fuori; il Riviera è fuori; l’Agudio è fuori; il Passeroni (Giancarlo) è fuori; il Bicetti è fuori ; oh, diavol si porti il fìiori, ché io sono qui bello e diserto, ché fra cinque o sei giorni aggiungerò alla cronaca del fuori’, «don Remigio è fuori»; anch’io però sono fuori, ma di cervello vo’ dire, ché non intendeste mai una qualche pazzia. Orsù, mi salutate tutti quanti i vostri e le vostre, generis masculini, feminini, neutri, ch’io non so che altro vi dire se non che sono di cuore tutto vostro

Il Baretti.