Elettra (D'Annunzio)/Per la morte di un capolavoro

Per la morte di un capolavoro

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Per la morte di un capolavoro
Per la morte di un distruttore Canti della ricordanza e dell'aspettazione


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PER LA MORTE DI
UN CAPOLAVORO.


F
oreste su i monti, chiome fragorose

di oro di porpora e di croco
all’aquilone,
su l’aeree fronti
5immense corone
che affoca il foco dei tramonti;
rosarii di rose
nate su i fonti solitarii
ancor tiepidi dell’Estate
10che vi s’immerse;
orti, orti conclusi, pomarii
soavi cui l’Autunno pone
monili più gravi che quelli di Serse
poi che su le gemme celate
15il bel garzone
ebro il pomo punico aperse;

voluttà della Terra, o fronde,
o fiori, o frutti,
gioia di tutti,
20prole delle Stagioni sacre,
portento dell’Acqua e del Sole,
fronde, fiori, frutti,
ecco, ora nati, ora distrutti,

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chi mai si duole
25oggi di vostra bella morte?
quale corda piange vostri dolci lutti?
Vivono le profonde
radici nel buio attorte.
Ancóra brilleran felici
30i ramicelli,
e il suco acre
si farà di miele nelle polpe bionde.

Ma la creatura infinita,
in cui la mente
35dell’uom fatto dio
continuò l’opera della divina
Madre e trasfigurò la vita
sotto la specie dell’Eterno;
ma l’effigie pura
40in cui l’uom solo nell’oblìo
di sé mutamente
svelò la virtù del dolore
sotto la specie dell’Eterno;
ma il mondo creato sopra la Natura,
45ove con un gesto l’uom si fe’ signore
del Fato e congiunse la sua forza antica
alla sua bellezza futura
sotto la specie dell’Eterno;

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ma lo specchio dell’Ideale,
50o Poeti, la misura degli Eroi,
la somma dell’Arte,
il vertice del Pensiero e del Mistero,
il segno visibile dell’Immortale
muore, o Poeti, non è più.
55Perisce e non si rinnovella.
Da noi si diparte; non avrà ritorno.
S’oscura per sempre nella notte eguale.
Fronde fiori frutti nel sereno giorno
rivedremo noi,
60la giovine Terra, la sua genitura,
e non l’infinita creatura bella!
Piangete, o Poeti, o Eroi,
per la luce che non è più,
per la gioia che non è più.

65Umiliato è l’Universo.
Menomato è l’orgoglio delle sorgenti.
Un grande fiume è inaridito.
Un gran potere s’è disperso.
Nella memoria delle genti
70resta la grandezza d’un nome
come il nome d’un mito
lontano, d’un cielo abolito,
d’un dio che parlò nel silenzio degli evi,

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bianchissimo sopra le nevi,
75vestito di sua verità.
O Poeti, Eroi, volontà
meravigliose della giovine Terra,
date il canto e il pianto,
sopra la guerra,
80alla meraviglia che non rivivrà.

Culmine delle speranze sovrumane
alta anima senza compagna,
precinta isola dal dolore infinito,
solitudine dell’abisso,
85occhio aperto e fisso
nell’interno mare
della Bellezza, ebbe Egli un nome per voi?
“Chi mangia il pane
con me, mi ha alzato contro le sue calcagna„
90parlava ai suoi il signore del Convito;
e il pane azzimo involto nell’erbe amare
eragli innanzi, e la tristezza era immensa.
“In verità vi dico: quegli che bagna
la mano insieme a me nel piatto,
95quegli mi tradirà.„ E la man nell’atto
non tremava sopra la mensa.

Udiste voi queste parole?

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Parlò per voi queste parole
Egli, il Galileo? Ben le udiste
100dall’anima sua che fu triste
sino alla morte?
Ebbe per voi nome Gesù
Egli, e il giorno degli azzimi era
quello che risplendea dietro la sua testa?
105Piangete, o Poeti, o Eroi,
per la fiamma che non è più,
per la gloria che non è più!
Era l’eterna primavera, la festa
d’ogni ritorno;
110ed Egli era nel silenzio suo profondo
solo col cuor del mondo e con la sua sorte;
e gli uomini schiavi e tardi erangli intorno.

E disse Egli queste parole:
“Dove io vo, tu non puoi seguirmi.„
115Ah queste udimmo noi, fratelli,
antiche parole d’eroi
che sonarono verso tutte le cime
terribili, al nembo ed al sole,
per l’erte cui il sogno sublime
120impresse vestigi che furon suggelli.
“Dove io vo, tu non puoi seguirmi.„
Udimmo; e non ebbe Egli nome

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per noi; non lontanar dietro le sue chiome
vedemmo la rupe di Scizia o il Calvario;
125non vedemmo la croce, né l’avoltore.
Ma, solitario
tra la sua gente, era Egli sopra il dolore
Colui che annuncia che rivela e che inizia;

ed eglino erano gli schiavi
130che non veggono e che non sanno,
schiavi eterni della forza e dell’inganno;
e la creatura dal viso
lene, che soleva adagiarglisi al petto
invincibile, il suo diletto
135femineo giglio
reclinato, l’anima dalle soavi
labbra, quel sorriso che parve
quasi il minor fratello del suo dolore,
anche era distante.
140Ed Egli era solo, il gran cuore
era solo, incluso nel petto
come in diamante.
E non eravi per lui padre né figlio,
e non amico, e non amante.

