E-participation e comunità locali/6
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Piattaforme digitali per una democrazia partecipata. (2007)
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Abbiamo già visto in precedenza, per gli istituti democratici diretti, alcuni strumenti ICT che ne possono supportare e potenziarne l’esercizio. Del resto strumenti come il Wiki e gli altri strumenti di comunicazione on-line consentono ogni l’organizzazione ed il lavoro di divere comunità virtuali dislocate geograficamente.
Dovendo però ampliare l’orizzonte di riferimento degli strumenti digitali dobbiamo porci alcuni interrogativi ai quali proveremo a trovare qualche risposta.
Sarà necessario identificare le differenze che intercorrono nell’utilizzo e lo sviluppo degli strumenti digitali per iniziative di tipo push come gli istituti democratici diretti e le piattaforme digitali in un processo deliberativo.
Partendo da queste differenze andrà individuato un modello di sviluppo software che permetta un dispiegamento ed un sviluppo cooperativo-adattivo di queste tecnologie.
Inoltre andranno proposte idee per un superamento di alcuni dei problemi più complessi all’interno dell’interazione digitale dei processi politico amministrativi come il voto elettronico e l’identità online.
Infine verranno evidenziati alcuni problemi specifici della comunicazione mediata al computer riguardanti lo sviluppo dialogico all’interno di questi spazi.
l’utilizzo degli artefatti digitali all’interno dei processi politici oltre a fornire nuove opportunità pone in essere alcuni problemi già riscontrati nell’interazione off-line che, subendo le dovute trasformazioni posso essere trovati anche online.
Cercheremo comunque di fornire, come modello di base, una proposta adattiva che permetta di adeguare lo sviluppo delle tecnologie ai modelli che emergano come efficaci.
Il software nell’e-participation.
Nei progetti di e-participation le tecnologie sono in stretta correlazione con i modelli di partecipazione e con la definizione stessa delle norme e dei ruoli che li strutturano.
Le piattaforme software all’interno delle quali si svolgono i processi partecipativi determinano quindi il tipo di interazione, gli spazi decisionali e le zone di autonomia.
La progettazione degli strumenti deve quindi stabilire una certa corrispondenza con i modello di partecipazione che si vuole realizzare.
Una prima distinzione quindi potrebbe essere fatta tra gli strumenti utilizzati nelle iniziative gestite dagli utenti e quelli progettati dalle amministrazioni.
Riprendendo per esempio le iniziative di tipo push come gli istituti democratici diretti presenti nell’ordinamento, essendo attivate dalla società civile, saranno i promotori stessi a scegliere gli strumenti software da adottare all’interno del processo partecipativo.
Abbiamo visto, per questo tipo di iniziative, il possibile utilizzo di strumenti come il wiki e software di comunicazione online come i forum e le mailinglist. Questi prodotti, di cui sono disponibili diverse implementazioni, presentano al loro interno diverse funzionalità e diversi ruoli amministrativi.
La sfera potenziale degli strumenti software è dunque determinata dall’insieme di funzionalità sviluppate all’interno di questi prodotti.
Coloro che scelgono i software da utilizzare nel processo ne portano all’interno le potenzialità effettuando una scelta iniziale delle caratteristiche da attivare, delle politiche e dei ruoli amministrativi.
A seconda della flessibilità dello strumento i promotori dell’iniziativa vedranno ampliate le loro possibilità di scelta sulla strutturazione degli spazi digitali.
Prendendo per esempio uno spazio di comunicazione interattivo come il forum, il software scelto per l’implementazione potrà permettere la registrazione degli utenti, la definizione dei ruoli di amministrazione e moderazione, l’apertura e chiusura di thread e topic, l’interdizione temporanea o permanente di un utente.
Abbiamo quindi un insieme di funzionalità, più o meno attivabili, che vengono assegnate agli “attori” digitali.
Le regole ed i comportamenti che le interpretano costituiscono l’attualizzazione dei ruoli all’interno dei processi.
La struttura degli spazi partecipativi è quindi definita dalle funzionalità sviluppate e attivate nel software e dall’assegnazione dei ruoli e delle regole che ne determinano l’attuazione.
La differenza nelle iniziative di tipo push rispetto ad un processo partecipativo inserito direttamente all’interno del processo politico è che gli spazi digitali occupati sono o comunque possono essere esterni all’amministrazione. Quindi la struttura del processo non è così determinante per gli equilibri democratici.
Facciamo l’esempio di un’associazione che si fa promotrice di una legge di iniziativa popolare.
I membri possono scegliere direttamente gli strumenti software necessari, installarli sul sito web dell’associazione e definire le policy e i ruoli amministrativi. l’interesse per la proposta, il modello di amministrazione degli spazi, e la capacità di gestire i contributi dei partecipanti può determinare o meno, alla fine del processo, il raggiungimento delle firme necessarie alla presentazione. Quello che si mette e rischio, in caso di una mancata valorizzazione della comunità partecipante è la possibilità d'intervento all’interno dei processi politico amministrativi.
Se il numero delle firme da raccogliere è numericamente rilevante sarà interesse dell’associazione stessa di gestire al meglio gli strumenti e gli spazi digitali per cercare di costruire il consenso necessario intorno alla proposta.
Quando il spazio partecipativo-deliberativo è inserito direttamente all’interno del processo amministrativo decisionale la prospettiva cambia notevolmente.
Se il software e le policy vengono progettate direttamente dalla pubblica amministrazione è lei che viene determinare la natura degli spazi partecipativi.
Il processo decisionale non rappresenta più una possibilità esterna di intervento per la società civile che si organizza intorno ad un progetto ma diventa lo spazio effettivo entro il quale vengono prese le decisioni.
Essendo la politica rappresentativa a detenere, e a dover cedere del potere decisionale all’interno dei progetti di e-participation è evidente che si possa innescare un conflitto di interessi al momento della definizione degli spazi decisionali.
Proprio la progettazione del software potrebbe essere una delle fasi rilevanti nelle quali limitare le effettive potenzialità di interazione e decisione dei i cittadini rendendo il processo partecipativo un semplice strumento finalizzato ad una falsa propaganda partecipativa.
Il paradigma che va cambiato appunto è quello per cui il software e le policy vengono progettati e stabiliti all’interno delle amministrazioni pubbliche e realizzati dalle società appaltatrici e gli spazi partecipativi vengono aperti ai cittadini nel momento in cui ne sono già state definite le regole, funzionalità e limiti.
Ènecessario che le policy vengano stabilite e il software venga progettato insieme ai cittadini come fase di avviamento dell’e-participation.
La definizione regole, dei ruoli e delle funzionalità deve essere condivisa per poter favorire, in una fase successiva, l’interazione consapevole e responabile all’interno di questi spazi.
Il modello di sviluppo del FLOSS.
Il software free e open source (FLOSS) costituisce una filosofia di sviluppo in cui il codice sorgente viene reso disponibile per l’utilizzo, lo studio, la modifica, e la redistribuzione senza discriminazioni.
I programmi FLOSS vengono distribuiti attraverso l’utilizzo di licenze aderenti a questi principi.
Le licenze sono diverse ma una delle differenze principali è quella che le contraddistingue tra "copyleft" da quelle non "copyleft".
