Encelado
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ENCELADO
Cadde il saturnio re, fredda è la mano
Che infranse ai figli della terra il petto,
Ma senza tempo all’alta pena addetto
Giace il Titano.
E non l’ira celeste e de’ captivi
Fratelli il fato e il sovrapposto monte
Premon così l’indomita sua fronte,
Come dei vivi
La Miseria e l’Error, furie gemelle
Per cui tanta di mali ombra s’addensa,
E di gelido oblio serra un’immensa
Onda il ribelle.
Dunque mai non sarà chi dall’indegno
Strazio il redima, e la sulfurea mole
Spezzando il tragga a riveder del sole
Splendido il regno?
Pur ei sotto al tormento immane, quale
Granitica ruina immoto resta,
Se non che a quando a quando ansa, e la testa
Leva immortale.
E se strider quassù nella marea
Degli umani conflitti oda un’audace
Sfida, o contro un poter bieco e tenace
S’armi un’Idea;
O desto a un punto in generosa lotta
Arda un popol che ignavo e morto parve,
E di preti e di re squallide larve
Urlino in rotta;
Fervido allor su la tartarea polve
Torcesi il fiero, e dall’etnee fornaci
La speranza aspirando, al ciel minaci
Fiamme rivolve.