Donna Mimma/3. Donna Mimma ritorna
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§ 3.
DONNA MIMMA RITORNA
— Flavietta? Ma sì, madamina, anche lei. Che s’immagini! A Palermo, come no? con la lettiga d’avorio e i denari di babbo. Quanti? Eh, più di mille lire!
— No, onze!
— Già, dicevo lire! onze, madamina: più di mille. Cara, che mi corregge! Tò, un bacio le voglio fare, cara! e un altro.... cara! —
Chi parla così? Ma guarda! la Piemontesa: quella che due anni fa pareva un maschiotto in gonnella: giacchetta verde, mani in tasca.... Ha buttato via giacchetta e cappello, si pettina alla paesana e porta in capo, oh, il fazzoletto di seta celeste, annodato largo sotto il mento, e un bellissimo scialle lungo d’indiana, a pizzo e frangiato. La Piemontesa! E parla di comperare i bambini ora, anche lei, a Palermo, con la lettiga d’avorio e i denari di come? babbo? già, dice babbo lei, perchè parla in lingua lei, che s’immagini! e non li dà mica i baci, li fa, e fa furore con codesta sua parlata italiana, vestita così da paesanella: una simpatia!
— Più stretto alla vita lo scialle....
— Sì, così, così!
— E il fazzoletto.... no, più tirato avanti, il fazzoletto.
— E su da capo, così!
— Largo.... un po’ più largo, sotto; più aperto.... così, brava! —
Ora a terra, modesti, gli occhi per via; e poco male se una guardatina di tanto in tanto scappa di traverso maliziosa, o un sorrisetto scopre su le due guance codeste care fossette. Che zucchero!
Le signore mamme si sentono chiamar madame (— Riverisco, madama! — A servirla, madama! — ) e sono tutte contente (poverine, con tanto di pancia!) Contente che ormai, a trattare con lei, è proprio come se sapessero parlare in lingua anche loro e le avessero familiari tutte le finezze e le “civiltà„ del Continente. Ma sì, perchè si sa, via, che in Continente usa così, usa cosa.... E poi, che è niente? la soddisfazione di vedersi spiegare tutto, punto per punto, come da un medico, coi termini precisi della scienza che non possono offendere, perchè la natura, Dio mio, sarà brutta, ma è così; Dio l’ha fatta così; e meglio saperle come sono, le cose, per regolarsi, guardarsi a un bisogno, e poi anche, alle strette, ma almeno conoscere di che e perchè si soffre. Volere di Dio, sì certo; lo dice la Santa Scrittura: “tu donna partorirai con gran dolore„, ma si manca forse di rispetto a Dio studiando la sapienza delle sue disposizioni? L’ignoranza di donna Mimma, poveretta, si contentava del volere di Dio e basta. Questa qua, ora, rispetta Dio lo stesso e poi, per giunta, spiega tutto, come Dio l’ha voluta e disposta, la croce della maternità.
Dal canto loro i bambini, a sentirsi raccontare con ben altra voce e ben altre maniere la favola meravigliosa dei notturni viaggi a Palermo con la lettiga d’avorio e i cavalli bianchi sotto la luna, restano a bocca aperta, perchè — raccontata così — è proprio come se fosse loro letta o che la leggessero loro da sè in un bel libro di fiabe, di cui la fata, eccola qua, balzata viva davanti a loro, da poterla toccare: questa fata bella che in lettiga sotto la luna ci va davvero, se davvero porta loro da Palermo le sorelline nuove, i nuovi fratellini. La mirano; quasi la adorano; dicono:
— No: brutta, donna Mimma! non la vogliamo più! —
Ma il guajo è che non la vogliono più, ora, neppur loro, le donne del popolo, perchè donna Mimma con esse, roba di massa, si sbrigava senza tante cerimonie, le trattava come se non avessero diritto di lagnarsi delle doglie, e anche spesso, se s’andava per le lunghe, era capace di lasciarle per correre premurosa a dir pazienza a qualche signora, anch’essa soprapparto; mentre questa qua — oh amore di figlia; tutta bella, bella di faccia e di cuore! — gentile, paziente anche con loro, senza differenza; che se una signora manda subito subito a chiamarla, risponde con garbo ma senza esitare che così subito no, perchè ha per le mani una poveretta e non la può lasciare; proprio così! tante volte! E dire poi, una ragazza che non li ha mai provati finora questi dolori che cosa sono, saperli così bene compatire e cercare d’alleviarli in tutte, signore e poverette, allo stesso modo! E via il cappello e via tutte le frasche e le arie di signora con cui era venuta, per acconciarsi come loro, da poveretta, con lo scialle e il fazzoletto in capo, che le sta un amore!