Nelle prime viene stabilito che, al momento della distribuzione del software, le eventuali modifiche apportate debbano essere redistribuite insieme al codice sorgente, mentre in quelle non "copyleft" questo obbligo non è presente.
Uno degli altri aspetti interessanti è il modello di sviluppo adottato spesso in questi tipo di progetti software rispetto a quello proprietario.
Il cambio di paradigma è evidente in modo particolare nel saggio di Eric Raymond La cattedrale ed il bazaar.
La modalità di progettazione della “Cattedrale” adottate nello sviluppo del software proprietario erano caratterizzate da un approccio centralizzato in cui la realizzazione è nelle mani di un ristretto gruppo di geni che lavorano in completo isolamento alla sua realizzazione. Al suo opposto Il metodo bazar che emerso all’interno dello sviluppo del progetto open source del kernel Linux costituirà poi il modello di riferimento per la maggior parte dei progetti FLOSS.
Proprio del progetto Linux e di questo nuovo modello di sviluppo emergente scrive:
“Rimasi non poco sorpreso dallo stile di sviluppo proprio di Linus Torvalds – diffondere le release presto e spesso, delegare ad altri tutto il possibile, essere aperti fino alla promiscuità. Nessuna cattedrale da costruire in silenzio e reverenza. Piuttosto, la comunità Linux assomigliava a un grande e confusionario bazaar, pullulante di progetti e approcci tra loro diversi”
Un processo aperto ai contributi, con una distribuzione delle responsabilità ed in continuo divenire.
Come vedremo sia questo modello di sviluppo che le licenze che regolano la distribuzione del software FLOSS possono svolgere un ruolo importante all’interno della progettazione delle piattaforme per l’e-participation.
Riuso e modelli di sviluppo delle piattaforme.
Abbiamo già affermato che la definizione delle policy e lo sviluppo del software deve essere effettuata insieme ai cittadini come fase preliminare di qualsiasi progetto di partecipazione digitale.
Cercheremo di proporre un sviluppo orientato a mantenere il giusto equilibrio tra esigenze comuni e specificità dei territori.
Quando si parla di località a livello amministrativo spesso si tende a contrapporla alla centralità delle istituzioni nazionali.
Finanziare progetti locali significa dare spazio ad esigenze specifiche attraverso il trasferimento di fondi alle amministrazioni locali che hanno una conoscenza maggiore del territorio.
Uno degli approcci possibili allo sviluppo dell’e-participation è quello di finanziare a pioggia i progetti proposti in ambito locale cercando di promuovere la riduzione della spesa pubblica attraverso il riuso di soluzioni già sviluppate all’interno della pubblica amministrazione individuando le best pratices per ogni tipologia progettuale.
Questo modello, largamente usato in Italia, ha diversi limiti.
Il problema principale è proprio il concetto di comunità locale che viene portato avanti.
Sviluppare ogni progetto all’interno della singola comunità locale o al massimo di un insieme limitato di più comunità locali porta inevitabilmente alla frammentazione delle proposte ed ad una dispersione delle energie, anche se le esigenze non sono poi così diverse sul territorio. Inoltre lo sviluppo di soluzioni autonome, senza una definizione di standard comuni, porta all’incomunicabilità tra le varie piattaforme digitali
Per invertire questa tendenza come primo passo dovrebbe essere creato uno spazio centralizzato aperto ai cittadini ed alle pubbliche amministrazioni nel quale andrebbero identificate le policy e gli strumenti comuni sul territorio nazionale. Ad esempio gli strumenti di comunicazione, quelli di votazione e i sistemi di identificazione dei partecipanti sono esigenze comuni ad ogni progetto di e-participation.
Il vantaggio primario sarebbe quello di poter discutere di alcune strutture e policy fondamentali attraverso processi ad ampia partecipazione senza che ogni singola comunità locale debba occuparsi degli stessi problemi cercando di fatto di “reinventare la ruota”.
Ciò che va evitato quindi è che problemi generali debbano essere affrontanti in maniera distinta e autonoma da ogni amministrazione locale.
Il secondo obiettivo è quello di individuare le esigenze comuni locali a seconda della tipologia del progetto partecipativo.
Occupandoci ad esempio del bilancio partecipato molte delle policy e degli strumenti software saranno in comune per regioni, provincie e comuni.
Seguendo questo percorso le amministrazioni, insieme ai cittadini, decideranno quali funzionalità specifiche implementare attraverso uno sviluppo modulare.
Il vantaggio di questo approccio e appunto quello di cercare di partire dalle esigenze comuni coordinando l’elaborazione dei modelli e il relativo sviluppo software. La progettazione effettuata insieme ai cittadini inoltre offre l’opportunità di disegnare sistemi ed interfacce orientate all’utente sia per consentire un maggiore facilità di utilizzo sia per determinare le priorità delle funzionalità da implementare.
Proporre uno sviluppo di software per l’e-participation secondo la filosofia e le prassi dell’open source facilita il raggiungimento di questi obiettivi dando la possibilità alla società civile di ricoprire un ruolo attivo anche all’interno dello sviluppo delle piattaforme.
La trasparenza e pubblicità del codice sorgente offre l’opportunità di valutare la qualità dei sistemi software sviluppati, l’identificazione degli errori e la realizzazione delle modifiche necessarie per adattarli alle esigenze locali.
Quando abbiamo parlato della partecipazione multilivello abbiamo ipotizzato la possibilità, per le istanze emerse sul territorio, di attraversare il vari livelli partecipativi dell’amministrazione pubblica fino ad arrivare nello spazio di autonomia adeguato alla deliberazione.
La cooperazione sul codice deve quindi portare a stabilire degli standard di interpolabilità tra i vari spazi partecipativi che permettano alle proposte di attraversare le diverse piattaforme digitali mantenendo nel corso del tempo tutto l’insieme dei dati che costituisce il “capitale sociale” prodotto dall’interazione tra i partecipanti.
Abbiamo anche detto che il codice insieme alla policy definisce la struttura degli spazi partecipativi.
Entrambi devono essere quindi oggetto di uno sviluppo partecipato. Le discussione delle policy, all’interno della partecipazione supportata dagli strumenti digitali, influenza lo sviluppo del software.
l’implementazione delle funzionalità nei programmi non deve quindi costituire un limite strutturale per gli spazi partecipativi.
Se ad esempio si arriva a definire l’esigenza di stabilire alcuni ruoli di moderazione all’interno degli spazi digitali sarà necessario sviluppare queste funzionalità all’interno della piattaforma. I partecipanti debbono avere quindi la possibilità di studiare il codice sorgente degli spazi in cui interagiscono contribuendo alle modifiche e allo sviluppo delle funzionalità richiesta.
Questo a livello tecnico deve essere reso possibile attraverso gli strumenti tecnologici che gestiscono il codice sorgente.
I programmi, conosciuti sotto il nome di revision control permettono la gestione del codice sorgente attraverso l’archiviazione cronologica delle modifiche e degli autori che le hanno effettuate.
Questi strumenti sono stati adottati con successo in quasi tutti i progetti open source nei quali sviluppatori di diverse nazionalità riescono a collaborare a distanza.
