Elegie romane/I/Il Vespro

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I - Sogno d'un mattino di primavera
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IL VESPRO

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Quando (al pensier, le vene mi tremano pur di dolcezza)
     2io mi partii, com’ebro, da la sua casa amata,

su per le vie che ancora fervean de l’estreme diurne
     4opere, de’ sonanti carri, de’ rauchi gridi,

tutta sentii dal cuore segreto l’anima alzarsi
     6cupidamente, e in alto, sopra le anguste mura,

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fendere l’ignea zona che il vespro d’autunno per cieli
     8umidi, tra nuvole vaste, accendea su Roma.

Non era in me certezza de l’ora, de’ luoghi. Un fallace
     10sogno teneami? O tutte de la mia gioja consce

eran le cose e in torno rendevano insolito lume?
     12Io non sapea. Le cose tutte rendevan lume.

Tutte le nubi ardeano immote: qual sangue da occisi
     14mostri, rompea da’ loro fianchi un vermiglio rivo.

Lieta crescea la strage per l’erte de’ cieli, sì come
     16per infiammati boschi gesta d’immite arciero.

Agile da le gote capaci il Tritone a que’ fochi
     18dava lo stel de l’acqua, che si spandea qual chioma.

Tremula di baleni, accesa di porpora al sommo,
     20libera in ciel, la grande casa dei Barberini

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parvemi quel palagio ch’eletto avrei agli amori
     22nostri; e il desio mi finse quivi superbi amori:

fulgidi amori e lussi mirabili ed ozii profondi;
     24una più larga forza, una più calda vita.

Sonvi — dicea la folle Chimera il cuor mio torcendo —
     26sonvi più dolci frutti, altri ignorati beni!

Datemi — il cuor dicea — voi datemi, occhi soavi,
     28la mai goduta ebrezza, lo sconosciuto bene!

Alta dal cuor balzavami l’anima. A sommo de l’erta,
     30in su ’l quadrivio, argute risero le fontane.

Freschi dal Quirinale co ’l vento mi giunsero effluvi:
     32rosea m’apparve, al fondo, Santa Maria Maggiore