Invece, donna Mimma.... che? col cappello? ma sì, correte, correte a vederla! è arrivata or ora da Palermo, col cappello, con un cappellone grosso così, Madonna santa, che pare una bertuccia, di quelle che ballano sugli organetti alla fiera! Tutta la gente è scasata a vederla; tutti i ragazzi di strada l’hanno accompagnata a casa battendo i cocci, come dietro alla nonna di carnevale.
— Ma come, il cappello, davvero? —
Il cappello, sì. O che non ha preso il diploma all’Università come la Piemontesa, lei? Dopo due anni di studii.... e che studii! I capelli bianchi ci ha fatto, ecco qua, in due anni, che prima di partire per Palermo li aveva ancora neri. Studii, che il signor dottore, adesso, se si vuol provare un poco a ragionare con lei, glielo farà vedere che non è più il caso di metterla nel sacco con quelle sue parole turchine, perchè le sa dire anche lei adesso, e meglio di lui, le parole turchine, tutte a memoria, bene.
Il cappello? Ma che stupidaggine di teste piccole di paese! Viene di diritto e di conseguenza il cappello dopo due anni di studii all’Università. Tutte lì, quelle che studiavano con lei, lo portavano; e anche lei, dunque, per forza.
La professione dell’ostrè.... no, te.... trètica, la professione dell’ostrètica, adesso, c’è poca differenza con quella del medico. Gli stessi studii, quasi. E i medici non vanno mica col berretto per via! Ma perchè sarebbe allora andata a Palermo? perchè avrebbe studiato due anni all’Università? perchè avrebbe preso il diploma, se non per mettersi in tutto a paro, di studii e di stato, con la Piemontesa diplomata dall’Università di Torino?
Trasecola donna Mimma, si fa di tutti i colori appena viene a sapere che la Piemontesa, lei, non porta più il cappello, ora, ma lo scialle e il fazzoletto. — Ah sì? se l’è levato? porta il “manto„ e il fazzoletto celeste. E che fa? che dice? Ah, che i bambini si comperano a Palermo? Con la lettiga? Ah, traditora! Ma dunque, per levare il pane a lei? di bocca, a lei, il pane? Assassina! Per entrare in grazia della gente ignorante del paese? Infame! E la gente.... come! si piglia da lei quest’impostura? da lei che prima andava dicendo ch’eran tutte sciocchezze e falsi pudori? Ma allora, se questa spudorata doveva ridursi a far la mammana in paese così, come per trentacinque anni naturalmente l’aveva fatto lei, perchè costringerla a partire per Palermo, a studiare due anni all’Università, e prendere il diploma? Solo per aver tempo di rubarle il posto, ecco il perchè! levarle il pane di bocca, mettendosi a far come lei, vestendosi come lei, dicendo le stesse cose che prima diceva lei! infame! assassina! impostora e traditora! Ah che cosa.... ah Dio, che cosa.... che cosa....
Ha tutto il sangue alla testa, donna Mimma; piange di rabbia; si storce le mani, ancora col cappellone in capo; pesta un piede; il cappellone le va di traverso; ed ecco, per la prima volta, le scappa di bocca una parolaccia sconcia: no, non se lo leverà più lei, no, per sfida, ora, questo cappello: qua, qua in capo! se quella se l’è levato, lei se l’è messo e lo terrà! Il diploma ce l’ha; a Palermo c’è stata; s’è ammazzata due anni a studiare: ora si metterà a far lei qua in paese, non più la comaretta, la mammanuccia, ma l’Ostrètica diplomata dalla Regia Università di Palermo.