Di particolare interesse è il software di revision control distribuito GIT, usato nello sviluppo di un progetto vasto come il kernel Linux, che permette di mantenere ad ogni sviluppatore l’intera cronologia dei cambiamenti e una autenticazione crittografica dell’archivio. Si ha la possibilità quindi di avere più copie distribuite dell’intero archivio dei cambiamenti senza permettere di alterare le modifiche già pubblicate.
I ruoli amministrativi su questi strumenti consentono di effettuare commit sulla versione ufficiale del codice sorgente oltre che a stabilirne le varianti e le versioni che convivono nel sistema. Il commit in particolare è l’applicazione delle modifiche al codice sorgente nell’archivio.
Èimportante non solo rilasciare i codice attraverso l’uso di licenze libere ma è importante rendere pubblico il codice sorgente dei progetti di e-participation fin dalle fasi iniziali, attraverso l’utilizzo di questi strumenti, in modo da permettere agli sviluppatori nella società civile di seguire ad ogni passo l’evolvere del codice, studiarlo, testare e sviluppare in locale modifiche e nuove funzionalità, contribuendo attraverso la sottomissione di patch all’avanzamento del progetto.
Si potrebbe arrivare quindi a stabilire un sistema misto in cui enti pubblici, aziende appaltatrici e società civile contribuiscono, attraverso strumenti comuni, allo sviluppo delle piattaforme digitali.
Per quanto riguarda la scelta della licenza con la quale distribuire il software bisogna considerare che molto spesso i programmi per l’e-participation sono sviluppati come applicazioni web centralizzate.
La particolarità di questo tipo di applicazioni è che, basandosi su un modello client-server, nelle macchine dei partecipanti gireranno soltanto le interfacce di input e di output.
Per fare un esempio su di uso quotidiano possiamo prendere il caso di Google.
Il software che gestisce ogni giorno le ricerche di milioni di utenti gira su computer di proprietà dell’azienda.
Il codice che gira sulla macchina degli utenti è costituito dall’interfaccia della pagina web che permette l’immissione del termine da ricercare e dalla pagine dei risultati.
Essendo i progetti di e-participation centralizzati rispetto all’utente quando si parla di utilizzare licenze open source bisogna tenere conto di questa specificità.
La maggior parte delle licenze floss infatti regolamenta la distribuzione.
Se, ad esempio, decido di applicare una licenza "copyleft" ad un prodotto software, nel momento in cui distribuisco il programma ad un utente o su internet sono obbligato a fornire anche il codice sorgente con le eventuali modifiche apportate.
Ma se il programma non viene propriamente distribuito ma semplicemente ne viene reso pubblico l’utilizzo attraverso dei server connessi ad internet il discorso cambia.
Questo vuol dire che nel momento in cui la piattaforma per l’e-participation, anche se rilasciata sotto licenza "copyleft", gira sui server della pubblica amministrazione, essa può apportare le modifiche al codice sorgente del programma senza essere obbligata a rilasciarle.
Potrebbe capitare ad esempio che a livello provinciale un’amministrazione abbia commissionato lo sviluppo di una funzionalità per la gestione dei limiti economici di settore all’interno del software "copyleft" del bilancio partecipato utilizzato a livello provinciale, regionale e comunale.
l’ente commissionante potrà così fornire ai cittadini questo nuovo servizio senza però essere costretta a rilasciare il codice sorgente di questa nuova modifica. Il rischio è che le singole funzionalità implementate sul territorio non siano disponibili direttamente al riuso in altre amministrazioni e ne venga di fatto privato l’accesso alla società civile.
Questo tipo di problematiche può essere evitato attraverso l’adozione della licenza Affero GPL (AGPL) o l’applicazione di una clausola simile presente nella bozza della GPL3. Sotto queste licenze sarebbe regolato anche il rilascio delle modifiche del codice sorgente quando l’uso del programma avviene attraverso l’interazione in rete. Riprendendo l’esempio precedente, nel caso il software fosse regolato da una queste licenze, l’amministrazione provinciale sarebbe costretta a rendere pubblico il codice sorgente del modulo commissionato anche se il codice in questione gira su server di proprietà dell’amministrazione stessa.
Attraverso l’utilizzo di queste licenze è possibile attuare alcune strategie di sviluppo per le funzionalità richieste all’interno degli spazi partecipativi.
La scelta di licenze che garantiscano lo studio, la circolazione e il riuso delle piattaforme e un modello di sviluppo software aperto ai contributi permettono di creare i presupposti necessari a raggiungere la cooperazione tra le amministrazioni e i soggetti partecipanti. Un modello di sviluppo condiviso favorisce anche per i cittadini l’acquisizione di una coscienza delle normative, dei ruoli, delle opportunità negli spazi partecipativi che hanno contribuito a definire.
Identità e identificazione nell’e-participation
Il problema dell’identità nei processi partecipativi non è soltanto relativo alla specificità degli ambienti digitali.
Nei processi politici tradizioni possiamo ritrovare l’uso dell’anonimato in diversi ambiti.
Nelle votazioni per l’elezione dei rappresentanti è necessaria la segretezza del voto ma anche nel parlamento sono previste procedure di voto che garantiscano l’anonimato.
l’anonimato viene giustificato dalla necessita di esprimere una volontà politica senza subire pressioni o condizionamenti esterni. Nel caso dell’elezione dei rappresentanti, ciò che si cerca di evitare è che, attraverso l’identificazione dei votanti, si instaurino pratiche clientelari o nei casi più gravi gli elettori siano bersaglio di ricatti e minacce. Nel parlamento il voto segreto può essere usato sia per dare libertà di scelta ai rappresentanti rispetto al controllo esercitato dai partiti sia come tecnica di elusione delle responsabilità politiche dei singoli nei confronti dei cittadini.
Identità e anonimato hanno quindi una rapporto stretto con i sistemi di controllo sociale. l’identità non riguarda soltanto l’identificazione fisica ma coinvolge tutto un insieme di aspetti e relazioni che rappresentano il contesto in cui l’individuo agisce.
La presenza in rete ad esempio può assumere diverse forme.
Ci si può presentare in rete attraverso l’utilizzo di un nickname ovvero uno pseudonimo totalmente scollegato da qualsiasi riferimento ai dati o caratteristiche personali.
La scelta del nick può essere fatta quando ci registriamo ad un forum o decidiamo di entrare in un chat. La nostra identità sarà legata a questo nome d'invenzione e determinata dalle azioni e dai rapporti costruiti. La scelta di cambiare nick può rappresentare quindi l’occasione di abbandono della identità acquisita in rete.
La scelta di un nome di fantasia può anche essere collegata ai proprio dati anagrafici. Quando effettuiamo la scelta del nome utente per un servizio online in genere forniamo i nostri dati anagrafici ed in alcuni casi ci viene richiesto di fornire informazioni riguardo alle nostre abitudini ed interessi.
Inoltre si può agire online usando direttamente i propri dati anagrafici.
Quando l’identità è costruita attraverso l’utilizzo di un nome di fantasia siamo identificabili principalmente attraverso esso. Agire attraverso l’identità correlata al nick non vuol dire essere completamente nell’anonimato.
