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Galileo Galilei nacque in Firenze, ed al suo nobile spirito natura non venne meno di nobile patria; ma di somiglianti grazie uomini infiniti sogliono goderne. Di lui si vuole dire proprie glorie, ed alle quali pochi intelletti abbiano ad aspirare con buona speranza. Egli dunque nella gioventù adornossi di ogni leggiadra letteratura; ma l’animo determinatamente rivolse alle scienze matematiche; lessele in cattedra nella città di Pisa, e poscia in quella di Padova, là dove le sue parole furo sì fatte, che messe le ali se ne volarono di là dall’Alpi, e furono con maraviglia raccolte da quelli uomini grandi, i quali, spezzato il chiostro della barbarie, vanno volentieri incontro all’ammirabile gentilezza. Di Padova il trassero i Serenissimi di Toscana, ed ebbono per onore fermare nell’altezza della loro corte il Galilei, il quale aveva nell’altezza del Cielo fermato il nome della loro famiglia chiarissima. Quivi gradito da principi, quantunque abitator della terra, passeggia, a dirlo con parole belle di Omero, le cime eccelse dell’Olimpo; e se a nostri giorni fosse l’antichissimo costume concesso di onorare i veri concetti co’ velami di favole, averemmo per lui grande opportunità di proporre altri carichi di Atlante, ed altre notti sonnacchiose d’Endimione. E veramente se deesi credere che i Cieli, ed i loro lumi, parte abbiano nel componimento de’ corpi umani, sicchè migliori e peggiori facciano gli stromenti onde poi l’intelletto si adopera con maggiore forza o con minore, io non mi riterrò di dichiarare intorno al Galilei mia opinione, cioè, che a gran ragione apprestarono quei corpi superni a quest’uomo il modo di altamente contemplare; poichè contemplando pur loro, spose qua giuso i movimenti di quelle eterne regioni per via, che, fatte più chiare, sono agli occhi mortali più caramente manifestate; e però più vivamente s’invogliano i sublimi ingegni di mirarle, ed anco ammirarle. Di qui le Muse e la Fama non deono d’altro che di stelle coronare la fronte a personaggio sì singolare; grande perchè in gran cose travagliò l’animo, e via più grande perchè varj mostri non ne lo distolsero, ma, siccome Ercole, ebbe a domarli, e poi trionfarne. E se per Cristoforo Colombo ogni rimbombo di lode è fiocco siccome a trovatore di nuove terre, in qual modo degnamente loderassi il Galileo discopritore di nuove stelle? Per certo non porransi in paragone le cose caduche con le sempiterne, salvo da coloro, in cui l’anima, se fosse possibile, appagherebbesi di essere mortale. Noi all’incontro mettiamo gridi in celebrando il vigore dell’intelletto, e diamo al suo sapere titolo d’infinito; nè altramente diranno gli uomini forniti di senno che sono per nascere al mondo; anzi volgendo l’animo a’ giorni bene spesi ed alle notti ottimamente impiegate, esalteranno uno intelletto, il quale nè immensa autorità di maestri antichi, nè opinioni per anni innumerabili fatte robuste negli animi altrui, hanno potuto abbassare, nè privarlo della ragionevole libertà; ed è vero che egli, dando mai sempre l’imperio alle ragioni ed ai fortissimi argomenti, ha saputo francarsi da plebea, ed indegna di vero filosofo, servitù.