Elegie romane/Congedo

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CONGEDO

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Tu tamen i pro me, tu, cui licet, aspice Romam!

Ovidii Tristium L. P.

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Libro, tu Roma nostra vedrai. Ti manda a la grande
     2Madre colui che molto l’ama, che sempre l’ama.

Recale tu il dolente amore e il desío che distrugge
     4l’esule, e il van rimpianto, ahi, del perduto bene.

Io non tentai nel verso esprimere l’alta bellezza.
     6Troppo ella è grande e troppo umile è il verso mio.

Sol chiusi in te, o Libro, de l’anima mia qualche parte.
     8Va senza gioja. Quasi cenere fredda rechi!

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Va, dunque. Roma nostra vedrai. La vedrai da’ suoi colli
     10dal Quirinale fulgida al Gianicolo,

da l’Aventino al Pincio più fulgida ancor ne l’estremo
     12vespero, miracolo sommo, irraggiare i cieli.

Tal la vedrai qual gli occhi la videro miei, quale sempre
     14ne l’ansiosa notte l’anima mia la vede.

Nulla è più grande e sacro. Ha in sè la luce d’un astro.
     16Non i suoi cieli irraggia soli ma il mondo Roma.