Potremmo aver costruito una reputazione e una serie di relazioni in rete che hanno comportato un impegno cognitivo ed emozionale e la scelta di cambiare alias potrebbe comportare la perdita dell’identità costruita in rete.
Ci può essere quindi una certa continuità nell’utilizzo di questi pseudonimi e il mantenimento di un’identità ad essi associata.
Del resto agire direttamente attraverso l’uso dei propri dati anagrafici in rete non sempre comporta un grado di inibizione maggiore.
Anche se i dati anagrafici, come il nome ed il cognome, sono invariabili e determinano un’associazione dell’attore digitale ad una persona fisica ben precisa il contesto dell’interazione gioca un ruolo fondamentale.
Pensiamo ad esempio ad un processo partecipativo online di un comune di 1000 abitanti. Le azioni svolte in questo contesto, attraverso l’utilizzo di dati anagrafici reali, avranno conseguenze dirette sulla mia rete relazionale offline.
Ma potremmo dire la stessa cosa in un comune di 100.000 abitanti?
Evidentemente la sovrapposizione delle relazioni online ed offline può avere un certo effetto sulle azioni intraprese all’interno della rete.
La differenza principale comunque è che l’identità in rete costruita attraverso l’uso dei dati anagrafici difficilmente potrà essere annullata a differenza di quella ottenuta attraverso l’utilizzo di un nick che può essere sempre cambiato rinunciando all’identità associata.
In particolare nei contesti della comunicazione mediata dal computer l’identità, identificazione e controllo sociale giocano un ruolo importante negli atteggiamenti attuati in rete e nelle dinamiche d'interazione all’interno dei gruppi.
Nei processi partecipativi deliberativi supportati dagli strumenti ICT l’identificazione è necessaria per evitare la corrispondenza di identità multiple all’interno del sistema.
In alcuni servizi erogati online dall’amministrazione pubblica come ad esempio per il servizio INPS e la denuncia dei redditi online il sistema di identificazione avviene tramite un sistema misto di registrazione al sito e fornitura dei dati anagrafici insieme all’utilizzo di un pincode che viene ricevuto in parte attraverso il sistema di postale.
l’utilizzo della firma digitale è comunque una valida alternativa all’identificazione.
La firma digitale si basa su un principio crittografico a chiavi asimmetriche di cui una è privata e l’altra è pubblica.
La chiave privata deve essere mantenuta segreta e serve per decodificare i dati codificati attraverso la chiave pubblica. Inoltre attraverso la chiave privata è possibile apporre la “firma” ad un documento o più in generale a qualsiasi tipo di dati.
Associando in un registro pubblico l’identità delle persone alle rispettive chiavi pubbliche si ha la certezza della corrispondenza.
Questo metodo di identificazione, per poter essere utilizzato all’interno degli spazi partecipativi richiede una completa diffusione delle chiavi crittografiche sul territorio.
Questo probabilmente potrà avvenire attraverso la sostituzione della carta d'identità tradizionale con quella elettronica.
La carta d'identità elettronica, avendo all’interno sia i dati anagrafici che le chiavi crittografiche, permette già l’identificazione dell’individuo per quanto riguarda l’erogazione dei servizi della pubblica amministrazione.
l’erogazione dei servizi però pone problemi diversi rispetto alla partecipazione ai processi politico decisionali.
Il soggetto partecipante identificandosi a livello anagrafico all’interno delle piattaforme digitali per la partecipazione sarebbe soggetto ad un potenziale controllo effettuato dall’amministrazione sulle posizioni politiche, sulle idea espresse ed in generale su tutta l’attività partecipativa svolta dal cittadino.
Si pone naturalmente un delicato problema di privacy all’interno di questi spazi di difficile soluzione.
Tecnicamente il problema dell’anonimato anagrafico e dell’identificazione univoca, è presente anche nel voto elettronico, ed è in parte risolvibile.
Superato questo problema sarebbe necessario valutare glicritto effettivi rischi di partecipare ad un processo politico decisionale attraverso l’identificazione anagrafica dei cittadini.
Si può decidere che sia necessaria un’interazione permanentemente in questi spazi attraverso uno pseudonimo oppure considerare sufficiente la realizzazione di un sistema anonimo di votazione.
Il voto elettronico
In precedenza abbiamo affermato che all’interno degli spazi partecipativi digitali si possa realizzare la costruzione cooperativa di rappresentazioni territoriali largamente condivise. Per quanto riguarda il voto abbiamo parlato principalmente del raggiungimento di maggioranze qualificate e nel caso di un procedimento a fasi di maggioranze qualificate incrementali.
Riteniamo quindi che all’interno dei processi partecipativo deliberativi il voto non debba essere una forma di espressione della maggioranza ma piuttosto uno strumento formale attraverso il quale confermare il consenso raggiunto al termine del processo partecipativo.
Il voto elettronico si è posto anche come necessità per l’informatizzazione di alcuni istituti democratici diretti come il referendum.
In linea di massima possiamo distinguere tra il voto elettronico attraverso internet i-voting e quello esercitato attraverso l’utilizzo di macchine da voto installate presso l’amministrazione pubblica in sostituzione dei tradizionali seggi elettorali.
Le prime elezioni su vasta scala attraverso internet si sono svolte in Estonia, nel febbraio 2007, in cui il 3.4% dei voti è stato espresso digitalmente1.
Il sistema delle voting machine invece e più diffuso ed utilizzato già da diversi stati come Brasile, Venezuela e Stati Uniti.
Nel testo Applied cryptography di Bruce Schneier vediamo elencati alcuni dei requisiti dei sistemi di voto elettronici:
- Solo i votanti autorizzati possono votare.
- Nessuno puo' votare piu' di una volta
- Nessuno puo' determinate la votazione di un’altra persona
- Nessuno puo' duplicare il voto di qualcuno
- Nessuno puo' modificare il voto di qualcuno senza essere scoperto
- Ogni votante deve poter verificare che il proprio voto è stato contato.
- Tutti possono sapere chi ha votato e chi no.
- Non si puo' avere una ricevuta del voto
Le soluzioni sviluppate e gli algoritmi adottati sono diversi.
Una buona rassegna è contenuta nel documento Security Aspects of Electronic Elections di Enrico Tosi, Marco Di Felice, Mauro Brazzo oltre che nel testo di Scheiner.
Senza addentrarci in questioni crittografiche le soluzioni proposte cercano di assegnare a diverse autorità indipendenti i vari compiti necessari per lo svolgimento delle votazioni2 ovvero:
• La registrazione, in cui un organo competente si assume il compito di compilare la lista dei cittadini ammessi a votare.
• La validazione, in cui si controllano le credenziali di un aspirante votante verificando che sia registrato come tale e che non abbia già esercitato il suo voto.
• La raccolta, in cui si raccolgono i voti emessi.
• Lo ’scrutinio', in cui si procede al conteggio dei voti precedentemente raccolti.
Ogni sistema di voto su larga scala, anche di tipo tradizionale, richiede comunque di stabilire un sistema di fiducia.
