Capitolo XVI

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Bram Stoker - Dracula (1897)
Traduzione dall'inglese di Angelo Nessi (1922)
Capitolo XVI
XV XVII
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CAPITOLO XVI.


Giornale di Jonathan Harker.


1 ottobre. Le cinque del mattino.

La scena con Renfield aveva impressionato tutti. Siamo tornati nello studio di Seward e Morris disse:

— Dite un po’, John, siete proprio certo che quest’uomo sia pazzo? Non vidi mai una lucidità simile. Doveva avere una ragione seria per allontanarsi di qui e non siamo stati molto duri a rifiutare.

— Si capisce che voi conoscete i pazzi meglio di noi — aggiunse Van Helsing. — Per fortuna, perchè io avrei abboccato e gli avrei accordato la libertà.

— Pareva sincero, infatti — disse Seward pensoso; — in qualunque circostanza avrei ceduto: ma quest’uomo è troppo immischiato negli avvenimenti che ci interessano per arrischiare una cosa tanto grave. E poi mi sono ricordato che quando desiderava aver un gatto, [p. 137 modifica]m’implorava con la stessa eloquenza. Chiama il Conte «suo Signore e Padrone». Tutto ciò è losco. Eppure pareva sincero.

— Ebbene! partiamo? — chiese Van Helsing aprendo la porta.

Demmo la scalata al muro e ci dirigemmo verso il maniero avendo cura di tenerci nell’ombra degli alberi del viale, per via della luna. Ci fermammo davanti la porta. Il professore aperse il suo sacchetto.

— Amici miei — disse — incorriamo in pericoli d’ogni sorta. Difendiamoci come possiamo. Ognuno di noi si metta intorno al collo una ghirlanda di questi fiori, prenda una rivoltella e un coltello e si faccia scivolare in tasca queste lampadine elettriche. John, datemi il soprabito; cercheremo di aprire la porta.

Introdusse la chiave nella serratura, che finì per cedere. La porta s’aprì stridendo.

La rinchiudemmo dietro a noi. Il debole chiarore delle lampadine proiettava le nostre figure deformate sul soffitto come ombre danzanti. Tutti avevamo l’impressione sgradevole d’avere qualcuno alle spalle, ed il minimo rumore ci faceva trasalire. Affondavamo i piedi in uno strato fitto di polvere. Negli angoli, enormi ragnatele sostenevano pacchi di polvere. Sopra un tavolo del vestibolo, un mazzo di chiavi dalle etichette cancellate dal tempo.

Van Helsing si volse verso di me.

— Voi conoscete i luoghi, Jonathan. Poichè avete fatto i rilievi del piano; conduceteci dunque alla cappella.

Dopo molti giri, arrivammo davanti ad una porticina bassa ornata di ferramenta antiche. [p. 138 modifica]

La chiave entrò senza fatica, la porta girò sui cardini ed un odore orribile ci prese subito alla gola... Dopo il primo movimento di repulsione, entrammo bravamente. Un’occhiata sommaria: la cappella è piccola: ci si soffoca.

— Quante casse restano? — chiese Van Helsing.

I cofani erano allineati contro il muro. Ne rimanevano ventinove.

A un tratto, Lord Godalming si volse indietro, a guardare verso la porta. Seguii la direzione del suo sguardo ed il mio cuore cessò di battere. Nel corridoio s’incorniciava nella porta un’orrenda visione: il naso prominente, gli occhi rossi, il pallore estremo del viso del Conte. Ma l’apparizione svanì tosto:

— Non è che un giuoco di luce — disse Godalming.

Poco convinto, uscii nel corridoio; alla luce della mia lampadina, frugai i minimi cantucci. I muri sono grossi e lisci. Da dove è entrato? Eppure non credo d’aver sognato.

Fu allora che Morris attirò la nostra attenzione verso un punto fosforescente. Repentinamente tutta la cappella si riempì di topi. Quell’inaspettata invasione ci disorientò. Soltanto Godalming serbò la sua presenza di spirito. Si avventò verso la grande porta di quercia che, in fondo alla cappella, dava sul giardino: la spalancò e portò alle labbra un fischietto d’argento. Gli rispose un abbaiare che veniva dall’asilo e in pochi secondi tre fox-terriers accorrevano.

I topi si moltiplicavano talmente che le loro schiene bigie formavano un suolo mobile. I cani si fermarono sulla soglia della porta abbaiando [p. 139 modifica]lamentosamente. Arturo ne afferrò uno per la pelle del collo e lo gettò sul pavimento. Allora la brava bestia si gettò all’inseguimento de’ suoi nemici che s’affrettarono a lasciar libero il campo con tanta velocità che tutt’e tre insieme i fox-terriers non riuscirono a massacrarne che una ventina.

Rinchiudemmo la porta sul giardino e, preceduti dai cani, visitammo il castello. Dappertutto un favoloso strato di polvere. Nulla d’anormale, intorno. L’alba si alzava quando uscimmo dal portico.

Van Helsing aveva staccato dal mazzo la chiave del portone; e se la mise in tasca senza complimenti.