Povera donna Mimma, dice ostrètica, così su le furie, facendo le volte per la stanzuccia della sua casa, dove tutti gli oggetti par che la guardino crucciati e sbigottiti perchè s’aspettavano d’esser salutati con gioja e carezzati da lei dopo due anni d’assenza. Donna Mimma non ha occhi per loro; dice che vorrà vederla in faccia, quella lì (e giù un’altra parolaccia sconcia), se avrà il coraggio di parlare davanti a lei di lettighe d’avorio e di comperare i bambini; e or ora, senza neppur riposarsi un minuto, si vuol mettere in giro, da tutte le signore del paese, — così, così col cappello in capo, sissignori! — per vedere se anche loro avranno il coraggio, ora ch’ella è ritornata col diploma, di cangiarle la faccia per quella fruscola lì!
Esce di casa; ma appena per via, subito di nuovo la maraviglia, le risa della gente, i lazzi dei monellacci impertinenti e ingrati, che si sono scordati di chi li ha accolti prima nel mondo, ajutando la mamma a metterli alla luce.
— Musi di cane! Cazzarellini! Ah, figli di.... —
Le tirano bucce, sassolini sul cappellone, la accompagnano con rumori sguajati, saltarellandole intorno.
— Donna Mimma? Oh guarda.... — dicono le signore, restando allo spettacolo che si para loro davanti, buffo e pietoso, perchè donna Mimma con quel suo cappellone di traverso e gli occhi ovati rossi di pianto e di rabbia, vuole così conciata apparir loro come l’ombra del rimorso, e in quegli occhi ovati rossi di pianto e di rabbia ha un rimprovero per loro pieno di profondo accoramento, quasi che a Palermo a studiare la avessero mandata loro, per forza, e loro la avessero fatta ritornare da Palermo con quel cappellone che, essendo il frutto naturale, quantunque spropositato, di due anni di studio all’Università, rappresenta il tradimento che loro signore le hanno fatto.
Tradimento sì, tradimento, signore mie, tradimento perchè, se volevate la mammana come donna Mimma era prima, una mammana col fazzoletto in capo e lo scialle, che raccontasse ai vostri bimbi la favola della lettiga e dei fratellini comperati a Palermo coi denari di papà, non dovevate permettere che il fazzoletto di seta celeste e lo scialle di donna Mimma e le vecchie favole di lei fossero usurpati da questa sfrontata continentale che prima, venendo dall’Università col cappello anche lei, li aveva derisi in donna Mimma; dovevate dirle: “No, cara: tu hai obbligato donna Mimma a studiare due anni a Palermo, a mettersi là il cappello anche lei per non esser derisa dalle fraschette sfrontate come te, e tu ora qua te lo levi? e ti metti il fazzoletto e lo scialle e ti metti a raccontare la favola della lettiga, per prendere il posto di quella che hai mandato via a studiare? Ma questa è per te un’impostura! per quella, invece, vestire così, parlare così, era naturale! No, cara, tu ora fai a donna Mimma un tradimento, e come l’hai derisa tu, prima, col fazzoletto e lo scialle e la vecchia favola della lettiga, la farai deridere dagli altri, ora, col cappellone e la scienza ostetrica appresa all’Università„. Così, signore mie, dovevate dire a codesta Piemontesa. O se davvero vi piace di più, ora, la mammana “civile„ che vi sappia spiegar tutto bene, punto per punto, come si fanno e come si possono anche non fare i figliuoli, obbligate allora la Piemontesa a rimettersi il cappello, per non far deridere donna Mimma che come un medico ha studiato e col cappello è venuta!
Ma voi vi stringete nelle spalle, signore mie, e fate intendere a donna Mimma che ormai non sapete come comportarvi con l’altra che già vi ha assistito una volta e bene, proprio bene, sì.... e che per la prossima assistenza vi trovate già impegnate.... e, quanto all’avvenire, per non compromettervi, dite di sperare in Dio che basta, ora, questa croce per voi, d’aver altri figliuoli.
Donna Mimma piange; vorrebbe consolarsi un poco almeno coi bambini, e per farli accostare si toglie dal capo lo spauracchio di quel cappellaccio nero; ma invano. Non la riconoscono più, i bambini.