Nelle elezioni tradizionali sono molti gli elementi non verificabili direttamente da parte dei cittadini ma il numero dei soggetti indipendenti coinvolti e abbastanza alto da renderne altamente improbabile un coordinamento ai fini di realizzare una frode elettorale.
Gli strumenti crittografici ci sono già è sono adeguati ma non potranno risolvere di per se il problema della fiducia verso i soggetti preposti alle operazioni elettorali.
Andrebbe quindi, per quanto possibile, evitato ogni tentativo di centralizzazione dei sistemi di voto cercando di mantenere una pluralità territoriale.
Come abbiamo accennato prima, i problemi da risolvere nel voto elettronico sono gli stessi da superare per la separazione tra identità anagrafica ed identità di rete all’interno delle piattaforme partecipative. Come l’espressione del voto non deve essere ricollega all’identità dei cittadini allo stesso modo la scelta di una alias per interagire in rete non deve essere associata a nessun individuo specifico.
Tra le soluzioni crittografiche disponibili sono di particolare interesse il Web of trust e la blind signature.
Il Web of trust è una rete di fiducia utilizzata dai sistemi crittografici a chiave asimmetrica come OpenPGP.
Questo metodo si differenzia dai sistemi tradizionali, che basano la loro fiducia sulla presenza di autorità centrali, poiché punta ad ottenere gli stessi risultati attraverso le reti sociali.
Quando parliamo di fiducia nei sistemi crittografici a chiave asimmetrica intendiamo indicare le metodologie utilizzate per stabilire la corrispondenza tra chiave pubbliche e identità degli individui.
Nei sistemi crittografici tradizionali tutto è basato sull’affidabilità delle autorità certificartici centrali che devono garantire la corrispondenza tra identità e chiave pubblica.
Il comune che emette la carta d'identità elettronica e gestisce il servizio di anagrafe potrebbe essere considerato un’autorità certificante.
Nel web of trust i certificati che associano ogni persona alla chiave pubblica possono essere firmati tra gli utenti secondo i rapporti che intercorrono nella vita reale ricreando a livello digitale il circuito di fiducia delle relazioni.
Con questa tecnica è possibile creare identificazioni validade socialmente sostituendo il ruolo dell’autorità certificante centrale.
Semplificando il sistema consiste nell’apporre la firma digitale sui certificati delle persone di cui personalmente si riconosce l’identità. In un sistema misto in cui sia presente sia un’autorità certificante che un sistema a rete di fiducia, la firma “sociale” dei certificati può servire a conferma della validità dei dati forniti dall’autorità centrale. Se ad esempio, controllando nei database dell’autorità, verifico che una certa firma e associata ad una persona X, la disponibilità di un certificato firmato da altre persone della mia rete di conoscenza rafforza la credibilità nella corrispondenza tra identità e chiave crittografica.
Il blind signature consiste invece in una tecnica che permette di firmare un documento senza rilevarne il contenuto. l’applicazione di questa tecnica è di particolare utilità quando si deve comunque certificare un qualsiasi contenuto proteggendo contemporaneamente l’identità di chi lo ha prodotto.
Pensiamo ad esempio l’azione dell’autorità che deve certificare la validità del voto del cittadino senza dover conoscere il voto espresso e senza avere la possibilità di risalire all’identità dell’elettore al momento dello scrutinio.
Con questa tecnica è possibile creare e validare ai cittadini chiavi sicure ed anonime per l’accesso ai sistemi digitali.
Non essendoci una diretta corrispondenza tra questi chiavi anonime e l’identità personale di chi le usa, in caso di decadenza dei diritti di voto o partecipazione, deve essere previsto l’annullamento della chiave.
Questo può essere realizzato attraverso un meccanismo di scadenza della firma “cieca”. Questo obbligherebbe i cittadini a richiedere un periodico rinnovo della firma blind all’autorità che in quell’occasione provvederebbe a verificare le credenziali dei richiedenti.
Le tecnologie, i protocolli crittografici e le metodologie che perseguono il raggiungimento di una fiducia sociale e distribuita del sistema possono permettere dei livelli di affidabilità elevata.
E-partecipatioin e digital divide
Il digital divide è l’insieme degli ostacoli economici, culturali ed infrastrutturali che differenziano l’accesso alle tecnologie dell’ICT.
Occupandoci delle piattaforme per l’e-participation non si può escludere il problema dell’accessibilità agli spazi digitali.
La rete internet ed il personal computer sono gli strumenti che offrono le maggiori potenzialità per la realizzazione degli spazi di partecipazione digitali. La realizzazione di dispositivi mobili sempre più evoluti è la diffusione delle reti senza fili contribuiranno sempre di più a modificare le modalità di accesso e d'interazione degli strumenti digitali.
Ha quindi notevole importanza i dati di accesso dei cittadini alla rete.
In italia, secondo i dati delle ricerche riportate su Gandalf.it2, accede ad internet 40% della popolazione. Questa percentuale arriva ad attestarsi al 22% se si considerano soltanto le persone che usano abitualmente ogni giorno la rete.
l’accesso è ancora critico soprattutto per le fasce di età oltre i 54 anni dove la percentuale degli internauti rispetto alla popolazione è molto bassa.
Anche se il trend dell’utenza internet in generale è in crescita rimane difficile pensare di poter avviare all’uso del computer e della rete le persone più anziane.
Politiche pubbliche sulla formazione all’uso del computer e della rete dovrebbe essere inserite all’interno dei programmi scolastici pubblici. Dal momento in cui si pone l’obiettivo di aprire degli spazi partecipativi digitali l’alfabetizzazione informatica deve rientrare tra gli obiettivi formati della scuola dell’obbligo.
l’obiettivo formativo deve raggiungere anche le fasce di popolazione che fanno difficoltà ad entrare in contatto con queste tecnologie.
Inoltre lo sviluppo di interfacce progettate attraverso l’interazione utente può portare ad una riduzione delle barriere di usabilità delle piattaforme per la partecipazione.
I programmi didattici dovrebbe formare all’utilizzo di software FLOSS.
Uno dei vantaggi di questa strategia è quello di ridurre i costi economici di accesso alle tecnologie.
La maggior parte del software FLOSS si riesce ad ottenere a costi praticamente trascurabili evitando gli oneri di acquisto del software specialmente per i cittadini delle fasce sociali disagiate.
Il software open source inoltre è molto flessibile in termini di richieste hardware è può permette il riciclare l’hardware ormai considerato obsoleto per il software proprietario.
Considerando le basse richieste in termini di prestazioni che le piattaforme digitali sul web richiedono dal lato utente e i ritmi di ricambio dell’hardware potrebbero essere forniti alle fasce sociali disagiate gli strumenti digitali di accesso ai processi partecipativi. Inoltre l’utilizzo del software open source sulle macchine dei cittadini permette agli esperti della comunità il controllo del codice sorgente e dell’eventuale presenza di codice malevolo.
Senza l’accesso al codice sorgente, come nel caso dei sitemi proprietari, il controllo della macchina viene affidato totalmente alla fiducia del produttore del software.
Naturalmente, anche attraverso la formazione e l’acquisizione delle prassi di sicurezza nell’uso della rete e degli strumenti informatici rimane difficile ipotizzare che la maggior parte delle persone riesca in grado a controllare il codice dei programmi open source che gira sulla propria macchina.