— Non abbiamo perduto il nostro tempo — dichiarò; — poichè abbiamo imparato che se il Conte può farsi obbedire da un reggimento di topi, così come in Transilvania comandava ai lupi, non comunica loro il suo potere poichè tre fox-terriers bastano a metterli in rotta.

Tutti quanti dormivano certo nell’asilo: nessuna luce trapelava dalle finestre. Ma, passando davanti alla cella di Renfield abbiamo udito dei gemiti. Il povero pazzo certo si disperava.

Mina dormiva quando entrai nella stanza. Pareva più pallida del solito e respirava debolmente. Purchè queste ultime ansietà non la deprimano; ha un bell’essere coraggiosa, sono emozioni terribili per una donna. Le parlerò meno che sia possibile delle nostre spedizioni notturne.

1 ottobre.

Abbiamo dormito come talpe. Quando mi alzai, il sole era alto in cielo. Mina dormiva [p. 140 modifica]ancora; dovetti chiamarla tre volte di seguito prima che aprisse gli occhi; parve uscire da un sonno pesante e mi guardò con occhio smarrito come al risveglio dopo un sogno cattivo. Si dolse d’una grande stanchezza e la supplicai di riposare ancora un poco.

Sappiamo che ventun casse vennero portate via dal maniero. Bisogna che indaghiamo che cosa ne è avvenuto; il che semplificherà il nostro compito. Oggi vedrò Tommaso Snelling, il conducente del carro.


Giornale di Mina.


1 ottobre.

Non ne capisco nulla; mi tengono in disparte, eppure non sono impressionabile. Jonathan s’è rifiutato a darmi relazione della loro spedizione. Mi fa pena che mi nasconda qualche cosa, fosse pure per delicatezza; e non ho potuto a meno di piangere come una sciocca. D’altronde sono assai depressa; è il contraccolpo dei giorni scorsi.

Non appena sola, iersera andai a letto. Ero molto inquieta e tardavo ad addormentarmi. Dei cani abbaiavano e dalla stanza di Renfield, situata sotto alla mia, saliva una preghiera esaltata. Poi ci fu il silenzio. Mi alzai avvicinandomi alla finestra. Era buio. Nulla si muoveva sul paesaggio. Una leggera bruma bianca ondeggiava sul prato e, come dotata di vita, si riaccostava alla casa. Mi ricoricai. Ma il sonno non venne. Allora mi alzai nuovamente. La nebbia [p. 141 modifica]adesso avvolgeva la casa come se volesse penetrarvi ma non osasse. Il povero pazzo lanciava grida strazianti; pareva supplicasse disperatamente. Poi udii il rumore d’una lotta, i guardiani lo domavano certo. Presa dal terrore scivolai nel letto. Rialzai le lenzuola fin sopra la testa e mi turai le orecchie. Non avevo nessuna voglia di dormire e tuttavia il sonno dovette prenderai prestissimo perchè feci un sogno strano.

Aspettavo il ritorno di Jonathan, ero inquieta e come paralizzata e oppressa da un’atmosfera pesante e glaciale. Rigettai le lenzuola e constatai che il becco a gaz lasciato acceso per Jonathan non rischiarava più che con un piccolissimo punto rosso appena visibile nella nebbia che aveva invaso la stanza. Avevo gli occhi chiusi, certo e tuttavia vedevo attraverso le palpebre (quali assurdità si immaginano nel sogno!)

La bruma diventò più fitta e mi parve formasse una specie di pilastro nuvoloso sormontato dal puntino rosso del gaz. La stanza girò, poi vidi due punti rossi invece di uno; luccicavano come occhi. Mi ricordarono gli occhi rossi che vedemmo Lucy ed io nel cimitero, in quel bel tramonto. Mi parve che un viso livido si delineasse fra la nebbia, accostandosi a me. Non so perchè pensai allora alle tre orribili donne che Jonathan scorse in un raggio di luna. E mi parve di svenire per lo spavento.

Spero di non rifare simili sogni d’incubo; sono spossanti e nefasti per l’equilibrio mentale.

Una notte simile mi ha depresso più che se non avessi chiuso occhio. [p. 142 modifica]

2 ottobre.

La notte scorsa ho dormito bene, non ho sognato, e neppure ho sentito Jonathan rientrare. Tuttavia, non ho riposato neanche stanotte. Mi sento orribilmente debole. Trascorsi tutta la giornata di ieri leggendo o piuttosto tentando di leggere. Sono come intorpidita. Renfield ha chiesto di vedermi. Povero uomo! Pare assai inoffensivo nei momenti di calma. Mi baciò la mano. La sua dolcezza mi commosse fino alle lagrime; ma piango per nulla, è un segno di debolezza.

I miei uomini tornarono all’ora di pranzo, tutt’e tre stanchissimi; cercai distrarli del mio meglio. Dopo pranzo mi pregarono di ritirarmi, col pretesto che essi dovevano fumare un sigaro. So quel che significa.

Volli evitare una nuova insonnia e pregai il dottor Seward di darmi un leggero soporifero. Mi preparò egli stesso la pozione.