La vocazione politica: la rivoluzione di Cristo

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La vocazione politica: la rivoluzione di Cristo
VI XVIII


Lasciate alle sue spalle, in una notte avventurosa, le acque del Sangro, don Zeno ha appena il tempo di asciugare i vestiti e di saziare la fame che è scosso dalla percezione dello scenario civile nuovo che lo circonda: di là dal fronte ha lasciato una nazione sottoposta alla più brutale legge marziale, di qua dal fronte scopre un paese immerso in un disordine indescrivibile, nel quale la penuria alimentare e la legalità vacillante non attenuano la sensazione collettiva della cesura che la guerra ha segnato col passato e le attese di un futuro che, se nessuno immagina quali connotati potrà rivestire, tutti sentono che sarà radicalmente diverso dal passato.

Don Zeno al microfono di uno dei cento teatri nei quali proclama il proprio messaggio dopo la scelta di farsi alfiere della "rivoluzione sociale di Cristo"

Narrando le proprie memorie per la realizzazione della pellicola che non sarà mai girata don Zeno racconterà con dovizia di particolari traversie ed avventure: seppure proposte con il vigore evocativo che anima le sue narrazioni, nella cornice drammatica di quegli anni quelle peripezie non sono che una delle cento storie con le quali la memorialistica, la letteratura ed il cinema hanno rievocato la grande tragedia nazionale. Di autenticamente significativo, siccome preparazione delle vicende di cui sarà protagonista negli anni successivi, v’è, nel suo racconto, la prova della percezione della grande svolta verso la quale sta dirigendosi la società italiana, una percezione che il transfuga emiliano realizza con la sensibilità per i sentimenti collettivi che costituisce una delle sue doti più singolari. A quella percezione è intrinsecamente connesso l’inizio della sua riflessione sulla società che potrà prendere forma, secondo il prevalere delle forze che ne contenderanno la guida, dall’Italia prostrata, allora, tra le rovine.

Si dedica a quella riflessione tra gli impegni estemporanei di predicazione, cui è invitato da sacerdoti e vescovi conosciuti nel turbinare di uomini armati ed inermi, prima a Pompei, dove stringe amicizia con l’amministratore apostolico del santuario, poi, quando gli Alleati forzano il passo di Cassino, a Roma, nella casa di antichi amici, in via Paolina, dove è ospite alcune settimane. La amplia e la sviluppa quindi nell’appartamento in via Due Macelli di cui gli assicurano la disponibilità le amicizie ecclesiastiche e i mezzi di una signora romana, Giselda Guillon Baschiera, che vende i propri averi proponendosi di seguirlo, finita la guerra, a San Giacomo. Nel presidio romano, che rapidamente si popola di amici antichi e nuovi, trascorrerà sei mesi, in attesa che lo sfondamento della Linea gotica gli consenta di raggiungere la sua terra padana.

Fomenta, durante le tappe dell’esilio, la sua riflessione, la constatazione, che il fluire delle notizie alimenta quotidianamente, dell’immensità delle rovine prodotte, dall’Inghilterra alla Cina, dalla guerra, la favoriscono e, insieme, la coartano, le lunghe settimane di ozio forzato, una condizione che, immerso, fino dalla giovinezza, nell’attività più frenetica, è per lui circostanza straordinaria, ragione di intenso fantasticare e occasione di assidua preghiera.

Riflessione, fantasia e preghiera accendono ed intensificano in don Zeno l’impressione dell’incombere di un’ora suprema per il Cristianesimo, per il Paese e per sè medesimo. Lo soggioga la certezza che lo scontro tra il Capitalismo e il Marxismo abbia condotto l’umanità sull’orlo di un confronto finale, alla cui conclusione le si aprirà innanzi l’alternativa tra l’abbraccio del Vangelo, nella sua primitiva integralità, o la caduta in un abisso peggiore di quello dal quale essa pare stia per riemergere. Davanti al bivio della storia crede che anche la Chiesa dovrà schierarsi, scegliendo di essere il lievito che compenetri la farina dell’umanità nella rivoluzione della rinascita universale, o rifiutando la propria missione, e per quel rifiuto essere condannata dal suo Fondatore a tornare, crudelmente perseguitata, nelle catacombe: una profezia che negli anni successivi ripeterà con appassionata insistenza.

Tra tutti i paesi nei quali la Chiesa dovrà farsi propugnatrice del grande sommovimento, il cappellano di San Giacomo colloca al primo posto l’Italia, dove l’asprezza del confronto sociale ha reso inevitabile ed imminente, ai suoi occhi, la storica svolta. Di quella svolta, riflettendo sullo scenario nel quale dovrà compiersi e sulle forze che il suo compimento porrà a confronto, si sente chiamato ad essere alfiere e stratega.