La sicurezza è in generale garantita dal controllo della rete sociale.
Essendo il codice sorgente pubblico e facilmente reperibile qualsiasi programmatore può studiare e controllare la sicurezza del codice e rendere evidente la presenza di falle o codice malevolo.
Un altro problema è rappresentato invece i costi e le infrastrutture di accesso alla rete.
l’amministrazione pubblica non può portare avanti progetti di e-participation senza prevedere l’introduzione nel servizio universale dell’accesso alla rete.
Senza la garanzia della presenza capillare sul territorio delle infrastrutture di rete non è possibile garantire l’accesso ai cittadini agli spazi partecipativi digitali. Deve essere inoltre garantita la gratuità della accesso attraverso la realizzazione di postazioni che permettano l’accesso alla rete di pubblica amministrazione stabilendo anche un sistema di contributi per garantire la connettività alle fasce sociali economicamente più deboli.
l’impegno pubblico per il superamento del digital divide giustifica in parte la realizzazione di progetti di e-participation, del resto lo stato promuove l’alfabetizzazione e l’educazione civica attraverso la scuola dell’obbligo. Offrendo questa possibilità lo stato si sente autorizzato ad utilizzare la scrittura nella definizione delle norme e nell’amministrazione della cosa pubblica.
Ponendosi però l’obiettivo della realizzazione di progetti di e-participation in tempi brevi non si può rimanere indifferenti ai dati sulla diffusione della rete. In Italia oltre metà della popolazione maggiorenne sarebbe esclusa dai processi partecipativi implementati su internet.
Quando si parla degli esclusi delle rete bisogna anche fare un altro ragionamento.
Tra i dati Istat del censimento 2001 abbiamo una tabella che indica le scolarizzazione per fasce di età.
Ipotizzamo, per un attimo, che sia necessario aver compiuto 18 anni per partecipare ai processi deliberativi. La tabella istat aggrega però i dati dello scaglione da 15 a 19 anni che corrisponde al periodo in cui si frequentano le scuole superiori.
Partendo direttamente dai 20 anni abbiamo che oltre 15 milioni e 200 mila persone non hanno conseguito la licenza media di cui, approssimando, 770 mila analfabeti e 2 milioni e 600 mila alfabeti senza alcun titoli di studio. l’aggregato rappresenta circa il 33% della popolazione italiana dai 20 anni in su.
Abbiamo poi un 29% che hanno raggiunto il diploma di scuola media inferiore.
Se proviamo ad incrociare questi dati con quelli presenti su Gandalf.it, possiamo vedere dal grafico n.2 che la penetrazione nell’uso della rete è bassissimo per quanto riguarda l’istruzione elementare e basso per i livelli di istruzione media inferiore.
[Grafico 2: Utenti internet per livello scolastico - Tratto da Gandalf.it]
La maggior parte degli utenti che non sono presenti in rete si troverà concentrata nella fascia d'istruzione elementare.
Ciò che andrebbe indagato quindi, quando ci si pone il problema della scarsa penetrazione di internet per l’introduzione di piattaforme digitali, è di quale sia il livello di partecipazione politica tradizionale raggiunto dalle fasce meno istruite della popolazione.
Lo stato del resto, anche stabilendo per legge la frequentazione della scuola dell’obbligo, non pone in alcun rapporto l’esercizio dei diritti politici al livello di scolarizzazione raggiunto.
All’interno di una democrazia deliberativa bisogna indagare se, l’introduzione degli spazi partecipativi in rete, costituisca un limite oggettivo rispetto alle potenzialità deliberative della popolazione analfabeta o comunque con livelli di istruzione elementare, tenendo conto che, almeno nel 2001, il problema dell’istruzione era più evidente a partire dalla fascia dei 50-54 anni.
Occorrerebbe individuare gli strumenti che permettano anche a chi è digital diviso di partecipare ai processi deliberativi nell’e-participation.
Comunque, nella peggiore delle ipotesi, quando l’accessibilità al mezzo non è così elitaria, il sistema delle deleghe permette di raggiungere un livello di partecipazione più elevato rispetto al sistema politico rappresentativo, anche per chi non ha la possibilità di interagire direttamente per mezzo degli strumenti digitali.
Tra l’altro, la complessità delle burocrazie costituisce già oggi, per il cittadino, un ostacolo ben più insormontabile di un’eventuale alfabetizzazione informatica di base.
Bisogna inoltre considerare altri due fattori:
- il digital divide non è un fenomeno omogeneo
- Il gap di prossimità tecnologica
La TV digitale terrestre, internet, il computer, il cellulare non hanno lo stesso livello di penetrazione nella popolazione.
Inoltre la distanza cognitiva nelle interfacce degli strumenti influisce sui livelli di adozione delle tecnologie.
Quando si sceglie di affrontare il problema del digital divide, per trovare una soluzione ai limiti di accesso agli spazi partecipativi, bisogna valutare entrambi questi aspetti.
Implementare il servizio su una tecnologia diffusa permette di garantire l’accesso ad vasta fascia della popolazione. Ma la diffusione della tecnologia non basta da sola poiché l’introduzione delle piattaforme digitali deve fare i conti con il gap cognitivo che introduce rispetto alle tecnologie di informazione e comunicazione già utilizzate dai cittadini.
Prendiamo ad esempio le potenzialità della telefonia digitale mobile.
La rete GSM sul territorio italiano è diffusa capillarmente come la disponibilità dei dispositivi presso la popolazione. Potremmo quindi definire marginale il problema dell’accesso a questo mezzo di comunicazione.
Utilizzare la rete mobile, per effettuare delle chiamate, pone in essere un gap cognitivo minimo per gli utilizzatori rispetto alla capacità acquisite attraverso l’utilizzo dell’apparto tecnologico tradizionale.
Man a mano che si sviluppa la tecnologia e si implementano servizi si incomincia a determinare una differenza nell’utilizzo dei sistemi. Ad esempio funzioni come gli sms, mms, video, accesso alla rete tramite una connessione dati, implicano, oltre ad un evoluzione dell’hardware anche un’adattamento cognitivo e uno sforzo formativo da parte dell’utente.
l’evoluzione di uno strumento ICT avviene attraverso tre linee:
- il potenziamento o trasformazione della rete
- la diffusione del mezzo in correlazione al gap cognitivo introdotto dalle interfacce
- il soddisfacimento dei bisogni che la tecnologia apporta
- i costi di accesso (alle reti, alla formazione, ai dispositivi)
Qualsiasi strumento ICT venga scelto, per implementare i servizi di e-participation, deve tener conto di tutti questi aspetti.
Prendiamo ad esempio la tv digitale terrestre. Il Digital Video Broadcasting Terrestrial (DVB-T) è una tecnologia di trasmissione video digitale che insieme allo standard DVB-MHP, il quale definisce l’interfaccia software tra applicazioni e gli apparati (set-top box), permette di implementare una piattaforma interattiva digitale.
Partendo dal dato di diffusione dell’apparato televisivo nelle case, potremmo puntare alla realizzazione di una piattaforma di e-participation regionale attraverso il digitale terrestre, in modo da poter raggiungere coloro i quali non riescono ad utilizzare il computer ed internet.