145“Ah, chi mai lo consolerà?„
dicemmo noi nello spavento.

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“Chi consolerà
Colui ch’ebbe a sé testimoni
il Sole, il Vento,
150le sorgenti dei Fiumi, il riso
innumerevole delle onde marine,
la madre di tutte le cose, la Terra?
Chi mai lo consolerà nel dì supremo?
L’antico Oceano? Nicodemo
155con gli aromi della Giudea?
Il canto delle Oceanine?
Il lamento delle pie donne?
Qual parola nata
dal sale del mare e del pianto
160lenirà l’insonne?„

E noi leggemmo sol nel gesto
delle sue mani e nell’ombra de’ suoi cigli:
“Non han le case degli uomini giacigli
per l’insonne, dov’egli giacersi voglia.
165Non io m’arresto alla tua soglia.
Dove io vo, tu non puoi seguirmi.
La mia certezza canta nel mio sentiero
ed alza ai perigli colonne
trionfali sul limite degli abissi.
170È il mio pensiero più che il giorno e il domani.
So come sia dolce grappoli vermigli

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premere e bei capei prolissi;
so come sia dolce una foglia, e la gola
della colomba. Ma beni più lontani
175cerco, e il silenzio. Non della mia parola
io m’inebrio, ma di quel che mai non dissi.„

O puro Eroe, inalzato sopra il tempo
e sopra le favole umane,
o segno visibile dell’Immortale,
180che vale ora il pane
che diviso t’è innanzi? Che vale il manto
che ti traveste, e il nome che ti fa santo
nelle preci vane,
e lo stuolo inquieto che ti circonda?
185Ben lungi sei tu dall’altare frequente.
Terreno e celeste,
tu sei a te stesso il tuo tempio.
Ti creò dalla più profonda
verità del suo spirto, dal più bello
190ardore della sua mente quel segreto
artefice che volle foggiarsi le ale
ad attingere un ciel novello.

A similitudine di sé ti volle
quegli ch’ebbe in sé la radice
195ed il fiore della volontà perfetta

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con tutto il travaglio del mare
e tutte le geniture della terra
e le virtù dei saggi e degli antichi iddii
e i gèrmini senza forma e senza nome,
200le semenze delle bellezze future.
A similitudine di sé ti fece
quel Prometèo meditabondo
che immune fu dal supplizio, rapitore
inviolabile, modello del Mondo.
205E tu vivesti, inspirato dal più forte
alito della sua bocca che nutrita
s’era alla plenitudine della vita
e della morte.

Vivesti solo su la cima
210ultima della Conoscenza,
sol tu capace
di respirarvi, imperiale
come il sire della vita e della morte,
sì lungi agli uomini e pur sì presso a loro,
215vedendo il male passare, la speranza
durare, la pace seguire alla guerra,
il sogno condurre il lavoro,
ma senza felicità e senza
corona perché tu sapevi
220che nata non era dalle arti

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umane la gioia onde avresti
tu potuto gioire e nato non era
dal sen della Terra l’alloro
onde tu avresti potuto incoronarti.

225Ahi, che rimane oggi fra i cieli
e le tombe, nella notte ove s’oscura
la tua bellezza,
nella gente cui tu raggiavi
con la bellezza la tua muta dottrina,
230nella patria divina ove Leonardo
ti fece misura d’eroi,
specchio dell’Ideale, norma dell’opre,
culmine delle speranze sovrumane,
or che rimane per l’ultimo tuo sguardo,
235che mai ti si scopre se non allegrezza
d’irrisori ed onta di schiavi?
Il sole declina
come te, fra i cieli e le tombe.
Su l’ampia ruina
240inane caligine incombe.

E tu così dunque per sempre ti parti
dai cuori cui fin la tua ombra
fu luce e il tuo segno fu gioia?
Ten vai tu forse nel prato d’asfodelo

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245sorridendo verso gli eguali?
Trapassi tu di là dal velo
a contemplar le cose eterne
con fronte indicibile ed occhi immortali?
Chi verrà dietro la tua ombra?
250Ah, per somigliarti
una volta, per esser degno
del tuo segno, innanzi ch’ei muoia
taluno di noi darà al rogo
l’error che l’ingombra!
255E arderà l’anima sua pura in un atto
come in un lampo arde il potere di un cielo.