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epistolario 5

tantafere, che or non vo’ dire. Io ve li manderei tutti, ma e’ m’ incresce far fatica a copiare, che sono capitoloni di settanta belle terzine per ciascuno, onde pensate se e’ son nespole o susine. Abbiamo male nuove dal Giusto, il cui suocero vuol ire un tratto a veder ballar l’orso; e’ me n’ incresce per la sig.*"^ Manzoni poveretta, che sarà addolorata; ma cosi facesse pure un altro vecchierello, che vo’ dir io, e che indovinerete anche voi, se vi ci volete provare. Cotesti benedetti vecchi e’ vivon tanto, ch’egli è un vituperio schietto e netto, e, quel che è peggio, non vogliono che i giovani facciano del bene né anche loro. Il dottor Pellegrini è fuori; il Riviera è fuori; l’Agudio è fuori; il Passeroni (Giancarlo) è fuori; il Bicetti è fuori ; oh, diavol si porti il fìiori, ché io sono qui bello e diserto, ché fra cinque o sei giorni aggiungerò alla cronaca del fuori’, «don Remigio è fuori»; anch’io però sono fuori, ma di cervello vo’ dire, ché non intendeste mai una qualche pazzia. Orsù, mi salutate tutti quanti i vostri e le vostre, generis masculini, feminini, neutri, ch’io non so che altro vi dire se non che sono di cuore tutto vostro

Il Baretti.


IV

Allo stesso.

Milano, li 15 novembre 1741.

Car.mo Bicetti. Che diavolo! siamo noi addormentati? Su, ripigliate quella penna, e subito, ché io mi sento stioppare se non vi scrivo quattro gale e se voi non ne scrivete cinque a me. Din, don, din, don, din, don, svegliatevi, svegliatevi, ché avete dormito assai, sentite che la campana suona e ci chiama a scuola; fuori, fuori, fuori di casa mia, monna Pigrizia, che vuo’ più tu stia con noi. Laudato Dio, che avete pure aperti gli occhi e disfatto il chiocciolino, e già v’alzate, vi calzate e giù dal letto balzate; orsù, lasciamo andare queste novelle e scriviamoci, o il mio Bicetti santo.