Andrà valutata quindi:
- la necessita di implementare una trasmissione digitale (transponder, ripetitori, liberazione delle frequenze)
- politiche di diffusione del set-top box e previsioni di penetrazione della tecnologia
- la tipologia di necessità partecipative che la piattaforma riuscirà a soddisfare e gli sforzi cognitivi richiesti all’utente (limiti del software e dell’interazione, gap cognitivo rispetto al televideo o l’operazione di cambio dei canali)
- i costi di accesso al set-top box, agli apparati televisivi e all’eventuale formazione sulla piattaforma di e-participation.
l’introduzione di una nuova tecnologia o evoluzione della stessa, richiederà quindi uno sforzo economico di sistema ed uno economico-cognitivo per l’utente. Questi costi devono essere controbilanciati dalle effettive opportunità partecipative che la piattaforma offre.
Ciò che andrebbe evitato è di porsi l’obiettivo di implementare una piattaforma comune per ogni strumento ICT.
Non considerando la specificità delle stesse si rischierebbe di limitare le capacità partecipative su un minimo comune denominatore determinato dalla tecnologia più limitata.
La necessità è quella di fornire strumenti per la partecipazione,diversi per tecnolgia impiegata. Questo richiede un importante sforzo nella definizione di standard comuni multipiattaforma, che permettano alle informazioni di circolare in maniera trasparente da un mezzo all’altro in una sorta di “distribuzione pervasiva” e personalizzabile da parte del cittadino.
A prescindere dalle tecnologie vi è anche un tipo di approccio che porta ad aggirare il problema del digital divide attraverso l’implementazione di un sistema misto che permetta la partecipazione on-line e off-line.
La progettazione di processi misti comporta non pochi problemi di sincronia tra chi interagisce online, coloro che interagiscono online e off-line e i digital divisi che partecipano solamente agli eventi dal vivo.
Anche se di più semplice realizzazione a livello di locale, questo tipo di organizzazione deve affrontare grossi problemi di scalabilità, riguardo alla prossimità territoriale, man mano che si risalgono i livelli territoriali-amministrativi della sfera partecipata.
Anche considerando di utilizzare internet, come bus di collegamento tra le diverse comunità locali che interagiscono offline, diventerebbe difficile arrivare a riprodurre quel fitto processo di costruzione cooperativa delle rappresentazioni territoriali che abbiamo proposto in questo lavoro.
Inoltre bisognerebbe valutare, sperimentalmente, un’eventuale formazione di dinamiche in-group e out-group tra le comunità partecipative online e quelle offline, un effetto che contribuirebbe a complicare ulteriormente il processo partecipativo.
Se da un lato la scelta delle tecnologie, la cura dell’usabilità e dell’accessibilità deve consentire la partecipazione alla più ampia fascia di popolazione, è anche importante diversificare gli strumenti, attraverso una strategia adattiva, che permetta ai cittadini di esercitare il proprio diritto a partecipare in modalità diversa a seconda delle proprie esigenze e del grado di interesse sulle tematiche oggetto di deliberazione.
Piattaforme centralizzate e gestione dei dati.
Quando parliamo di piattaforme per la deliberazione spesso ci riferiamo, come accennato in precedenza, a soluzioni di tipo client-server.
In questo tipo di architettura le applicazioni girano su uno o più server che erogano il servizio ai client.
Un esempio può essere quello di un forum online che viene ospitato sui server di un’associazione o di una società che offre il servizio di hosting a cui gli utenti accedono attraverso i propri computer e la rete utilizzando un browser internet.
Nell’ambito dell’e-participation questo si traduce nell’implementazione delle soluzioni software sui server gestiti dalle pubbliche amministrazioni ai quali i cittadini accedono per realizzare l’attività partecipativa.
Tutta l’informazione e la comunicazione vengono quindi immagazzinate e gestite in maniera centralizzata dall’amministrazione pubblica che dovrebbe essere garante dell’integrità e veridicità dei dati.
Anche nel caso vengano utilizzate o sviluppate soluzioni software open source per la partecipazione, ci si deve comunque fidare che i tecnici dell’amministrazione non alterino il software che gira sui server e non modifichino i dati.
Ci sono diverse soluzioni che possono risolvere questo problema a seconda del livello di fiducia che si vuole assegnare al gestore pubblico delle piattaforme.
Una soluzione abbastanza semplice è quella di rendere pubblici, a scadenze prefissate, tutti gli archivi dati del sistema, firmati digitalmente con la chiave privata dell’amministrazione pubblica. Ogni cittadino potrebbe così mantenere sul proprio computer una copia dei dati e verificarne nel corso del tempo la congruenza delle informazioni rispetto ai dati presenti sul sistema online.
Naturalmente questo metodo offre poche garanzie, poiché i dati potrebbero essere manomessi al momento stesso dell’immissione o comunque prima di effettuare la copia da pubblicare. l’unica fonte di autorità sui dati resterebbe comunque l’amministrazione pubblica che gestisce l’infrastruttura, rendendo difficile la contestazione dei contenuti.
Il vantaggio di avere regolari copie firmate digitalmente può evitare però la presenza di copie contraffatte diversificate, inviate separatamente a ogni cittadino.
Attraverso l’applicazione di funzioni hash il message digest generato sull’archivio, una volta firmato attraverso la chiave privata, ne garantisce l’univocità della copia. Gli utenti, verificando sul proprio computer l’attendibilità del file e della firma, possono scambiare il digest all’interno della propria rete di fiducia web of trust garantendosi a vicenda che la copia ricevuta sia univoca.
Questo sistema però permette ancora di censurare e manomettere i contenuti prima che venga effettuata la copia pubblica periodica, senza che vi sia la possibilità per i cittadini di contestarne i contenuti.
Per superare questo ostacolo, ogni partecipante potrebbe apporre la firma digitale ad ogni messaggio veicolato attraverso il sistema, che dovrebbe essere poi inviato presso più amministrazioni o enti fiduciari. A quel punto anche prima della copia e pubblicazione degli archivi, non sarebbe possibile immettere messaggi falsificati, poiché ogni nuovo messaggio immesso deve essere firmato attraverso la chiave privata di un cittadino.
Tra l’altro tutti i digest delle copie firmate dalle amministrazione e dagli enti fiduciari devono corrispondere.
Un eventuale censura dovrebbe quindi prevedere l’accordo di tutte i soggetti detentori dei dati.
Sebbene questa soluzione sia abbastanza sicura, l’obiettivo ulteriore che ci si può porre è quello di distribuire totalmente la piattaforma di e-participation.
Attraverso una architettura peer-to-peer, crittografata e basata sulla doppia certificazione dell’autorità e della rete di fiducia, sarebbe possibile far girare il software sui singoli computer dei cittadini mantenendo i dati in maniera distribuita. l’evoluzione della ricerca, specialmente riguardo alla sicurezza, sulle tecnologie di Distributed Hash Table3 o dei cosiddetti Contenet Delivery Network4, insieme al web of trust potrebbe eliminare la necessita di demandare, a una o più amministrazioni centralizzate, la gestione del software ed dei dati.
