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rava con la stessa eloquenza. Chiama il Conte «suo Signore e Padrone». Tutto ciò è losco. Eppure pareva sincero.

— Ebbene! partiamo? — chiese Van Helsing aprendo la porta.

Demmo la scalata al muro e ci dirigemmo verso il maniero avendo cura di tenerci nell’ombra degli alberi del viale, per via della luna. Ci fermammo davanti la porta. Il professore aperse il suo sacchetto.

— Amici miei — disse — incorriamo in pericoli d’ogni sorta. Difendiamoci come possiamo. Ognuno di noi si metta intorno al collo una ghirlanda di questi fiori, prenda una rivoltella e un coltello e si faccia scivolare in tasca queste lampadine elettriche. John, datemi il soprabito; cercheremo di aprire la porta.

Introdusse la chiave nella serratura, che finì per cedere. La porta s’aprì stridendo.

La rinchiudemmo dietro a noi. Il debole chiarore delle lampadine proiettava le nostre figure deformate sul soffitto come ombre danzanti. Tutti avevamo l’impressione sgradevole d’avere qualcuno alle spalle, ed il minimo rumore ci faceva trasalire. Affondavamo i piedi in uno strato fitto di polvere. Negli angoli, enormi ragnatele sostenevano pacchi di polvere. Sopra un tavolo del vestibolo, un mazzo di chiavi dalle etichette cancellate dal tempo.

Van Helsing si volse verso di me.

— Voi conoscete i luoghi, Jonathan. Poichè avete fatto i rilievi del piano; conduceteci dunque alla cappella.

Dopo molti giri, arrivammo davanti ad una porticina bassa ornata di ferramenta antiche.