Elettra (D'Annunzio)/Le città del silenzio (VI)
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LE CITTÀ DEL SILENZIO.
volterra.
fondate nella rupe, alle tue porte
senza stridore, io vidi genti morte
della cupa città ch’era sotterra.
5Il flagel della peste e della guerra
avea piagata e tronca la tua sorte;
e antichi orrori nel tuo Mastio forte
empievan l’ombra che nessun disserra.
Lontanar le Maremme febbricose
10vidi, e i plumbei monti, e il Mar biancastro,
e l’Elba e l’Arcipelago selvaggio.
Poi la mia carne inerte si compose
nel sarcofago sculto d’alabastro
ov’è Circe e il brutal suo beveraggio.
vicenza.
e negli Archi di Roma imperiale
apprese la Grandezza. E fosti eguale
alla Madre per lui tu figlia inerme!
5Bartolomeo Montagna il viril germe
d’Andrea Mantegna in te fece vitale.
La romana virtù si spazia e sale
per le linee tue semplici e ferme.
Veggo, di là dalle tue mute sorti,
10per i palladiani colonnati
passare il grande spirito dell’Urbe
e, nel Teatro Olimpico, in coorti
i vasti versi astati e clipeati
del Tragedo cozzar contra le turbe.
brescia.
nell’ansia d’una voluttà promessa!
Ed ebbi onta di me, o Leonessa,
per la vil fiamma che di me nudrivo.
5Sol cercai nel tuo Tempio il vol captivo
della Vittoria, con la fronte oppressa.
Repente udii su l’anima inaccessa
fremere l’ala di metallo vivo.
Bella nel peplo dorico, la parma
10poggiata contro la sinistra coscia,
la gran Nike incidea la sua parola.
“O Vergine, te sola amo, te sola!„
gridò l’anima mia nell’alta angoscia.
Ella rispose: “Chi mi vuole, s’arma.„
ravenna.
dorme supino con le man conserte
su la spada sua grande. Al volto inerte
ferro morte dolor furon suggelli.
5Chiuso nell’arme attende i dì novelli
il tuo Guerriero, attende l’albe certe
quando una voce per le vie deserte
chiamerà le Virtù fuor degli avelli.
Gravida di potenze è la tua sera,
10tragica d’ombre, accesa dal fermento
dei fieni, taciturna e balenante.
Aspra ti torce il cor la primavera;
e, sopra te che sai, passa nel vento
come pòlline il cenere di Dante.