Un sistema di sicurezza che riesca a combinare la innata tendenza umana a stabilire e mantenere rapporti di fiducia, e l’utilizzo degli strumenti crittografici, ci sembra fondamentale per stabilire l’affidabilità delle piattaforme digitali per la partecipazione.
Piattaforme digitali e dinamiche dell’interazione.
Quando si progettano gli strumenti per l’e-participation, anche attraverso una processo condiviso tra cittadino e pubblica amministrazione, bisogna cercare di raggiungere un certo grado di conoscenza del tipo di interazione che si andrà a stabilire all’interno di questi spazi.
Tenendo conto della specificità del mezzo utilizzato, è necessario identificare e studiare le dinamiche che si creano all’interno della comunità.
In particolare bisognerà arrivare a stabilire le policy e le funzionalità del software che rendano “praticabile” il processo deliberativo.
Considerando quindi la specificità dell’interazione mediata da diverse tecnologie ICT ed in particolare i computer, bisogna riconoscere che la maggior parte della comunicazione si svolge attraverso il testo.
Questo tipo di interazione “testuale” può subire variazioni a seconda delle caratteristiche dello strumento utilizzato per comunicare.
Ad esempio nelle mailing list e nei forum possiamo riscontrare principalmente uno sviluppo del discorso multitematico e asincrono mentre nella chat in tempo reale abbiamo un tipo di interazione sincrona.
Una caratteristica della comunicazione testuale mediata dalle tecnologie è la mancanza di indicatori non verbali.
In uno studio di Elaine W. J. Ng e Benjamin H. Detenber, pubblicato sul Journal of Computer-Medieted Communication, viene studiata l’influenza della sincronia e della livello di civiltà nelle discussione politica on line e dell’influenza di questi fattori sui partecipanti e sulle propensioni alla partecipazione.
Attingendo alle diverse teorie della comunicazione mediata al computer e a diversi studi, si può ipotizzare che la discussione in condizioni asincrone è percepita dai soggetti partecipanti come più ricca di valore informativo. La seconda ipotesi è che, quando la discussione si fa incivile, il valore informativo della stessa viene ridimensionato.
Inoltre, per studiare gli effetti sul processo di persuasione, ipotizzano che, in una discussione in condizioni asincrone e con una bassa frequenza tra i messaggi, i partecipanti vengano percepiti come maggiormente dominanti. l’affermazione del fattore di dominanza rispetto all’equità tra i partecipanti dovrebbe essere anche riscontrato nelle condizioni in cui la discussione si sviluppi in maniera incivile.
Le ultime quattro ipotesi formulate riguardano la credibilità e la propensione alla partecipazione dei soggetti.
In particolare quando la discussione è incivile la credibilità di coloro che veicolano il messaggio diminuisce mentre l’asincronia della discussione dovrebbe favorire le percezioni di credibilità tra i partecipanti.
Infine il livello di civiltà e la sincronia della discussione dovrebbero favorire la propensione alla partecipazione.
Arrivando a modificare sperimentalmente i fattori di sincronia ed i livelli di civiltà della discussione, i ricercatori hanno cercato di verificare la fondatezza di tali assunti.
Le ipotesi sugli effetti dell’asincronia sulla qualità dell’informazione percepita dai partecipanti non sono stati confermati. Risulta invece che, una conduzione della discussione sincronica, dia risultati più soddisfacenti sulla percezione della qualità informativa veicolata. Bisognerà quindi in futuro analizzare come le diverse dinamiche dei feedback nella comunicazione asincronica e sincronica influiscano su questo fattore.
Dai dati sperimentali risulta inoltre che in condizioni sincroniche la discussione viene percepita come maggiormente persuasiva.
Per quanto riguarda la percezione della dominanza non è stato riscontrato nessun effetto rispetto alla sincronia della discussione. Risulta comunque che in condizioni di inciviltà sia percepita maggiore dominanza tra i partecipanti.
La credibilità delle fonti risulta maggiore quando i livello della discussione è civile, non risultando però particolarmente influenzata dai fattori di sincronia.
Nello studio poi vengono fatte alcune interessanti osservazioni sui risultati di questa ricerca.
Sul fattore sincronico viene ipotizzato che, la percezione del livello informativo della comunicazione viene influenzata dalle aspettative del mezzo comunicativo e dal diverso livello di interazione tra i membri. La maggiore valutazione informativa può essere quindi collegata alla percezione del coinvolgimento all’interno della discussione. Inoltre le aspettative sui livelli di qualità informativa raggiungibili attraverso la chat, piuttosto che con il forum e le mailinglist, può in qualche modo influenzare il grado di soddisfazione dei partecipanti.
Viene notato inoltre che, anche se la sincronia e la civiltà della discussione non influisce particolarmente sulla propensione alla partecipazione, andrebbe analizzato, con ulteriori studi, come questi fattori siano correlati al livello di interesse dei partecipanti riguardo all’argomento oggetto di discussione.
Anche le percezioni del livello di civiltà in cui è condotta la discussione, varia soggettivamente o in base alle aspettative sul contesto.
In particolare fanno notare, riprendendo uno studio di Papacharissi, la differenza tra cortesia e civiltà. La mancanza di cortesia in contesti di partecipazione politica, dove la presenza di diversi punti di vista è considerata normale, può rafforzare la robustezza del processo partecipativo. Al contrario la mancanza di civiltà con la quale è condotta la discussione può influenzare le capacità di deliberazione online su tematiche politiche.
Nonostante i limiti degli studi condotti e della mancanza di una strutturazione solida dei modelli teorici per la comunicazione mediata al computer, l’approccio di ricerca deve seguire diverse linee. Innanzitutto deve individuare come alcune dinamiche studiate nei processi deliberativi offline si ripropongono all’interno dell’interazione mediate le tecnologie per l’e-participation.
Inoltre andrebbe verificato se, gli studi effettuati sulle dinamiche delle altre comunità online, applicati in un contesto politico mediato digitalmente, producano gli stessi risultati empirici.
Questo permetterebbe sia di migliorare il processo di costruzione delle policy che la progettazione delle funzionalità software. In particolare bisognerebbe sperimentare quali siano gli effetti sul processo nella definizione e nell’esercizio dei ruoli amministrativi all’interno della comunità partecipate, e di come i fenomeni e le dinamiche già studiate dalla psicologia sociale prendano forma all’interno dei contesti d'interazione politica on line.
Sarà necessario in particolare studiare le dinamiche negli spazi partecipativi dei livelli locali più bassi, dove l’interazione online sulle piattaforme di partecipazione si mescola con i rapporti offline presenti all’interno della comunità.
La conoscenza delle dinamiche nell’interazione politica, mediata dall’ICT, deve fornire la base di conoscenza per la progettazione delle piattaforme per l’e-participation. Andranno poi affrontati sul campo, attraverso uno sviluppo condiviso delle policy e degli strumenti software, i necessari adattamenti che permettano al processo deliberativo di svilupparsi nella sue piene potenzialità.
Si dovrebbe arrivare quindi alla formazione di un modello deliberativo e dei relativi strumenti a supporto che si perfezionino all’interno del processo partecipativo stesso.