— Ma come? — dice donna Mimma piangendo. — Tu Flavietta, che mi guardavi prima con codesti occhi d’amore; tu, Ninì mio, ma come? non vi ricordate più di me? di donna Mimma? Sono andata io, io a comperarvi a Palermo coi denari di papà; io, con la lettiga d’avorio, figlietti miei, venite qua! —
I bimbi non vogliono accostarsi; restano scontrosi, ostili a guatarla da lontano, a guatarle quel cappellaccio nero su le ginocchia; e donna Mimma, allora, dopo essersi provata a lungo ad asciugarsi il pianto dagli occhi e dalle guance, alla fine, vedendo che non ci riesce e che anzi fa peggio, se lo rimette in capo quel cappellaccio e se ne va.
Ma non è solo per questo cappellaccio nero, come donna Mimma pensa, che tutto il paesello le si è voltato contro. Se non fosse per la stizza e il dispetto, potrebbe buttarlo via donna Mimma, il cappellaccio; ma la scienza? Ahimè, la scienza che le strappò dal capo il bel fazzoletto di seta celeste e le impose invece codesto cappellaccio nero; la scienza appresa tardi e male; la scienza che le ha tolto la vista e le ha dato gli occhiali; la scienza che le ha imbrogliato tutta l’esperienza di trentacinque anni; la scienza che le è costata due anni di martirio alla sua età; la scienza, no, non potrà più buttarla via, donna Mimma; e questo è il vero male, il male irreparabile! Perchè si dà il caso, ora, che una vicina, sposa da appena un anno e già sul punto d’esser mamma, non trova questa sera nelle quattro stanzette della sua casa un punto, un punto solo, dove quietar la smania da cui si sente soffocare; va sul terrazzino, guarda.... no, si sente lei guardata stranamente da tutte le stelle che sfavillano in cielo; e se lo sente acuto nelle carni come un formicolio di brividi, tutto questo pungere di stelle; e comincia a gemere e a gridare che non ne può più! Si può aspettare; le dicono che si può aspettare fino a domani; ma lei dice di no, dice che, se dura così, prima che venga domani, lei sarà morta; e allora, poichè l’altra, la Piemontesa, è occupata altrove e ha mandato a dire che proprio gliene duole ma questa notte non può venire; giacchè ora sono in due nel paesello a far questo mestiere, via, si può provare a chiamare donna Mimma.
Eh? che? donna Mimma? e che è donna Mimma? uno straccio per turare i buchi? Lei non vuol fare da “sostituta„ a quell’altra là! Ma alla fine s’arrende alle preghiere, si pianta prima pian piano il cappello in capo, e va. Ahimè, è possibile che non colga ora questa occasione donna Mimma per dimostrare che ha studiato due anni all’Università come quell’altra, e che sa fare ora come quell’altra, meglio di quell’altra, con tutte quante le regole della scienza e i precetti dell’igiene? Disgraziata! Le vuol mostrare tutte a una a una queste regole della scienza; tutti a uno a uno li vuole applicare questi precetti dell’igiene; tanto mostrare, tanto applicare, che a un certo punto bisogna mandare a precipizio per l’altra, per la Piemontesa, e anche per il medico ora, se si vuol salvare questa povera mamma e la creaturina, che rischiano di morire impedite, soffocate, strozzate da tutte quelle regole e da tutti quei precetti.
E ora per donna Mimma è finita davvero. Dopo questa prova, nessuno — ed è giusto — vorrà più saperne di lei. Invelenita contro tutto il paese, col cappellaccio in capo, ogni giorno ella scende in piazza, ora, a fare una scenata davanti la farmacia, dando dell’asino al dottore e della sgualdrinella a quella ladra Piemontesa che è venuta a rubarle il pane. C’è chi dice che s’è data al vino, perchè dopo queste scenate, ritornando a casa, donna Mimma piange, piange inconsolabilmente; e questo, come si sa, è un certo effetto che il vino suol fare.
La Piemontesina, intanto, col fazzoletto di seta celeste in capo e il lungo scialle d’indiana stretto intorno alla svelta persona, corre da una casa all’altra, con gli occhi a terra, modesti, e lancia di tanto in tanto di traverso una guardatina maliziosa e un sorrisetto che le scopre su le due guance le fossette. Dice con rammarico ch’è un vero peccato che donna Mimma si sia ridotta così, perchè dal ritorno di lei in paese ella sperava un sollievo; ma sì, un sollievo, visto che questi benedetti papà siciliani troppi, troppi denari hanno, da spendere in figliuoli, e notte e giorno senza requie la fanno viaggiare in lettiga.