Enuclea le ragioni storiche e ideali dei convincimenti maturati durante l’esilio pompeiano e l’attesa romana negli scritti in cui fissa il frutto delle proprie meditazioni. Il più impegnativo, “Alle radici”, è un manifesto politico, che don Zeno stila riproponendo le idee chiave dei volumetti precedenti, caricandole delle valenze radicali che il titolo, ricavato dal proclama di Giovanni Battista, anticipa con trasparente efficacia. L’apostrofe del Battista riassume il suo programma: «La scure è alla radice», non è più tempo di falsi aggiustamenti, l’albero civile che non ha dato che cattivi frutti sarà abbattuto, e dopo la sua estirpazione sul suolo liberato crescerà una società nuova.

Pure riproponendo temi consueti, l’opuscolo segna una tappa significativa nell’evoluzione del pensiero di don Zeno. La constatazione è imposta dal rilievo che nei primi scritti, senza alcuna concessione all’ordine borghese, il prete carpigiano ha irriso come illusorio il mito della palingenesi sociale propugnato dagli ideologi della rivoluzione socialista, un atteggiamento che nei testi che vergherà negli anni successivi muterà nel convincimento dell’ineludibile necessità di un grande moto rivoluzionario. Abbracciato il nuovo credo storico dileggerà come prova di cecità ogni dubbio che gli verrà opposto.

Convinto dell’ineluttabilità della dissoluzione del Capitalismo, che dichiara inumano siccome fondato sulla compravendita del lavoro dell’uomo, un mercimonio ripugnante, richiama la Chiesa ad innalzare il proprio vessillo tra le masse operaie che hanno abbracciato il Marxismo pure conservando, sostiene, i costumi radicati nella coscienza collettiva dalla morale cristiana. La guerra, è ancora convinto, lascerà alle proprie spalle una situazione sociale esplosiva, tale da accelerare lo sgretolamento dell’economia borghese avvicinando il giorno del suo crollo. L’approssimarsi del crollo renderà irresistibile l’azione di chi opererà lucidamente per favorirne il compimento, raccogliendo le forze necessarie e preparandole alla costruzione della società nuova cui esse potranno dare vita dopo avere conquistato il potere. Se, nel grande cimento, quelle forze saranno guidate dalla Chiesa sulla strada del Vangelo, la rivoluzione che compiranno sarà “La rivoluzione sociale di Gesù Cristo”, il titolo, anch’esso emblematico, del volumetto che, per precisare il proprio programma, comporrà dopo il ritorno a San Giacomo.

Integrano il programma politico che prende forma nel primo opuscolo altri due scritti, “Lacrime” e “Ai cari confratelli”, il primo una serie di meditazioni, il secondo una lettera al clero, che invita a farsi, insieme a lui, artefice del grande moto che trasformerà la società umana.

È coerente al convincimento di essere chiamato a condurre, sotto il vessillo della Chiesa di Cristo, una grande rivoluzione, l’invio al suo Vicario, il 16 dicembre 1944, dei tre opuscoli appena stilati e di una lettera con la quale chiede di poterne illustrare personalmente il contenuto. Inviato il plico, attende con ansia di essere convocato da Pio XII per spiegare l’ispirazione e la strategia dell’azione sociale che intende intraprendere. Certo di essere chiamato da Cristo ad animare un moto di popolo che, sui binari che ha sperimentato a San Giacomo, assumerà, nel crogiuolo civile lasciato dalla guerra, portata nazionale, prega quotidianamente, come annota sul taccuino in cui fissa impressioni ed eventi del soggiorno romano, che il cuore del Papa gli si apra, così che la Chiesa possa procedere sulla strada che la storia le dischiude senza remore e ritardi il cui prezzo, è convinto, sarebbe l’oppressione e la dispersione del popolo cattolico. Le pagine del diario romano rivelano con chiarezza che con l’invio al Papa del suo plico sente di compiere un gesto di significato decisivo per il corso della sua vita: le vicende successive confermeranno che ha inizio con quel gesto la stagione più drammatica della vita di don Zeno Saltini, quella che farà di lui personaggio di risonanza internazionale, apostolo della fraternità amato con passione dalle folle, da uomini politici e di pensiero schierati sui fronti più lontani, che lo consacrerà, insieme, avversario irriducibile dell’ordine costituito, tanto di quello civile quanto di quello ecclesiastico, nemico esecrato, perciò, di quanti dell’ordine sono schıerati a difesa.